2. Scambi internazionali e reti globali

PERCORSO 2

Scambi internazionali e reti globali

Nel corso dei secoli XVI e XVII, la frequenza dei viaggi oceanici crebbe e si svilupparono scambi commerciali su tratte lunghissime. La storiografia si interroga quindi sul significato di queste novità. Possiamo parlare di processi di globalizzazione? Ci fu una reale integrazione economica fra aree diverse del pianeta? Possiamo parlare di reti globali o si trattò di relazioni lineari fra luoghi distanti, che non avevano conseguenze tangibili sulle dinamiche economiche dei diversi continenti? Francesca Trivellato e Luciano Pezzolo affrontano la questione guardando a due sfere differenti, ma complementari: quella dei mercati e quella della moneta. Ne emerge un quadro che ci invita a usare con molta prudenza il concetto di globalizzazione per il Seicento.

TESTO 1
Francesca Trivellato

L’affermazione del commercio europeo sul pianeta: un percorso incerto

Trivellato mostra come la storia dei mercati e l’affermazione del commercio europeo su scala planetaria sia estremamente esitante e ricca di ostacoli. Non bisogna dimenticare inoltre che le merci europee scambiate sulla lunga distanza coprivano solo una piccola frazione dei traffici in generale. L’affermazione degli operatori del vecchio continente va quindi spiegata anche sulla base di interazioni culturali, politiche e militari sviluppate con altre zone del pianeta, soprattutto in Asia, dove diversi grandi apparati territoriali vivevano una crisi profonda o si stavano disintegrando.

Merci, monete, uomini, donne e bambini, insieme con piante, animali, microbi e idee hanno solcato lunghe distanze, per terra e per mare, fin dall’Antichità, talora in spostamenti da un continente all’altro. Ma quando ebbe inizio quel complesso fenomeno che oggi chiamiamo globalizzazione? Fu solo con la rivoluzione dei trasporti e delle comunicazioni che seguì l’apparizione delle ferrovie, delle navi a vapore e del telegrafo tra la fine del Sette e la metà dell’Ottocento? Oppure possiamo intravedere i prolegomeni della globalizzazione già nella crescita dei traffici medievali? E in ogni caso quali ne furono le forze motrici? Molte e diverse risposte sono state date a queste domande, anche in funzione del fatto che si definisca globalizzazione il solo allargamento geografico degli scambi economici e culturali oppure si dia a questo termine un significato più preciso di interconnessione dei mercati e crescente uniformità culturale. […]

Nelle pagine che seguono esamineremo […] i commerci tra l’Europa e gli altri continenti. Questa scelta potrebbe apparire come ideologica o parziale, considerando che dal punto di vista quantitativo l’agricoltura continuò a essere la prima fonte di reddito per la stragrande maggioranza delle popolazioni europee per l’intera durata dell’Età moderna, e i traffici intercontinentali rappresentarono una parte esigua del commercio in generale. Gli scambi intercontinentali furono […] di stimolo a importanti innovazioni in campo tecnologico, finanziario e istituzionale. Inoltre, il dibattito sulle origini e l’impatto dell’espansione commerciale europea ha coinvolto intellettuali e studiosi non da decenni, ma da secoli; ed è impossibile ignorare quanto del modo di scrivere e pensare la storia d’Europa moderna sia oggi legato all’evolversi di questo dibattito.

Ogni riflessione sul “quando” implica un riflessione sul “come” e “perché”. Le diverse letture che gli storici economici hanno dato dei tempi dell’espansione dei commerci europei transoceanici sono infatti inseparabili da ipotesi e spiegazioni delle ragioni che la misero in moto e le modalità secondo le quali questa si sviluppò.

Più che un’evoluzione progressiva, la storia dei commerci europei intercontinentali è la storia dei problemi che gli europei incontrarono e delle soluzioni che adottarono a seconda dei contesti cui si trovarono a far fronte. Non era scritto nel DNA dell’Europa che alla fine del Settecento l’Inghilterra sarebbe diventata la regione economicamente più sviluppata del mondo e avrebbe esteso il suo controllo politico ed economico sulla maggior parte del globo terrestre. Tant’è che fino al 1800 i tassi di produttività delle economie europea e cinese non mostrano sostanziali differenze. Eppure, è un fatto che gli europei profusero energie e risorse senza eguali nell’espansione dei loro traffici marittimi e furono i primi a creare un sistema di collegamenti intercontinentali sempre più integrato ed efficiente. […]

