3.1 Il mondo musulmano tra Africa, Europa e Asia

Per riprendere il filo…

Tra il VII e il IX secolo la formazione di un impero arabo-musulmano dall’Atlantico all’Indo aveva modificato profondamente gli equilibri politici, economici e religiosi in Asia centrale e nel Mediterraneo. Qui due realtà politiche robuste ma meno estese, l’Impero carolingio e quello romano-orientale, avevano frenato l’avanzata musulmana in regioni che per secoli avrebbero costituito una mobile e instabile frontiera: la penisola iberica, l’Italia meridionale con le grandi isole e la regione tra Anatolia, Siria e Nord dell’Iraq. A lungo le realtà politiche orientali risultarono egemoni, avendo mantenuto un’efficace organizzazione fiscale, un’ampia burocrazia, il controllo dei traffici commerciali e l’impiego della monetazione aurea, oltre a costituire un contesto favorevole al progresso delle scienze fisiche e filosofiche. La definizione in termini nuovi, tra il X e l’XI secolo, dei rapporti tra formazioni sedentarie e nomadi nelle steppe asiatiche, da un lato, e il consolidamento dei poteri regi, signorili e religiosi nell’Europa occidentale, dall’altro, condussero a una fase di conflitto aperto.

3.1 Il mondo musulmano tra Africa, Europa e Asia

L’età postimperiale

Nel tardo X secolo l’impero arabo-musulmano governato dalla dinastia abbaside subì grandi trasformazioni. Nelle regioni orientali il potere politico e militare iniziò a essere esercitato di fatto da capi guerrieri nomadi, ma la supremazia del ▶ califfo di Baghdad non fu messa in dubbio e i principi della religione islamica rimasero vigenti [▶ cap. 0]. Nelle regioni occidentali dell’impero, dalla Siria alla penisola iberica, dove pure era forte la presenza di tribù nomadi, si affermarono invece dinastie che contestavano radicalmente la legittimità del califfo abbaside. Nacquero così due califfati indipendenti: quello omayyade, e poi almohade, a Cordova e quello fatimide nel Maghreb centrale e in Egitto, rispettivamente espressione dell’islam sunnita e sciita  [▶ fenomeni].

In modo più o meno compiuto, dunque, in tutto il mondo islamico dell’età postimperiale si affermarono nuove istituzioni regionali, derivanti dall’incontro fra concezioni della famiglia e dello Stato tipiche delle società nomadi con le forme amministrative consolidate dal sistema imperiale abbaside. Anche sul piano culturale, accanto alle espressioni cosmopolite (arte, architettura, poesia, scienza) che avevano caratterizzato l’aristocrazia abbaside, si svilupparono varianti culturali regionali inserite all’interno di una più ampia suddivisione fra le aree linguistiche araba e persiana. Così, mentre Baghdad e la sua aristocrazia perdevano la loro egemonia, città come Samarcanda, Bukhara, Nishapur, Isfahan, il Cairo, Fez e Cordova divenivano centri culturali autonomi.

  fenomeni

Le grandi divisioni dell’islam

Attraverso i secoli, l’islam ha conosciuto vari scismi ed eresie, sia sul piano politico che su quello dottrinale, filosofico e giuridico. La maggiore suddivisione tra i musulmani, anche nel mondo contemporaneo, è tra sunniti e sciiti.

I sunniti sono seguaci della Sunna (“consuetudine”, “condotta abituale”), una delle quattro fonti del diritto e della teologia musulmani, basata sulla condotta di Maometto (Muhammad) espressa attraverso gli hadith, i detti del Profeta. I sunniti ritengono che il messaggio divino si sia compiuto con Maometto e che lo studio della legge e la sua interpretazione siano prerogativa dei giureconsulti, mentre il califfo ha un potere essenzialmente esecutivo.

