2.5 Il consolidamento delle istituzioni pontificie

2.5 Il consolidamento delle istituzioni pontificie

Un cristianesimo medievale e occidentale
 Lo scontro con il potere civile culminato nella lotta per le investiture e la nascita di nuovi ordini monastici in risposta alle istanze di riforma morale non esauriscono il quadro delle “riforme” ecclesiastiche dei secoli XI e XII. L’affermazione della supremazia dottrinale e giuridica del pontefice, infatti, ebbe conseguenze fondamentali anche nell’organizzazione interna della Chiesa e nei rapporti fra centro e periferie della cristianità. Insieme a tutti gli elementi considerati fin qui, anche queste trasformazioni contribuirono alla formazione, nell’Europa occidentale, di un cristianesimo del tutto distinto da quello orientale. È proprio da questo momento che la Chiesa romana comincia ad autodefinirsi “▶ cattolica”, cioè “universale”, a dimostrazione del tentativo di superare la pluralità delle Chiese altomedievali in favore di un progetto di Chiesa romana accentrata.
L’accentramento del governo della Chiesa

La cristianità occidentale altomedievale, così come si era strutturata fra il V e il X secolo, si configurava come un insieme di Chiese autonome: le singole sedi vescovili e i concili locali erano sovrani in materia di governo delle diocesi e il papa era nient’altro che il vescovo di Roma: godeva cioè soltanto di un primato onorifico e di una riconosciuta autorevolezza in materia di fede in quanto Roma era luogo di morte degli apostoli Pietro e Paolo, nonché l’unica sede patriarcale dell’Occidente (le altre, Antiochia, Alessandria, Gerusalemme, Costantinopoli, si trovavano in Oriente e, tranne l’ultima, erano ormai inserite nel sistema politico islamico).

Le cose cambiarono quando il pontefice cominciò a presentare il proprio primato sulle Chiese cristiane non più come riconoscimento onorifico, ma come prerogativa fondata sulla pienezza di poteri di intervento su ogni aspetto della vita quotidiana, materiale e spirituale, di uomini e donne in quanto cristiani [ 8]. Per rendere effettivo questo potere era essenziale un controllo esteso sull’intero mondo cristiano occidentale; così, in base al riconoscimento del possesso, da parte dei vescovi, della pienezza del sacerdozio, ossia della piena potestà di esercitare i ministeri del culto e di governare la comunità dei fedeli, la Chiesa romana si diede una struttura organizzativa e territoriale omogenea in tutte le aree su cui si estendeva l’autorità del vescovo di Roma, costituendosi in arcidiocesi, diocesi, pievi e parrocchie. Le strutture non sottoposte a un’autorità vescovile locale, come talvolta accadeva a monasteri o chiese ▶ collegiate, dipendevano comunque dal pontefice.

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L’uniformazione culturale

I cambiamenti organizzativi si accompagnarono a un vasto fenomeno di unificazione culturale che interessò sia le élite, sempre più in contatto fra loro grazie alla diffusione della cultura scritta e la circolazione dei testi, sia i ceti più bassi, tra i quali le elaborazioni culturali “alte” si diffusero tramite la predicazione, l’apparato liturgico, l’iconografia e l’architettura. Così, nei secoli posteriori al Mille riti e liturgie, che nell’alto Medioevo erano ancora molto vari a livello locale, si uniformarono. Anche le tradizioni popolari, che spesso attingevano a repertori di simboli, situazioni e personaggi precristiani, furono coinvolte in questo processo, in un duplice senso: in parte furono relegate in una sfera culturale “sospetta” e duramente combattute dalla Chiesa; in parte vennero assimilate e reinterpretate in chiave cristiana.

L’uniformazione giuridica

L’accentramento e la supremazia giurisdizionale del pontefice comportarono molte conseguenze anche sul piano giuridico. Se fino al X secolo ciascuna provincia ecclesiastica aveva autonomamente deliberato norme (canoni) valide per i singoli territori e non per l’intera cristianità, l’accentramento giuridico e amministrativo promosso da Roma non poteva tollerare la convivenza di norme talvolta molto diverse, quando non in contrasto fra loro. All’omogeneità strutturale doveva corrispondere un’analoga omogeneità giuridica.