Ogni indagine sui commerci europei sulla lunga distanza deve tener conto del fatto che questi costituirono una piccola frazione dei traffici in generale. Rilevazioni delle merci in transito per lo stretto che separa il Mare del Nord dal Mar Baltico indicano che tra il 1631 e il 1760 sale e pesce furono di gran lunga più importanti dei beni coloniali, che pure crebbero rapidamente dopo il 1720. Come si è detto, le statistiche ufficiali mostrano che solo nell’ultimo quarto del Settecento l’Atlantico superò per importanza l’area mediterranea nelle importazioni ed esportazioni inglesi. Perché allora studiare i commerci transoceanici europei? Un po’, è inutile negarlo, perché ogni epoca guarda al passato come in uno specchio. Ma la scelta di questo tema non è del tutto autoreferenziale. Come molti commentatori ebbero a notare già dal Cinquecento, l’incontro degli europei con mondi lontani e fino ad allora sconosciuti ebbe una vasta eco di ordine non solo economico, ma anche politico, sociale e culturale. La competizione tra Stati europei assunse una dimensione mondiale, le cui esigenze diplomatiche, militari e amministrative generarono mutamenti nelle strutture statali di vari paesi. La creazione delle compagnie privilegiate a capitale azionario permanente impresse una svolta al funzionamento dei mercati finanziari europei. Barriere legali e di informazione continuarono a limitare le basi sociali dei ceti mercantili, ma l’apertura di nuovi mercati creò nuove opportunità; nel frattempo, i mercanti cristiani dell’Europa occidentale si trovarono a fare affari con gruppi di intermediari e agenti con i quali non condividevano né fede religiosa né costumi, tra cui ebrei, armeni, greci, turchi e persiani residenti o di passaggio nei porti europei e in molti altri lontano da casa.

[…] L’espansione geografica, commerciale e territoriale europea mise in contatto tra loro mercati che erano precedentemente segmentati, ma questo processo fu discontinuo e parziale, e strutturalmente imparagonabile all’odierna globalizzazione. Inoltre, l’interconnessione di mercati geograficamente distanti e il prevalere commerciale delle potenze europee furono spesso il frutto, o comunque andarono di pari passo con l’espansione militare e territoriale e non vanno dunque semplicemente identificati con la vittoria del libero scambio o con una presunta superiore razionalità economica occidentale. Basti pensare che tra il 1665 (conquista della Giamaica) e il 1763 (fine della guerra dei Sette Anni1) la superficie dell’Impero britannico crebbe di ben cinque volte. Infine l’affermazione del europei nei commerci di lunga e lunghissima distanza avvenne attraverso forme organizzative e istituzionali che variarono considerevolmente nel tempo e di luogo in luogo, sebbene un’accelerazione dei processi di concentrazione economica si riscontri nella seconda metà del Settecento. Le stesse compagnie azionarie attive nell’Oceano Indiano, spesso ammirate per la loro efficienza gestionale, avevano due facce: quella delle direttive emesse in madrepatria e quella delle operazioni condotte in Asia, dove erano costrette ad adattarsi a costumi, politiche e rapporti di forza locali. Certo a partire dal Cinquecento gli europei assaporarono cibi di cui non avrebbero potuto immaginare l’esistenza; smisero di chiedersi la provenienza di vesti di colori e tessuti esotici, anche se sarebbe esagerato fare dell’omogeneizzazione dei costumi la chiave di lettura della formazione del mondo moderno a partire dal tardo Settecento, se non già al Cinquecento. Discontinuità, prevaricazioni e forti sbilanciamenti segnarono la prima, incerta fase della globalizzazione dei mercati.


tratto da I commerci europei e la prima, incerta globalizzazione dei mercati, in Storia d’Europa e del Mediterraneo. II. Dal Medioevo all’età della globalizzazione, dir. da Alessandro Barbero, Sezione V, L’età moderna (secoli XVI-XVIII), vol. X,  Ambiente, popolazione e società, a cura di R. Bizzocchi, Salerno, Roma 2009

 >> pagina 615

TESTO 2
Luciano Pezzolo

La moneta e i prezzi: integrazioni, fluttuazioni, divergenze

Pezzolo guarda alle interazioni fra mercati attraverso le oscillazioni del valore della moneta. In un panorama integrato ci si aspetterebbe di trovare prezzi più o meno uniformi, ma le ricerche dicono altro: nel Seicento, per esempio, si osservano pesanti divergenze fra aree talvolta anche vicine fra loro (si veda l’esempio di Londra e Amsterdam). La conclusione riconduce queste deviazioni a fattori molteplici che talvolta hanno un legame solo parziale con l’economia e che restano predominanti in territori circoscritti: guerre, politiche fiscali degli Stati, decisioni di autorità municipali.