Gli sciiti sono seguaci di Ali, genero di Maometto (da Shia, “la fazione di Ali”). Rivendicano l’autorità carismatica conferita ai membri della famiglia del Profeta nella linea continua dei discendenti di Maometto, conosciuti come imam, guide e interpreti degli scritti sacri. Si distingue uno sciismo “estremo” (ismailiti, come i Fatimidi), “medio” (imamiti) e “moderato” (zaiditi), a seconda del grado di venerazione o santificazione dell’imam.

Le regioni occidentali

In Occidente la penisola iberica era stata la prima realtà politica islamica a rendersi autonoma dal califfato abbaside, nella forma di un ▶ emirato controllato dall’omayyade Abd al-Rahman I, che aveva conquistato Cordova nel 756 e, progressivamente, tutti i territori peninsulari sotto dominio musulmano, definiti in complesso al-Andalus. L’emirato arrivò a costituire un dominio unitario e saldo, e nel 929 Abd al-Rahman III assunse il titolo di califfo, consolidando il controllo sui propri territori e favorendo lo sviluppo di una raffinata società agricola e mercantile, fortemente urbanizzata, il cui centro era la grande città di Cordova.

Già nei primi anni dell’XI secolo iniziò tuttavia una fase di crisi e di guerra civile causata dalla rottura dell’equilibrio fra le varie componenti etniche e sociali (iberici convertiti all’islam, ▶ berberi, schiavi di origine slava, andalusi, ▶ mozarabi, ebrei) e dagli interessi particolaristici delle aristocrazie locali. Il frazionamento dell’unità politico-amministrativa in piccoli potentati territoriali (in spagnolo taifas) indebolì il califfato dinanzi all’espansione dei regni cristiani del Nord – la cosiddetta reconquista che studieremo nel prossimo capitolo – e consentì alle dinastie musulmane del Nord Africa occidentale di assumere il controllo di vaste porzioni di al-Andalus [ 1].

L’Africa nordoccidentale
Alla metà dell’XI secolo alcune tribù berbere del Nord della Mauritania avevano infatti accolto la predicazione di un islam rigorista e l’idea di un jihad  [▶ fenomeni, p. 94] da rivolgere non solo contro i cristiani, ma anche contro gli stessi musulmani ritenuti di fede troppo “tiepida”. In pochi anni queste tribù sahariane, note con il nome dinastico di Almoravidi (da al-murabitun, “quelli del ribat” [ 2]), costituirono un emirato esteso dal Marocco, dove fondarono Marrakesh, fino all’Algeria e al Senegal. Nel 1086, un anno dopo che Toledo era caduta in mani cristiane, gli Almoravidi vennero chiamati dal califfo locale a difendere Siviglia; essi respinsero i cristiani, ma successivamente si estesero nel territorio di al-Andalus, segnando la fine del dominio omayyade.

Alla metà del XII secolo, tuttavia, gli Almoravidi furono soppiantati da un’altra dinastia berbera originaria dei monti dell’Atlante, gli Almohadi (da al-muwahhidun, “gli unitari”, sostenitori dell’assoluta unicità divina). Proclamatisi califfi, gli Almohadi – in particolare sotto al-Mansur (1184-99) – condussero vittoriose campagne militari che sgretolarono il dominio almoravide, creando un nuovo impero esteso dalla Tripolitania alla penisola iberica.

Qui il loro potere sarebbe durato fino alla metà del XIII secolo, quando – come avremo modo di vedere – l’intera penisola, con la sola eccezione di Granada, fu ricondotta sotto il dominio cristiano.


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  fenomeni

Il jihad

Il jihad maggiore

Il concetto di jihad (“impegno”) è stato tradizionalmente interpretato in due accezioni: il jihad maggiore e il jihad minore. Il primo, di natura spirituale, consiste in una lotta interiore e personale per vivere una vita virtuosa e sconfiggere i vizi che ostacolano il cammino per avvicinarsi a Dio.

