19.2 Gli europei tra Asia e Africa

19.2 Gli europei tra Asia e Africa

Rafforzamento degli Stati europei e colonialismo

La lotta per l’egemonia che interessò l’Europa fra Cinque e Seicento ebbe risvolti importanti anche sulle altre aree del pianeta. A mano a mano che gli Stati europei rafforzavano la propria posizione nel quadro continentale, infatti, cresceva anche la loro iniziativa verso l’esterno. Grazie anche alla collaborazione, talvolta diretta, con gli operatori economici privati, cui venivano forniti finanziamenti, strutture e appoggi militari, le potenze affacciate sull’Atlantico crearono nel corso del XVII secolo una serie di avamposti commerciali e di vere e proprie colonie in diverse aree dell’Asia, dell’Africa e delle Americhe, mentre gli oceani Atlantico e Indiano erano solcati da flotte europee sempre più consistenti.

Affrontando la concorrenza ottomana e superando la resistenza degli operatori locali, alla fine del Cinquecento i portoghesi avevano insediato agenti commerciali e funzionari nelle principali città portuali delle coste africane e asiatiche affacciate sul­l’Oceano Indiano. Nel 1581, tuttavia, il Portogallo finì nell’orbita della corona spagnola, al cui regno rimase formalmente unito fino al 1668, e conobbe da quel momento una lenta e inesorabile fase di declino, del tutto analoga a quella che viveva la Spagna. Il controllo dei territori d’oltremare si fece labile e i portoghesi persero la posizione di monopolio nei commerci avuta fino ad allora  [ 7]. A trarne vantaggio furono gli olandesi che, al contrario, si andavano proprio in quel momento emancipando dal potere iberico. Lo slancio espansivo vissuto in quei decenni dalla società olandese si tradusse nella costruzione di una potente flotta mercantile, composta da navi veloci e con grande capienza per il carico ma gestibili anche con equipaggi ridotti.

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L’impero commerciale olandese

L’attività degli olandesi in Asia gravitò intorno alla loro Compagnia delle Indie Orientali, fondata nel 1602 a pochi mesi di distanza da quella britannica. La sua struttura era simile a quella di una moderna società per azioni, la cui attività è finanziata tramite la vendita di quote sociali. I viaggi, in sostanza, erano finanziati da un azionariato diffuso: in cambio del versamento di una somma di denaro, l’investitore partecipava all’impresa organizzata dal mercante e riceveva guadagni commisurati all’entità della propria quota. I profitti erano cospicui, arrivando in alcuni casi a sfiorare il 20% della cifra versata per l’acquisto della partecipazione.

Anche se gli olandesi non diedero vita a un impero territoriale paragonabile a quelli creati da Spagna e Portogallo in America, il loro potere economico si tradusse spesso anche nella costruzione di apparati istituzionali e militari: per esempio grossi investimenti furono destinati all’artiglieria e al reclutamento di comandanti dotati di solide competenze belliche. In tal modo fu possibile sottrarre i porti e le tratte commerciali ad altre potenze marittime, neutralizzare gli attacchi dei pirati, ridurre all’obbedienza le popolazioni locali, sfruttare il lavoro degli schiavi e gestire grandi piantagioni.

Il quartier generale della Compagnia delle Indie Orientali fu stabilito sull’isola di Giava, presso l’attuale Giacarta, ma i territori coloniali comprendevano anche le Molucche, altre isole dell’arcipelago indonesiano, Malacca, Ceylon, fino all’importante scalo di Città del Capo, nell’Africa del Sud, che aveva un ruolo strategico importante, costituendo un passaggio per tutte le imbarcazioni europee che giungevano nell’Oceano Indiano circumnavigando il continente africano.

Le strategie francesi e inglesi in Oriente

Agli inizi del XVIII secolo, proprio quando la crisi dei grandi imperi asiatici si faceva più evidente, il sistema olandese cominciò a mostrare segni di difficoltà: il controllo della produzione e degli scambi comportava spese militari sempre più ingenti, facendo aumentare il costo di merci molto richieste come le spezie, che divennero di conseguenza meno appetibili sul mercato. Aveva tentato di approfittarne la Francia, ma con fortune alterne. Traducendo anche in chiave commerciale il progetto espansionista di Luigi XIV, aveva puntato sul rafforzamento dell’economia dello Stato secondo i principi del colbertismo, aumentando le esportazioni e riducendo al minimo le importazioni, cercando al contempo di cementare l’alleanza della monarchia con commercianti, banchieri e imprenditori [▶ cap. 18.2]. I risultati erano stati altalenanti: le imprese legate al Re Sole, infatti, non furono immuni da episodi di corruzione e i pochi avamposti di rilevante importanza furono stabiliti nelle isole Mauritius (al largo delle coste orientali africane) e, in India, a Mahé (sulla costa del Malabar) e a Pondichéry (sulla costa del Coromandel).