A questo progetto unitario lavorò Graziano, un monaco camaldolese maestro di teo­logia a Bologna. Intorno al 1140 egli completò un compendio, la Concordia discordantium canonum (Concordanza dei canoni discordanti), meglio noto come Decretum Gratiani, che, con metodo critico e razionale, eliminava tutte le norme ridondanti o contraddittorie. Esso costituì sino a tutto il Duecento la base del diritto vigente nella Chiesa cattolica, periodicamente aggiornata con le nuove norme emanate dai pontefici, le decretali. Si costituì dunque, nel corso di due secoli, un corpus omogeneo di leggi ecclesiastiche, detto Corpus iuris canonici (in analogia con il Corpus iuris civilis dell’imperatore Giustiniano), che esprimeva la legge emanata direttamente dalla volontà del pontefice.

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Gli organi del governo pontificio

La riorganizzazione del controllo sulle periferie si accompagnò a una sistemazione degli organi centrali di governo della Chiesa. Dalla fine dell’XI secolo compare costantemente il termine “curia” per indicare la corte del pontefice: mutuato dal luogo dove si riuniva il senato nella Roma antica, il termine veniva ora impiegato, per analogia, per designare gli organismi burocratici al servizio dei papi.

La curia si strutturava come un insieme di organi di governo per il cui funzionamento i cardinali erano elementi essenziali. I tre gradi in cui si dividevano i titolari delle maggiori basiliche di Roma e dintorni (vescovi, preti e ▶ diaconi) vennero sostanzialmente equiparati e i cardinali, nominati dal papa, furono raccolti in un unico collegio. Riuniti in ▶ concistoro, essi svolgevano compiti delicati, come dare il proprio parere sulle questioni giurisdizionali più importanti (causae maiores). In quanto rappresentanti del papa trattavano inoltre questioni diplomatiche presso le corti europee e costituivano il mezzo più autorevole ed efficace per diffondere in tutta la cristianità la disciplina ecclesiastica stabilita nei concili.

Come strumento privilegiato per affermare la propria supremazia, infatti, subito dopo il concordato di Worms il papato ripristinò lo strumento del concilio generale (l’ultimo si era tenuto a Costantinopoli nell’869-70). Dopo il primo e il secondo, svoltisi nel 1123 e nel 1139 nel palazzo del Laterano (la residenza ufficiale del papa), che confermarono la condanna della simonia e del concubinato, nonché l’estraneità dei laici alla vita ecclesiastica, il terzo, nel 1179, sancì nuove regole per l’elezione papale, stabilendo come necessaria la maggioranza dei due terzi del collegio cardinalizio ed eliminando del tutto la pur secondaria partecipazione dei laici ancora prevista dalle norme del 1059. Le norme per l’elezione furono ulteriormente modificate durante il secondo Concilio di Lione, nel 1274, quando furono introdotte rigide norme di isolamento per i cardinali riuniti in ▶ conclave.

La struttura amministrativa

La curia pontificia perfezionò inoltre la propria struttura amministrativa e burocratica. Furono così istituite la cappella, ossia un insieme di chierici addetti principalmente alla liturgia pontificia, e la camera apostolica, organismo preposto, sotto la direzione di un cardinale detto “camerlengo”, alla cura delle enormi necessità finanziarie del papato, dovute al mantenimento della burocrazia curiale e al finanziamento di iniziative politiche e diplomatiche a Roma, in tutta Europa e nel Mediterraneo.

Nelle casse papali affluivano somme dalla provenienza più disparata: censi (tributi annuali) pagati da alcuni regni europei vassalli del papa (Aragona, Portogallo, Regno di Sicilia); contributi periodici a sostegno dell’attività missionaria della Chiesa (il cosiddetto “obolo di San Pietro”); censi dovuti da enti ecclesiastici dipendenti direttamente dal papa; donazioni di vescovi in occasione delle periodiche visite ad limina apostolorum (cioè presso il papa o la curia romana). Nel 1192 il cardinale camerlengo Cencio Savelli (papa Onorio III dal 1216) giunse alla redazione di una fondamentale compilazione di tutti i redditi papali, il Liber censuum Romanae Ecclesiae (Libro dei censi della Chiesa romana), che costituì la base dell’amministrazione finanziaria per gli anni successivi.

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Le necessità politiche e diplomatiche dovute ai sempre più numerosi e stretti contatti con chiese, sedi vescovili e monasteri, ma anche con le sedi del potere civile, indussero infine l’amministrazione pontificia a riordinare e a potenziare enormemente la cancelleria (scrinium), cioè l’ufficio preposto alla redazione, trasmissione e conservazione dei documenti inviati o ricevuti dalla curia.