Riflessioni su questo concetto si trovano nel sufismo, una corrente islamica sostenitrice di un approccio mistico alla religione, ossia incentrato sulla possibilità di entrare in contatto diretto con Dio attraverso l’estasi o l’intuizione.

Il jihad minore

L’interpretazione del jihad minore, associata in genere al concetto di “combattimento” o “guerra santa”, è più complessa e controversa. La prima fonte canonica dell’islam, il Corano, contiene testi discordanti: le sure meccane (cioè i “capitoli” del Corano risalenti al periodo trascorso da Maometto alla Mecca) ingiungono di resistere alle persecuzioni senza reagire; quelle medinesi (successive all’emigrazione del Pro-feta a Medina) autorizzano talvolta, invece, il combattimento difensivo e le azioni aggressive. La seconda fonte dell’islam, gli hadith, cioè i detti e le azioni attribuiti al Profeta, offre un’ampia gamma di indicazioni sul jihad, sulla quale le scuole giuridiche islamiche hanno elaborato diverse teorie. La teoria classica, sviluppata a partire dal IX secolo (epoca abbaside), ruota intorno al principio della divisione del mondo in due parti:

– la “casa dell’islam”, comprendente tutti i territori governati da musulmani, nei quali le minoranze confessionali (ebrei e cristiani, con cui i musulmani condividono l’Antico Testamento) possono praticare la propria fede dietro pagamento di un’imposta;

– la “casa della guerra”, sotto governo non musulmano. Solo il califfo può condurre un jihad contro la casa della guerra, previo invito alla conversione o alla sottomissione dietro il pagamento della tassa.

Alcuni dotti proposero delle modifiche alla teoria classica, riconoscendo l’esistenza di una “casa della tregua” o “della pace” laddove i governanti avessero concluso un accordo con la comunità musulmana. Altri interpreti, di fede sunnita, compresero nel concetto di jihad la lotta contro ribelli, apostati e sciiti. Si tratta dunque di un concetto duttile, applicato in modo diverso in contesti storici differenti e che non cessa tuttora di interrogare la giurisprudenza musulmana.

L’Africa nordorientale

Anche il Maghreb centrale e orientale e l’Egitto videro emergere una dinastia antagonista degli Abbasidi, quella dei Fatimidi. Ai primi del X secolo Ubayd Allah al-Mahdi, esponente dello sciismo ismailita, aveva creato un vasto consenso tra le tribù berbere nomadi dichiarando di essere discendente di Maometto per tramite di sua figlia Fatima (da cui il nome della dinastia), moglie del quarto califfo Ali, cugino e genero del Profeta. Proclamatosi imam e califfo legittimo nel 910, in opposizione a quello sunnita di Baghdad, assunse il controllo delle piste carovaniere che conducevano nell’Africa centrale, da cui trasse oro e schiavi, e impiegò queste ingenti risorse per espandersi verso est. La sua politica diede frutti sotto i suoi successori, in particolare al-Mu’izz e al-Aziz, che conquistarono l’Egitto e parte della Siria, sottraendoli a dinastie formalmente dipendenti da Baghdad [ 3]. In Egitto, nei pressi della più antica Fustat, nel 969 fu fondata una nuova capitale, Il Cairo (al-Qahira, “la Trionfante”), che, in competizione con Baghdad, divenne un florido centro artigianale, commerciale, artistico e culturale: vi fu fondata, per esempio, l’importantissima moschea e centro di studio al-Azhar, in omaggio a Fatima detta al-Zahra, “la Luminosa”, attualmente l’università più autorevole dell’islam sunnita [▶ luoghi].

