PERCORSI STORIOGRAFICI

percorsi storiografici

PERCORSO

TESTI

TEMI

1 Le donne fra potere e ribellione

p. 608

N. Zemon Davis, Le donne nella vita pubblica: corti, assemblee, salotti tratto da Donne e politica

– Le donne nei luoghi del potere

– L’influenza politica delle donne nelle repubbliche e nelle monarchie

A. Farge, Donne in rivolta tratto da Sovversive

– La violenza popolare e il ruolo delle donne

– Le donne in rivolta viste dallo sguardo maschile

2 Scambi internazionali e reti globali

p. 613

F. Trivellato, L’affermazione del commercio europeo sul pianeta: un percorso incerto tratto da I commerci europei e la prima, incerta globalizzazione dei mercati

– Gli scambi commerciali sulle lunghe distanze

– Le ragioni dell’espansione europea

L. Pezzolo, La moneta e i prezzi: integrazioni, fluttuazioni, divergenze tratto da Prezzi, moneta e Stato

– Le oscillazioni del valore della moneta

– L’integrazione dei mercati in età preindustriale

PERCORSO 1

Le donne fra potere e ribellione

Non è semplice analizzare a fondo le figure femminili nelle società europee del XVI, XVII e XVIII secolo. Fatta eccezione per i rari casi in cui siede sul trono di un paese, la donna rimane sullo sfondo ed è rinchiusa in una serie di ruoli che non le concedono alcun tipo di accesso alla vita politica attiva. La storiografia finisce per registrare la sua assenza, più che valutare il peso della sua presenza. Nei passi che proponiamo, la studiosa canadese-statunitense Nathalie Zemon Davis e la storica francese Arlette Farge guardano a due possibili varianti del protagonismo femminile in antico regime: la partecipazione diretta alle decisioni del potere e la ribellione.

TESTO 1
Nathalie Zemon Davis

Le donne nella vita pubblica: corti, assemblee, salotti

Pur rimanendo in confini ben precisi, le donne riescono a ritagliarsi con fatica alcuni spazi di azione, talvolta sfruttando il loro ruolo di madri, sorelle, mogli. Nathalie Zemon Davis spiega queste dinamiche, spaziando dai salotti dei palazzi regi fino alle assemblee rappresentative. La studiosa mette in evidenza anche l’importanza della stampa nei processi di emancipazione femminile, visto il crescente numero di lettrici o di semplici fruitrici che, pur non avendo dimestichezza con il testo scritto, ascoltavano le letture e potevano sviluppare opinioni da condividere.

Essere un “cittadino” di un regno, di uno Stato cittadino o di una città agli inizi dell’Europa moderna non era chiaro cosa significasse né per gli uomini né per le donne. “Diritti”, “privilegi”, “libertà” e “immunità” variavano da luogo a luogo e neppure la terminologia e i segni distintivi dello status politico e sociale erano costanti. Tuttavia la maggior parte degli uomini che vivevano dentro le mura delle prime città moderne potevano essere classificati come borghesi, residenti (abitanti) o forestieri, con diversi diritti e obblighi, mentre per le donne queste distinzioni, quando venivano fatte, non comportavano nessuna attività politica. Come cittadina, la donna aveva diritto alla protezione della legge della sua città; come vedova, poteva essere tenuta a fornire un uomo della sua famiglia (o una somma di denaro) alla milizia cittadina; ma raramente veniva chiamata a partecipare a un’assemblea consultiva o elettiva agli inizi dell’epoca moderna e non veniva mai invitata a sedere in un consiglio cittadino. L’unico luogo dell’amministrazione cittadina dove le donne potevano trovarsi un posticino era nella direzione degli ospedali; un gruppo di ritratti delle reggenti delle istituzioni filantropiche ospedaliere di Amsterdam del XVII secolo presenta donne che appaiono autorevoli quanto i reggenti maschi. Nel complesso tuttavia, il governo delle città era un affare da uomini: mariti, padri e vedovi, i quali sapevano che cosa andava bene per le loro famiglie. 