Alle grandi competenze tecniche e giuridiche necessarie alla redazione dei documenti si accompagnava, nei notai (scriniarii) e negli altri addetti alla cancelleria, un’altissima preparazione retorica: i documenti emanati dalla cancelleria pontificia costituivano un modello non solo per la loro raffinatezza materiale, ma anche perché si presentavano come dei compiuti manifesti ideologici e, come tali, costituivano il più potente veicolo di legittimazione e di diffusione delle idee della Chiesa riformata in tutta la cristianità.

2.6 Il monopolio della parola e la disobbedienza: ortodossia ed eresie

Il primato esclusivo della Chiesa di Roma

Il cristianesimo che scaturì dal vasto movimento di riforma dell’XI secolo aveva una fortissima dimensione politica, evidente nell’esaltazione del ruolo sacerdotale – innanzitutto quello del papa – come esclusivo mediatore con la divinità. L’umanità, insomma, non si poteva salvare al di fuori del magistero della Chiesa di Roma. Chiunque contestasse tale magistero, o il primato del pontefice, o la sua articolazione istituzionale, era fuori dalla Chiesa: la disobbedienza, quand’anche si ispirasse ai principi cristiani, era di per sé un’eresia [▶ cap. 0].

Su questa base la Chiesa riformata affrontò una serie di movimenti eterodossi di natura diversa, che si diffusero in Europa, specie nella Francia meridionale, proprio nel corso dell’XI secolo.

Sopravvivenze pagane e istanze pauperistiche

Nonostante lo sforzo di uniformazione culturale di cui abbiamo detto, numerosi testi elaborati da ecclesiastici in questo periodo danno conto della permanenza, nel folklore delle società rurali europee, di immagini e temi comuni a epoche e luoghi lontanissimi – come il ritorno dei morti guidati da personaggi mitici come Odino [ 9] o i cortei di donne in preda a estasi, guidati da entità femminili dai vari nomi – sulla cui base fiorivano culti sostanzialmente estranei alla predicazione cristiana e che dunque costituivano una minaccia all’ordine sacrale imposto dalla Chiesa [▶ idee].

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A questo si aggiungevano i fermenti di contestazione del potere signorile e della ricchezza della Chiesa che avevano caratterizzato numerosi movimenti laici agli inizi della riforma. La vicenda umana e intellettuale di Arnaldo da Brescia è in questo senso significativa: maestro di Sacre Scritture, morì sul rogo nel 1155, a Roma, per la sua predicazione di tipo patarinico e per il suo collegamento con l’esperienza politica del comune romano, sorto in opposizione al pontefice Adriano IV. Altri movimenti laici di tipo pauperistico che si ispiravano al Vangelo, come quello avviato da Valdo (o Valdesio) di Lione sulla fine del XII secolo, furono condannati e scomunicati: non perché avanzassero posizioni dogmatiche o dottrinarie contrarie al cristianesimo, ma perché contestavano in varie forme la capacità esclusiva di mediazione fra Dio (e le sue Scritture) e i fedeli da parte della Chiesa romana.

I catari

Si diffusero inoltre forme di cristianesimo che le fonti di parte cattolica definiscono di tipo dualistico, ossia incentrate sull’opposizione netta tra i principi divini ed eterni del Bene, di cui consistono le realtà spirituali, e del Male, che sostanzia di sé la realtà sensibile e corporea. Simili concezioni erano diffuse già in Asia Minore nel III secolo (manicheismo) e presenti in forme analoghe nel mondo slavo del X secolo (bogomilismo). Questi nuovi movimenti, definiti “càtari” (dal greco katharós, “puro”) e radicati in particolar modo nella Francia meridionale – fra Tolosa e Albi, da cui anche il termine “albigesi” – e in Lombardia, condividevano con le altre manifestazioni di tipo pauperistico-evangelico l’istanza della lettura e dell’interpretazione diretta dei testi sacri. Tali orientamenti di pensiero e le pratiche di vita da essi promosse, come vedremo in seguito, saranno poi duramente repressi, non solo attraverso nuovi strumenti giuridici e istituzionali elaborati all’interno della Chiesa al fine di combattere ogni forma di disobbedienza, ma anche grazie alla collaborazione politico-militare con i poteri laici.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715