Merci, monete, uomini, donne e bambini, insieme con piante, animali, microbi e idee hanno solcato lunghe distanze, per terra e per mare, fin dall’Antichità, talora in spostamenti da un continente all’altro. Ma quando ebbe inizio quel complesso fenomeno che oggi chiamiamo globalizzazione? Fu solo con la rivoluzione dei trasporti e delle comunicazioni che seguì l’apparizione delle ferrovie, delle navi a vapore e del telegrafo tra la fine del Sette e la metà dell’Ottocento? Oppure possiamo intravedere i prolegomeni della globalizzazione già nella crescita dei traffici medievali? E in ogni caso quali ne furono le forze motrici? Molte e diverse risposte sono state date a queste domande, anche in funzione del fatto che si definisca globalizzazione il solo allargamento geografico degli scambi economici e culturali oppure si dia a questo termine un significato più preciso di interconnessione dei mercati e crescente uniformità culturale. […]
Nelle pagine che seguono esamineremo […] i commerci tra l’Europa e gli altri continenti. Questa scelta potrebbe apparire come ideologica o parziale, considerando che dal punto di vista quantitativo l’agricoltura continuò a essere la prima fonte di reddito per la stragrande maggioranza delle popolazioni europee per l’intera durata dell’Età moderna, e i traffici intercontinentali rappresentarono una parte esigua del commercio in generale. Gli scambi intercontinentali furono […] di stimolo a importanti innovazioni in campo tecnologico, finanziario e istituzionale. Inoltre, il dibattito sulle origini e l’impatto dell’espansione commerciale europea ha coinvolto intellettuali e studiosi non da decenni, ma da secoli; ed è impossibile ignorare quanto del modo di scrivere e pensare la storia d’Europa moderna sia oggi legato all’evolversi di questo dibattito.
Ogni riflessione sul “quando” implica un riflessione sul “come” e “perché”. Le diverse letture che gli storici economici hanno dato dei tempi dell’espansione dei commerci europei transoceanici sono infatti inseparabili da ipotesi e spiegazioni delle ragioni che la misero in moto e le modalità secondo le quali questa si sviluppò.
Più che un’evoluzione progressiva, la storia dei commerci europei intercontinentali è la storia dei problemi che gli europei incontrarono e delle soluzioni che adottarono a seconda dei contesti cui si trovarono a far fronte. Non era scritto nel DNA dell’Europa che alla fine del Settecento l’Inghilterra sarebbe diventata la regione economicamente più sviluppata del mondo e avrebbe esteso il suo controllo politico ed economico sulla maggior parte del globo terrestre. Tant’è che fino al 1800 i tassi di produttività delle economie europea e cinese non mostrano sostanziali differenze. Eppure, è un fatto che gli europei profusero energie e risorse senza eguali nell’espansione dei loro traffici marittimi e furono i primi a creare un sistema di collegamenti intercontinentali sempre più integrato ed efficiente. […]
Ogni indagine sui commerci europei sulla lunga distanza deve tener conto del fatto che questi costituirono una piccola frazione dei traffici in generale. Rilevazioni delle merci in transito per lo stretto che separa il Mare del Nord dal Mar Baltico indicano che tra il 1631 e il 1760 sale e pesce furono di gran lunga più importanti dei beni coloniali, che pure crebbero rapidamente dopo il 1720. Come si è detto, le statistiche ufficiali mostrano che solo nell’ultimo quarto del Settecento l’Atlantico superò per importanza l’area mediterranea nelle importazioni ed esportazioni inglesi. Perché allora studiare i commerci transoceanici europei? Un po’, è inutile negarlo, perché ogni epoca guarda al passato come in uno specchio. Ma la scelta di questo tema non è del tutto autoreferenziale. Come molti commentatori ebbero a notare già dal Cinquecento, l’incontro degli europei con mondi lontani e fino ad allora sconosciuti ebbe una vasta eco di ordine non solo economico, ma anche politico, sociale e culturale. La competizione tra Stati europei assunse una dimensione mondiale, le cui esigenze diplomatiche, militari e amministrative generarono mutamenti nelle strutture statali di vari paesi. La creazione delle compagnie privilegiate a capitale azionario permanente impresse una svolta al funzionamento dei mercati finanziari europei. Barriere legali e di informazione continuarono a limitare le basi sociali dei ceti mercantili, ma l’apertura di nuovi mercati creò nuove opportunità; nel frattempo, i mercanti cristiani dell’Europa occidentale si trovarono a fare affari con gruppi di intermediari e agenti con i quali non condividevano né fede religiosa né costumi, tra cui ebrei, armeni, greci, turchi e persiani residenti o di passaggio nei porti europei e in molti altri lontano da casa.
[…] L’espansione geografica, commerciale e territoriale europea mise in contatto tra loro mercati che erano precedentemente segmentati, ma questo processo fu discontinuo e parziale, e strutturalmente imparagonabile all’odierna globalizzazione. Inoltre, l’interconnessione di mercati geograficamente distanti e il prevalere commerciale delle potenze europee furono spesso il frutto, o comunque andarono di pari passo con l’espansione militare e territoriale e non vanno dunque semplicemente identificati con la vittoria del libero scambio o con una presunta superiore razionalità economica occidentale. Basti pensare che tra il 1665 (conquista della Giamaica) e il 1763 (fine della guerra dei Sette Anni1) la superficie dell’Impero britannico crebbe di ben cinque volte. Infine l’affermazione del europei nei commerci di lunga e lunghissima distanza avvenne attraverso forme organizzative e istituzionali che variarono considerevolmente nel tempo e di luogo in luogo, sebbene un’accelerazione dei processi di concentrazione economica si riscontri nella seconda metà del Settecento. Le stesse compagnie azionarie attive nell’Oceano Indiano, spesso ammirate per la loro efficienza gestionale, avevano due facce: quella delle direttive emesse in madrepatria e quella delle operazioni condotte in Asia, dove erano costrette ad adattarsi a costumi, politiche e rapporti di forza locali. Certo a partire dal Cinquecento gli europei assaporarono cibi di cui non avrebbero potuto immaginare l’esistenza; smisero di chiedersi la provenienza di vesti di colori e tessuti esotici, anche se sarebbe esagerato fare dell’omogeneizzazione dei costumi la chiave di lettura della formazione del mondo moderno a partire dal tardo Settecento, se non già al Cinquecento. Discontinuità, prevaricazioni e forti sbilanciamenti segnarono la prima, incerta fase della globalizzazione dei mercati.
tratto da I commerci europei e la prima, incerta globalizzazione dei mercati, in Storia d’Europa e del Mediterraneo. II. Dal Medioevo all’età della globalizzazione, dir. da Alessandro Barbero, Sezione V, L’età moderna (secoli XVI-XVIII), vol. X,
Ambiente, popolazione e società, a cura di R. Bizzocchi, Salerno, Roma 2009