La condizione urbana ci propone una distinzione tra i primi regimi politici moderni che è utile per definire il ruolo delle donne. Gli Stati organizzati in Repubbliche, come Firenze nel primo Rinascimento o Venezia, i cantoni svizzeri e le città imperiali, avevano pochissime collocazioni in cui le donne potessero esercitare pubblicamente un potere politico. In questi Stati l’influenza politica delle donne poteva essere esercitata solo in modo informale, per mezzo della famiglia o dei rapporti di parentela.

Viceversa, gli Stati organizzati in monarchie – la Francia, l’Inghilterra, la Spagna, i principati tedeschi, e la Firenze ducale del tardo Rinascimento – disponevano di luoghi formalmente riservati alle donne e di agoni per un’azione pubblica o semipubblica delle donne. Dove il potere veniva acquisito per successione dinastica, piuttosto che per elezione o cooptazione, le donne si trovavano ad essere unte come regine, e nascite e matrimoni diventavano problemi di alta politica. Le splendide corti così importanti per il prestigio della persona del re e per l’intero sistema di governo monarchico avevano bisogno sia degli uomini che delle donne. Anche se le donne non sedevano mai come consiglieri nel consiglio privato del sovrano, esse prendevano parte alle conversazioni – politiche e personali – che riempivano i saloni, le camere e le stanze da letto del palazzo reale. […]

C’erano però altri spazi per l’azione politica delle donne, alcuni dei quali collegati in modo organico al governo monarchico e alle sue istituzioni, altri con possibilità di cambiarle. Nel complesso le donne raramente facevano direttamente parte del mondo delle assemblee e delle istituzioni rappresentative.

In Francia, le donne in linea di principio avevano diritto a partecipare alle assemblee locali per scegliere i deputati degli Stati generali1, nella loro qualità di Badesse per il Primo Stato, eredi feudali nel Secondo, e come capifamiglia e funzionarie di gilde femminili nel Terzo, ma sembra che per gli importanti Stati generali del XVI secolo venissero nominati dei rappresentanti al loro posto. Come avrebbe potuto essere ascoltata la voce di una donna in quell’ambiente? I comitati che compilarono i cahiers de doléances2 in tutta la Francia per gli Stati generali del 1614 non avevano membri di sesso femminile; le donne potevano essere oggetto di alcune proteste (come per quelle donne non nobili che portavano vestiti di seta al di sopra della loro condizione), ma non potevano fare dei reclami in proprio. […]

Nell’Inghilterra protestante, le poche donne che succedevano ai Pari3 non sedevano nella Camera dei Lords, e mai le donne vennero elette nella Camera dei Comuni. D’altro canto, le dame dell’aristocrazia potevano però offrire il loro sostegno a uno dei candidati e, soprattutto dopo che venne istituito il sistema dei partiti alla fine del XVII secolo, le mogli dei candidati erano spesso molto impegnate nelle campagne dei loro mariti, conquistando i voti maschili attraverso l’ospitalità offerta alle mogli di elettori influenti. Per quanto riguarda le donne meno eminenti, le si poteva trovare ai margini delle folle elettorali arringate e blandite da tory o da whig.

La limitata esperienza politica fornita alle donne dalle istituzioni rappresentative e consultive poté estendersi per mezzo dello sviluppo della stampa periodica e pamphlettistica4 e con la crescita dell’alfabetizzazione delle donne. Esse potevano leggere (o ascoltare la lettura ad alta voce) la ricca letteratura di opuscoli provocata dalle guerre di religione in Francia e dalle lotte politico-religiose dell’Inghilterra del XVII secolo. Un piccolo numero poteva anche scriverne: le opinioni femminili potevano essere trascurate come “pettegolezzi” quando erano comunicate oralmente, ma prendevano un aspetto più importante quando apparivano sulla stampa.


tratto da Donne e politica, in Storia delle donne in Occidente. Dal Rinascimento all’età moderna, Laterza, Roma-Bari 1991

 >> pagina 610 
TESTO 2
Arlette Farge

Donne in rivolta

La studiosa francese Arlette Farge evidenzia i tratti tipici del comportamento delle donne durante le ribellioni e le esplosioni di violenza popolare. Il loro rapporto con gli uomini resta cruciale: esse agiscono infatti sotto gli sguardi degli uomini che oscillano fra sorpresa, approvazione e condanna. Negli occhi maschili, il protagonismo della donna ribelle, dapprima sostenuto e sfruttato, si può trasformare in una furia irrazionale da frenare, riportare all’ordine, reprimere.