Sotto il califfato di al-Hakim (996-1021) la tensione ideologica e religiosa sciita si tramutò in persecuzione sia dei sunniti, sia degli ebrei e dei cristiani. Nel 1009 egli ordinò la distruzione della chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme, destando grande scandalo nella cristianità. Dopo al-Hakim la dinastia fatimide fu segnata da lotte interne, ai cui effetti si sommarono l’espansione dei sultanati turchi in Siria e la formazione degli Stati crociati, come vedremo fra breve. Dal 1128, con l’affermazione dei ▶ sultani turchi di Mosul, il cuore dell’islam sunnita divenne il nord della Siria con la sua splendida capitale, Aleppo. Il sultano Nur al-Din, conosciuto in Occidente come Norandino (1146-74), assunse di fatto il controllo dell’Egitto e alla sua morte uno dei suoi migliori e più ambiziosi generali, Salah al-Din (“il Saladino”, 1174-93), pose fine alla dinastia fatimide, ricevendo il titolo di malik (sovrano) dal califfo di Baghdad.

  luoghi

Baghdad, Il Cairo e le metropoli islamiche

Città antiche e nuove

Mentre in Occidente le città stentavano a riprendere una funzione di rilievo, nel vasto impero islamico erano attivi numerosi centri urbani, anche di grandi dimensioni. Molte città già fiorenti nell’antichità avevano mantenuto il loro ruolo economico e culturale; inoltre, secondo una consuetudine tipica del mondo islamico, spesso i califfi fondavano nuovi nuclei urbani, adeguati alla dignità e al potere che volevano ostentare e rappresentare. Così fu, per esempio, per Baghdad, fondata nel 762 dinanzi alle rovine dell’antica capitale persiana Ctesifonte e progettata sulla base di un complesso sistema ideologico e culturale. Il palazzo del califfo (o dei suoi rappresentanti) e la grande moschea costituivano elementi essenziali della città islamica medievale, rappresentazioni del potere temporale e religioso, riccamente decorati e circondati da giardini con architettura a padiglioni. Accanto a questi edifici sorgevano i palazzi dell’amministrazione pubblica e le residenze di ufficiali e funzionari; più in periferia gli acquartieramenti dei militari.

Il riflesso di un governo efficiente

Governi centralizzati come quelli islamici consentirono di mantenere in efficienza e sviluppare complesse infrastrutture viarie e idrauliche. Grandi strade, bagni e terme stupivano i viaggiatori occidentali, sedotti da comodità allora impensabili in Europa. Essendo le scienze tenute in alta considerazione, nelle metropoli islamiche librerie, biblioteche e centri scientifici erano numerosi, e molti califfi tenevano a ospitare alla propria corte circoli di letterati e scienziati. Altri elementi caratteristici erano le aree di mercato e i luoghi destinati a magazzini, botteghe, ostelli e alberghi per mercanti e viaggiatori provenienti da ogni parte del mondo, nonché manifatture di vario genere, tra le quali primeggiavano quelle tessili, oggetto di particolare attenzione da parte del potere centrale.

Le regioni asiatiche

Anche in Asia centrale, in conseguenza di ampie migrazioni di popolazioni nomadi dalle regioni prossime alle frontiere dell’impero cinese Tang (VII-VIII secolo), nuove élite militari assunsero il controllo di estesi territori in autonomia dal califfo abbaside.

I Samanidi (819-1005), una dinastia sunnita di origine persiana, assunsero il ruolo di difensori della frontiera orientale del califfato dai nomadi turchi dell’Asia interna, attraendo guerrieri (mujahidun) da tutto il mondo musulmano. La dinastia samanide tuttavia non si dedicò solo ad attività militari: consapevole del ruolo della filosofia e delle scienze nella costruzione del consenso politico, essa favorì lo sviluppo di una fiorente vita culturale che ebbe come centro Bukhara. Questo fermento diventò un modello per la diffusione della civiltà islamica nell’Asia interna, in India e in Indonesia: la religione e la cultura musulmane furono per la prima volta tradotte dall’arabo e il persiano divenne la prestigiosa lingua della letteratura e della poesia islamiche.