Ben diverso fu l’impatto dell’Inghilterra, che sfruttava una favorevole congiuntura economica interna riuscendo a esportare i suoi prodotti sui mercati asiatici, guadagnando sempre più terreno con la sua Compagnia a scapito di quella olandese. Già agli inizi del Seicento gli inglesi avevano ottenuto il permesso di costruire basi commerciali nella Persia dello scià Abbas il Grande, aiutando quest’ultimo a cacciare i portoghesi da Hormuz. Nella seconda metà del secolo e agli inizi di quello successivo, gli operatori inglesi approfittarono dello sfaldamento dello Stato safavide e dell’India moghul, riuscendo talvolta a stipulare accordi con i funzionari locali senza ricorrere all’uso della forza. I principali centri di attività furono stabiliti nelle regioni indiane del Bengala, del Coromandel e del Gujarat.

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Gli europei e i regni africani

Le potenze europee stabilirono propri domini anche sulle coste atlantiche dell’Africa subsahariana. Spagna, Inghilterra, Francia e Province Unite si contesero a lungo il controllo delle aree costiere occidentali, ma non riuscirono a penetrare stabilmente nel cuore del continente, anche a causa delle malattie che falcidiavano velocemente i colonizzatori.

Il tramonto dell’Impero Songhai, alla fine del XVI secolo, aveva indebolito un’area molto ampia che, per la sua notevole frammentazione politica, rischiava di rimanere esposta agli attacchi esterni. Questa situazione fu però parzialmente controbilanciata dall’affermazione dell’Impero Oyo, che nel corso del Seicento incorporò anche il regno del Dahomey e diventò un punto di riferimento per tanti altri piccoli regni, raccogliendo le forze militari necessarie per tenere i nemici lontano dall’entroterra [ 8]. I regni di Congo e Ndongo cessarono di esistere, mentre sopravvisse quello di Loango, che trasse vantaggi dagli scambi con i mercanti europei. Nella parte orientale del continente, invece, l’Impero Rozwi affermò il suo potere sull’altopiano dello Zimbabwe, mentre intorno al Buganda, nella regione centrorientale dei Grandi laghi, tradizionalmente suddivisa in molti piccoli regni, si costruì un organismo politico forte

Il commercio triangolare

Più che la presenza militare degli europei, furono i loro interessi commerciali ad avere conseguenze devastanti sugli equilibri di queste terre, soprattutto nell’ampia regione compresa fra la Guinea e il Sudan Occidentale. Il sistema del “commercio triangolare”, come è stato chiamato, funzionava così: una fitta rete di operatori europei, che agiva per conto di poteri politici e di interessi privati, vendeva in Africa prodotti finiti (armi e tessuti in particolare, ma anche bevande alcoliche) in cambio di schiavi che venivano deportati nelle Americhe per essere sfruttati nelle grandi piantagioni e nelle miniere [ 9]. Nel Seicento questa tratta di esseri umani fu controllata da portoghesi e spagnoli, che sfruttavano il contratto di monopolio dell’asiento [▶ cap. 18.4]. Il loro primato tuttavia non durò molto: già alla fine del secolo gli inglesi cominciarono a entrare attivamente in questo giro di affari, talvolta grazie ad azioni clandestine. Le popolazioni dell’area subsahariana pagarono sulla loro pelle gli effetti di questo meccanismo perverso, finendo in balia di un’interminabile spirale di violenza: divennero sempre più frequenti incursioni e rapimenti organizzati da gruppi criminali alla ricerca di veloci guadagni attraverso la vendita di esseri umani [ 10] . Si calcola che fino all’Ottocento gli schiavi africani deportati in America furono circa 12 milioni.

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Il commercio triangolare ebbe anche altre conseguenze. Regioni come il Congo, l’Angola e la Costa d’Oro rimasero quasi prive di popolazione maschile (più ricercata per via della durezza del lavoro nelle piantagioni e nelle miniere) e le donne assunsero quindi un ruolo sempre più importante nella manifattura e nelle coltivazioni; la sproporzione numerica fra i due sessi stimolò inoltre la diffusione di strutture familiari poligamiche. Le abitudini alimentari del continente africano furono trasformate dall’introduzione del mais proveniente dalle Americhe, così come dal riso asiatico. In ambito artigianale, i manufatti europei, soprattutto quelli in ferro e acciaio, soppiantarono la produzione locale, sommandosi ai danni già prodotti dalla carenza di forza lavoro dovuta alla tratta, e ne determinarono la rapida decadenza.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
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Dal 1000 al 1715