Riflettere sulla violenza popolare costituisce una delle maggiori esigenze della storiografia europea. Sotto questo profilo, si è passati da interpretazioni classiche (di tipo marxista1 o altro) ad analisi sempre più approfondite, con un esame ravvicinato, condotto attraverso gli archivi giudiziari, di ciò che furono i gesti, i discorsi, i ruoli e le funzioni di quei gruppi e di quelle comunità tumultuanti tra il XVI e il XVIII secolo. Di queste folle in azione e talvolta in armi, lo storico deve tenere conto, avendo chiaro che ogni rivolta comporta una pluralità di significati e traccia nel proprio tempo e nel proprio ambito una apertura che rende gli indomani diversi dalle vigilie. […]

Nel complesso, tuttavia, ben poche pagine [sono state] scritte su quelle che parteciparono pienamente all’insieme di questi moti sovversivi: le donne. Perché così poco? In primo luogo perché la violenza femminile provoca contraddittoriamente l’immaginario che cerca di esorcizzarla proprio mentre, affascinato, ne prende atto. In questa impasse2 cadono tutti, ivi compresi gli storici che soltanto in ritardo hanno riflettuto sulle forme e le funzioni della sua presenza. […]

Entrare in rivolta significa affrontare una situazione giudicata inammissibile ricorrendo a mezzi collettivi che si pensa possano farsi legittimi e modificare una serie di eventi disastrosi. Si tratta di emergere all’interno della cosa pubblica; ora le donne e la cosa pubblica sono due realtà completamente lontane l’una dall’altra, perlomeno civilmente e giuridicamente. Ci si può quindi chiedere come venga utilizzato questo loro irrompere abituale in un mondo da cui, di diritto, esse sono escluse.

In questo campo, e sulla lunga prospettiva dal Cinquecento al Settecento, i resoconti sulle forme d’intervento femminile si richiamano a due diverse ipotesi. Certi lavori sembrano accettare l’idea secondo cui, durante le epoche medievali e moderne, la vita delle donne fu tanto “libera” quanto quella degli uomini, nell’ambito di una vera e propria flessibilità dei ruoli maschili e femminili, soprattutto presso i lavoratori dell’industria rurale. L’industrializzazione e il passaggio al sistema capitalista provocarono una rottura di una specie di armonia preesistente. Possiamo evidentemente, da questa ipotesi, giungere a una conclusione: le donne sono coinvolte nelle sommosse quanto gli uomini, possono entrarvi di prepotenza.

Un’altra prospettiva, sicuramente più ragionevole, mostra che all’interno delle famiglie la distribuzione del lavoro veniva fatta in maniera asimmetrica e che i ruoli, per “complementari” che potessero sembrare, non erano egualitari, tanto sul piano pratico che sul piano simbolico. A partire da questo punto, la presenza femminile nella sommossa pone nuovi interrogativi e obbliga a diverse risposte. […]

Nella rivolta, le donne operano diversamente dagli uomini; questi ultimi lo sanno e vi acconsentono, ma poi le giudicano. In un primo momento, sono loro stesse ad occupare il proscenio, esortando gli uomini a seguirle, occupando le prime file della sedizione. Gli uomini non appaiono sorpresi da questo momentaneo “mondo alla rovescia”; spinti dalle grida e dagli incitamenti, essi ingrossano la folla con la propria presenza. Sanno bene quanto le donne in prima fila facciano effetto sull’autorità, sanno anche che esse non hanno tanti timori perché sono meno punibili, e che un tale disordine può costituire la premessa per un ulteriore successo del movimento. Lo sanno; accettano questa divisione di ruoli maschili e femminili, ma al tempo stesso la giudicano: le donne, le loro grida, i loro gesti e i loro comportamenti. Attratti, irritati, essi le vedono e le descrivono come fuori di sé, delle smodate, quasi fanatiche.