Erano sunniti anche i Ghaznavidi, potente dinastia che aveva come centro la città di Ghazna (oggi Ghazni, in Afghanistan). Tra il 977 e il 1186 essi governarono un vasto territorio che si estendeva dall’Iran orientale all’India settentrionale, dove si arricchirono grazie alle sanguinose scorrerie che Mahmud (969-1030) – il primo a ricevere dal califfo il titolo di sultano – condusse sotto l’egida del jihad contro le città e i templi politeisti controllati dai deboli principi ▶ rajput dell’India del Nord [ 4].

Alla fine del X secolo, sia Bukhara che Samarcanda furono conquistate da altre popolazioni turche, guidate dalla dinastia karakhanide, che analogamente a quella samanide favorì l’adozione di canoni letterari e politici fortemente ispirati a modelli persiani e islamici, promuovendo la formazione di una nuova cultura turca.

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3.2 Il potere turco dalla Mongolia al Mediterraneo

La dinastia turca dei Selgiuchidi
 Tra il V e l’VIII secolo tutta l’Asia centrale era stata interessata da movimenti migratori di clan mongoli, chiamati anche “turchi” (türk, con probabile significato di “forza”). Intorno alla metà del X secolo, una tribù nomade della confederazione turca si stabilì sulle rive dell’Oxus (oggi Amu Darya), importante fiume dell’Asia centrale, sotto la guida di Saljuq (m. 1009 ca.) [ 5]. Abbandonati gli originari culti pagani e sciamanici e abbracciato l’islam sunnita delle popolazioni sedentarie, Saljuq consolidò i propri possedimenti. L’ascesa politica e militare dei suoi discendenti, che in suo onore presero a farsi chiamare Selgiuchidi, si ebbe tuttavia con i nipoti, Toghril Beg (m. 1063) e Chaghri Beg (m. 1060 ca.), rispettivamente “Falcone” e “Sparviero” (con l’aggiunta dell’appellativo beg, “signore”).

Esercitando l’egemonia su molte tribù nomadi turche della Transoxiana, essi si scontrarono con i Ghaznavidi. Nel 1038 alcune città della Corasmia (Khorasan) si arresero ai Selgiuchidi e Toghril Beg conquistò la più importante, Nishapur. Qui egli assunse il titolo di sultano (1037) e nel 1040 sconfisse definitivamente i Ghaznavidi, impadronendosi di tutta la regione.

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La conquista di un territorio immenso

 Mentre Chaghri Beg si dedicava a consolidare il potere selgiuchide in Corasmia, Toghril Beg partì alla conquista dell’Iran, allora diviso in piccoli potentati locali. L’evento decisivo per l’affermazione del potere turco fu però la conquista di Baghdad (1055), allora governata dai Buwaihidi, una dinastia iranica che aveva lasciato al califfo abbaside un’autorità puramente nominale. Il califfo legittimò il titolo di sultano che Toghril aveva assunto, facendone così un campione del sunnismo e del califfato.

A Toghril Beg succedette il figlio di Chaghri Beg, Alp Arslan (“Leone-eroe”, 1064-72), che si affiancò, come gran visir (diremmo oggi un primo ministro), Abu Ali al-Hasan (1018-92), detto Nizam al-Mulk, promotore di importanti riforme in ambito burocratico e religioso [▶ idee]. Alp Arslan riuscì a riunire le turbolente tribù turche sotto le bandiere di una ghazwa (“guerra santa”); nel 1064 fu conquistata la capitale dell’Armenia, Ani, e poco dopo l’esercito turco dilagò in Cilicia e nell’altopiano anatolico, in territorio bizantino. Presso la città armena di Manzikert, nel 1071, un grande esercito bizantino, comandato dall’imperatore Romano IV Diogene, fu rovinosamente sconfitto, spalancando le porte alla conquista turca della regione.

  idee

Diritto e potere in epoca selgiuchide

Le scuole di diritto

Nizam al-Mulk (che significa letteralmente “l’ordinamento del regno”) fu un eminente studioso, autore di un influente Libro della politica. In qualità di visir, promosse la creazione di un modello di scuola giuridica (màdrasa) annessa a una moschea e dotata di biblioteche e pensionati per studenti. All’interno di queste scuole si svolgeva l’insegnamento dei maestri (ùlama), che oltre a formare esperti di diritto utili all’amministrazione statale svolgevano una propaganda sunnita e antisciita.