La moneta assumeva diversi significati: anzitutto era una merce, un metallo più o meno pregiato, che poteva svolgere la funzione di riserva (tesoreggiamento); un mezzo di scambio e di pagamento, come s’incontrava nelle transazioni quotidiane; e infine un’unità di misura, impiegata nella contabilità. Nell’arco di tempo che va da Carlo Magno a Napoleone il sistema monetario presentava due tipi di moneta: la moneta reale, in metallo più o meno pregiato, e la moneta ideale, impiegata come unità di conto. Questa situazione implicava complessi meccanismi e reciproche influenze che, come vedremo, offrivano ampi spazi a speculazioni e tensioni sui mercati.

L’uso di una moneta di conto era dettato dalla necessità di trovare un comune denominatore che fornisse un’unità di misura delle numerose monete che circolavano, fossero esse pregiate o di mistura. Vi erano due meccanismi di cambio, uno che interessava il rapporto fra valute grosse e piccole all’interno dei confini dello Stato (cambio verticale), e l’altro che concerneva le reazioni fra monete nazionali e straniere (cambio orizzontale). I rapporti fluttuavano in relazione alla domanda e all’offerta di determinati conii, alla disponibilità di metalli monetabili pregiati, alle necessità della finanza statale. […]

Di recente l’interesse di alcuni studiosi si è rivolto al problema dell’integrazione dei mercati in età preindustriale. La questione non è di poco conto: il processo di integrazione in un insieme più vasto dovrebbe riflettere una maggior specializzazione commerciale della divisione internazionale del lavoro, una diminuzione dei costi di transazione, una maggior efficienza dei mercati nonché un aumento della produttività. Individuare le fasi dell’integrazione (o della disintegrazione) dei mercati significa, in ultima analisi, cogliere i mutamenti strutturali di un sistema economico. Si tratta pertanto di assegnare all’economia preindustriale capacità di trasformazione e di crescita che sino a non molto tempo fa erano sottovalutate o addirittura negate dalla storiografia.

Ritmi diversi, si è detto, caratterizzano la storia dei prezzi tra i vari paesi, e questa differenza fra i mercati europei si riscontra anche lungo il Settecento e ben addentro l’Ottocento. Sarebbe ingenuo attendersi che le serie iniziassero da un Cinquecento piuttosto disordinato e giungessero a un Settecento regolato da una cadenza generale che guida all’unisono l’andamento delle diverse piazze. Non c’è, insomma, una riconoscibile tendenza alla sincronizzazione. O meglio, il trend plurisecolare mostra certamente caratteri comuni, tuttavia le fasi appaiono segnate da forze contrastanti. […] Il quadro non è certo omogeneo: il processo di convergenza fra alcuni mercati sembra emergere durante il XVI secolo, ma in quello successivo i segni di disgregazione prevalgono, per poi attenuarsi lungo il Settecento. Basti considerare che le grandi piazze di Parigi e Londra nel Seicento hanno poco in comune con gli andamenti delle città italiane, mentre nei decenni precedenti [i parallelismi erano più significativi].

Occorre ovviamente chiedersi quali siano le cause di tali fluttuazioni. Non sembra che la tecnologia dei trasporti abbia influenzato in particolare misura l’intensità degli scambi. Le strade romane, che costituivano l’ossatura della rete viaria dell’Europa occidentale, erano pressoché immutate e solo a partire dalla metà del Settecento furono attuati sforzi per migliorare il sistema dei trasporti su terra e via fiume in Inghilterra e in Francia. Né, d’altro canto, è plausibile immaginare che la velocità di trasporto fosse inferiore nel Seicento rispetto ad altri periodi. Il clima potrebbe aver esercitato una certa influenza. Le fluttuazioni climatiche che interessarono il continente determinarono in una certa misura l’andamento dei raccolti, ma ciò non spiegherebbe i valori di scarsa correlazione fra centri relativamente vicini, come Londra e Parigi nel XVII secolo. Bisogna tuttavia tener conto della collocazione geografica dei mercati. È stato rilevato come città portuali olandesi, favorite per gli approvvigionamenti del grano baltico, mostrino un maggiore tasso di integrazione rispetto alle città interne, meno avvantaggiate dal punto di vista dei trasporti. Un altro fattore è dovuto alla conflittualità istituzionale. Guerre e situazioni di tensione sociale e politica di certo non favorivano gli scambi, contribuendo così a mantenere semimpermeabili i mercati. L’esempio dell’Europa centrale durante la Guerra dei Trent’anni è il più evidente, sebbene non risulti ancora agevole individuare una tendenza comune alle diverse aree della regione.