Vengono così a formarsi socialmente due sistemi doppi che si richiamano e si alimentano l’un l’altro: da un lato, donne che agiscono d’accordo con gli uomini, anche se sanno che saranno poi spinte verso l’eccesso; dall’altro, uomini che non riescono a staccarsi da una visione duale della donna dove essa appare loro come buona dolce, necessaria, ma al tempo stesso duplice, menzognera e alleata del diavolo. Temi del resto diffusi nella letteratura popolare […] che costruisce la dualità femminile definendola insieme angelo e mostro, vita e morte.

Il posto occupato dalle donne nelle rivolte lo si può capire soltanto se si guarda al cuore di quel sistema che le aspira e le rigetta, e dove il giuoco delle immagini è tanto forte quanto quello dei fatti e dell’evidenza del suo agire. Bisogna risalire al cuore di questa embricatura per comprendere meglio le forme della sua presenza. […]

La donna, quando partecipa a una sommossa, esprime una gamma di ruoli; vediamo mescolarsi insieme “dei” volti che la società è solita attribuirle. Madre con il figlio, essa procede in prima linea; promotrice, grida dall’alto delle finestre e lungo i ponti; solidale, trascina i suoi compagni; coinvolta, parla con le autorità, va a trovarle, tratta; furiosa, si scaglia contro quelle – anche donne, eppure donne – che hanno l’aria ostile; sicura del proprio diritto e vogliosa di concretezza, spande il sangue con allegria, attenta al suo gruppo, ne rinfranca l’animo… Sorrette dallo sguardo maschile, le donne si sentono anche impacciate (se non snaturate) da tale sguardo. Eccole tra il giudizio e la sua esagerazione. Esse stesse lo sanno e si aspettano di finire in quel vicolo cieco dove verranno sequestrate e compresse, quello che trascina i loro atti verso una manifestazione tra il furioso e l’isterico. Proprio in quanto escluse dall’esercizio del linguaggio politico tradizionale, esse sanno che le loro parole e gesti finiscono per essere visti sotto il profilo dell’irrazionalità.


tratto da Sovversive, in Storia delle donne in Occidente. Dal Rinascimento all’età moderna, Laterza, Roma-Bari 1991

 >> pagina 612 
Il LINGUAGGIO della storiografia

Riconduci ciascuna delle seguenti espressioni allo storico che l’ha utilizzata e contestualizzala rispetto alla tesi sostenuta nei testi che hai letto (massimo 5 righe).


a) Le donne raramente facevano direttamente parte del mondo delle assemblee e delle istituzioni rappresentative.

b) La limitata esperienza politica fornita alle donne dalle istituzioni rappresentative e consultive poté estendersi per mezzo dello sviluppo della stampa periodica e pamphlettistica.

c) Le donne e la cosa pubblica sono due realtà completamente lontane l’una dall’altra.

d) Nella rivolta, le donne operano diversamente dagli uomini.

Storie A CONFRONTO

Individua la tesi di fondo dei due saggi proposti aiutandoti con lo schema di inizio sezione e compila la seguente scheda di sintesi e comparazione dei documenti.


  Le donne nella vita pubblica: corti, assemblee, salotti Donne in rivolta
TESI    
ARGOMENTAZIONI    
PAROLE CHIAVE    
RIASSUMERE un testo argomentativo

Dopo aver schematizzato i saggi con l’aiuto della tabella dell’esercizio precedente, suddividi i due testi in paragrafi e assegna a ciascun paragrafo un titolo. A partire da questi paragrafi sviluppa un testo di mezza pagina di quaderno che riassuma le argomentazioni dei due brani proposti.


  Le donne nella vita pubblica: corti, assemblee, salotti Donne in rivolta
PARAGRAFO 1    
PARAGRAFO 2    
PARAGRAFO 3    

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715