Nuove forme della regalità

L’emergere del potere turco fu accompagnato dall’affermazione di nuove pratiche di dominio e da originali riflessioni politiche. Negli scritti di Nizam al-Mulk, per esempio, nella figura del sultano confluirono concetti propri della regalità iranica insieme agli attributi religiosi di quella islamica; anche il grande teologo al-Ghazali (1058-1111) riconosceva al sultano, più che al califfo, la responsabilità di governare in conformità con i principi della legge religiosa e della giustizia.

L’integrazione dei principi amministrativi di origine persiana nelle strutture sociali nomadi turche consentì l’affermazione di un senso del potere pubblico molto forte: anche nella diffusa prassi della concessione di diritti fiscali sulle terre (iqta), come compenso per militari o funzionari, non venne mai meno la percezione della natura pubblica di quei diritti, anche quando, più tardi, essi divennero talvolta ereditari.

Apogeo e declino dei Selgiuchidi

Sul piano economico, l’epoca selgiuchide fu caratterizzata da una notevole prosperità agricola e commerciale: il controllo degli assi carovanieri del Vicino e Medio Oriente, attuato grazie a un articolato sistema di ▶ caravanserragli, favorì infatti i commerci con l’Europa, in particolare di argento, lapislazzuli e manufatti in ferro. Sotto il governo di Malik Shah (“re-imperatore”, 1072-92) il potere selgiuchide raggiunse il suo apogeo [ 6]: furono condotte campagne militari vittoriose in Asia centrale, nel sud-est dell’Anatolia e in Siria, dove fu ottenuto il controllo di Damasco, Aleppo e Antiochia. Il sultano selgiuchide, inoltre, ricevette dal califfo la tutela delle città sante arabe: La Mecca e Medina. Tuttavia, le rivalità fra i figli di Malik Shah e l’emergere della setta estremistica sciita dei Nizariti, conosciuta con il nome di ▶ Assassini, indebolirono molto il sultanato. In Anatolia, inoltre, alcuni principati turchi, alleatisi con i bizantini, misero in discussione l’egemonia selgiuchide, che fu tuttavia riaffermata nel 1176 , con la sconfitta a Miriocefalo di un grande esercito bizantino guidato da Manuele Comneno.

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Da questo momento i bizantini rinunciarono a gran parte della penisola anatolica e i Selgiuchidi si costituirono in una nuova realtà politico-militare, il sultanato di Rum (che prende il nome dai Rhomáioi, ossia i Romani d’Oriente), florido sino alla metà del XIII secolo, accanto a quello dei “Grandi Selgiuchidi” che dominavano la Mesopotamia e l’altopiano iranico. Quest’ultimo, già alla metà del XII secolo, dovette invece affrontare le armate mongole dei Kara Khitai. Questa popolazione, che si era imposta in Cina (dinastia Liao, 907-1125), ne era stata scacciata dai Jin provenienti dalla Manciuria e stava fondando un ampio dominio in Asia centrale. Nel 1141, presso Samarcanda, un esercito turco-mongolo inflisse una terribile sconfitta al sultano selgiuchide Sanjar, irrompendo nella Transoxiana. Nel 1194, invece, nei pressi di Teheran, la tribù turca dei Corasmi (Kwarezm-shah) sconfisse e uccise l’ultimo sultano dei Grandi Selgiuchidi, Toghril III.


Storie. Il passato nel presente - volume 1
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Dal 1000 al 1715