Altre analisi, più raffinate sul piano degli strumenti statistici, hanno mostrato che in effetti i mercati europei e ottomani non presentano sintomi di una significativa convergenza dei prezzi. Addirittura due piazze non distanti quali Londra e Amsterdam denunciano scarti elevati. Eppure, l’analisi dell’evoluzione dei mercati attraverso il prisma dei prezzi lascia intendere che vi furono dei processi di convergenza. Questa apparente contraddizione viene risolta distinguendo la scala dell’analisi: se è vero che l’area europea e l’area mediorientale non costituiscono un mercato integrato sino ben addentro l’Ottocento, è altresì vero che processi di convergenza si riscontrano in territori relativamente ampi, a livello regionale e interregionale. Sarebbe arduo riscontrare un mercato integrato nella Francia d’ancien régime, ma ciò non impedisce di individuare aree che presentano una notevole integrazione. [Al contrario], l’elevata differenza (circa il 40%) del prezzo del pane fra Leida e Kampen1 nella seconda metà del Settecento non è dovuta tanto ai costi di trasporto della segale – poiché la rete di trasporti nelle Provincie Unite era piuttosto efficiente – quanto ai costi di produzione, alla tassazione e alle politiche adottate dalle autorità municipali.


tratto da Prezzi, moneta e Stato, in Storia d’Europa e del Mediterraneo. II. Dal Medioevo all’età della globalizzazione, dir. da Alessandro Barbero, Sezione V, L’età moderna (secoli XVI-XVIII), Vol. X, Ambiente, popolazione e società, a cura di R. Bizzocchi, Salerno, Roma 2009

 >> pagina 617 
Il LINGUAGGIO della storiografia

Riconduci ciascuna delle seguenti espressioni allo storico che l’ha utilizzata e contestualizzala rispetto alla tesi sostenuta nei testi che hai letto (massimo 5 righe).


a) La moneta assumeva diversi significati.

b) La competizione tra Stati europei assunse una dimensione mondiale.

c) L’espansione geografica, commerciale e territoriale europea mise in contatto tra loro mercati che erano precedentemente segmentati.

d) Ritmi diversi caratterizzano la storia dei prezzi tra i vari paesi.

Storie A CONFRONTO

Individua la tesi di fondo dei due testi proposti aiutandoti con lo schema di inizio sezione e compila la seguente scheda di sintesi e comparazione dei documenti.


 

L’affermazione del commercio europeo sul pianeta: un percorso incerto

La moneta e i prezzi: integrazioni, fluttuazioni, divergenze

TESI

   

ARGOMENTAZIONI

   

PAROLE CHIAVE

   
Dal dibattito storiografico al DEBATE

Globalizzazione: pro o contro?


Riportiamo parte del lemma “Globalizzazione” pubblicato nell’Enciclopedia Treccani: «Termine adoperato, a partire dagli anni 1990, per indicare un insieme assai ampio di fenomeni, connessi con la crescita dell’integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del mondo».


a) Creazione dei gruppi di lavoro La classe si divide in due gruppi che sostengono tesi opposte:

Gruppo 1: Pro globalizzazione

Gruppo 2: Contro globalizzazione


b) competenza DIGITALE Laboratorio di ricerca a casa e in classe In classe si propone la lettura integrale del lemma che l’Enciclopedia online Treccani dedica a “Globalizzazione” (www.treccani.it/enciclopedia/globalizzazione/). In seguito, all’interno di ciascun gruppo, con la guida dell’insegnante, vengono raccolte informazioni sull’utilizzo del termine in ambito storico-economico.


c) Preparazione di argomentazioni e controargomentazioni Ciascun gruppo prepara le proprie argomentazioni e riflette sulle possibili repliche alle tesi del gruppo antagonista.


d) Dibattito Ciascun gruppo sceglie uno o più relatori che espongano almeno tre argomentazioni a favore della propria tesi, sostenendole con prove della loro validità (esempi, analogie, fatti concreti, dati statistici, opinioni autorevoli, principi universalmente riconosciuti, ecc.). In seguito, ciascun gruppo espone le controargomentazioni rispetto alle argomentazioni antagoniste. Con la guida dell’insegnante si conclude il dibattito con la sintesi e il bilanciamento delle posizioni.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715