18.6 La Russia di Pietro il Grande

18.6 La Russia di Pietro il Grande

La dinastia Romanov

Fino ai decenni centrali del Seicento la Russia – uno Stato immenso, esteso dal fiume Dnepr fino ai confini orientali della Siberia – fu segnata da una grave instabilità politica. La dinastia Romanov [▶ cap. 15.6] fece molta fatica ad assumere il controllo delle aree rurali, dominate dai signori locali e attraversate da periodiche crisi economiche e da rivolte, dovute al malcontento per la persistenza della servitù della gleba e degli altri vincoli che legavano i lavoratori della terra ai proprietari. Molti contadini erano costretti a impiegare gran parte della settimana lavorativa prestando servizio nei campi dei signori, sopportando i loro abusi e affrontando quotidianamente una giustizia iniqua. Le loro rimostranze non erano dunque rivolte contro il fisco regio, come in altre aree dell’Europa; al contrario, essi tendevano a considerare il potere centrale come un potenziale alleato nella lotta per l’affrancamento dalla tirannia dei signori locali.

Le difficoltà furono aggravate da un’epidemia di peste scoppiata nel 1654 e da un grave conflitto religioso innescato dalle riforme liturgiche volute da Nikon, patriarca di Mosca (1652-58). Nikon aveva voluto cambiare il rito russo per uniformarlo a quello greco e poter così far apparire la Chiesa di Mosca come diretta erede di Costantinopoli. Il progetto aveva trovato l’appoggio dello zar Alessio Romanov (1645-76) , che mirando a espandersi in Ucraina voleva presentarsi come campione di tutti gli ortodossi. Ma l’unità di vedute tra lo zar e il patriarca si ruppe sulla questione della supremazia tra potere civile e religioso, mentre i cambiamenti introdotti nella liturgia suscitarono aspre reazioni, tanto che i conservatori si separarono dalla Chiesa ufficiale. La frattura religiosa venne repressa con durezza: i dissidenti (denominatisi “Vecchi credenti”) furono uccisi, deportati in Siberia o costretti all’esilio.

L’assolutismo e i modelli occidentali

Alla fine del secolo, anche in Russia furono sperimentate nuove modalità di organizzazione statale e di gestione del potere di tipo assolutistico. Dopo la sua ascesa al trono, Pietro I detto “Il Grande” (1682-1725) [▶ protagonisti]. volle risollevare il paese guardando ai modelli politici ed economici che si stavano affermando in alcune monarchie occidentali.

Pietro viaggiò in incognito in Inghilterra, Olanda, Francia e Germania, dove lavorò e studiò le tecnologie più avanzate dell’epoca. Persuaso che il suo paese dovesse diventare un punto di riferimento per l’intera area orientale del continente europeo, tornato in patria diede inizio a una ristrutturazione radicale del sistema produttivo. Con l’aiuto di scienziati e tecnici reclutati in Occidente fece costruire grandi cantieri e indirizzò (talvolta in maniera forzosa) masse di lavoratori nella zona degli Urali, dove fu incentivata l’estrazione mineraria a scopi militari. Fu dato inoltre forte impulso al settore tessile e alla lavorazione dei metalli. Sul piano fiscale, le entrate furono aumentate anche grazie alla confisca e secolarizzazione dei beni della Chiesa ortodossa.

L’apparato amministrativo dello Stato fu sottoposto un riordino complessivo, sgradito alle fazioni nobiliari. Fu infatti istituito un senato al quale avevano accesso uomini scelti in base alle loro competenze specifiche più che all’appartenenza a famiglie influenti. Nuove opportunità di carriera furono inoltre offerte a coloro che avevano prestato servizio nei ranghi dell’esercito o che si erano distinti per il lavoro svolto nella direzione di uffici pubblici.

Pietro spostò anche la capitale da Mosca a una nuova città, San Pietroburgo, fondata sulla costa affacciata sul Baltico [ 11]. Concepita come centro commerciale e navale, San Pietroburgo fu destinata a diventare il punto di connessione fra la Russia e l’area continentale europea: una finestra sull’Occidente, capace di rappresentare, per la Russia, l’ingresso in una nuova epoca.

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  protagonisti

Pietro il Grande

Un controverso eroe russo

Pur operando senza sistematicità e talvolta in maniera caotica, Pietro il Grande mostrò molta determinazione nel cambiare il suo paese, partendo proprio dai costumi. I cortigiani e i membri dell’esercito dovettero modificare il loro modo di vestire, mentre ai notabili fu imposto il taglio della barba, simbolo della dignità sociale. L’apertura ai modelli europei fu certamente problematica: una porzione notevole del paese – principalmente i contadini e i boiari – rimaneva ancora legata alle tradizioni e poco disposta ad accogliere le trasformazioni imposte dall’alto.

Il forte accentramento del potere nelle mani dello zar sollevò infatti non pochi malcontenti, che a loro volta alimentarono in lui continui sospetti, soprattutto nei confronti degli ambienti di corte. Molti furono gli esili e le condanne a morte, fra le quali quella dello stesso primogenito Alessio: accusato di aver cospirato contro il regno del padre con i membri della più antica nobiltà, fu torturato e ucciso il 26 giugno del 1718 a San Pietroburgo. Nonostante i molti aspetti negativi, la figura di Pietro apparve come quella di un eroe nazionale, che aveva innalzato lo spirito della Russia facendone una grande potenza.

Lo zar in Occidente

Nel resto dell’Europa il mito di Pietro si consolidò nel corso del XVIII secolo, soprattutto grazie a opere di scrittori come Voltaire. Il celebre filosofo francese, a partire dagli anni Trenta del Settecento, diffuse presso il pubblico colto europeo un’immagine contrastante di Pietro, lodato per aver creato “una nazione nuova” e per aver riformato una società complessa come quella russa, ma anche criticato con asprezza per la mancanza di una caratteristica necessaria a un virtuoso riformatore: l’umanità.

Dalle parole di Voltaire emergevano con forza i tratti più inquietanti del suo carattere e del suo governo: la natura selvaggia e incontrollata, la barbarie, la ferocia, il desiderio di vendetta.

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L’esercito

Particolare attenzione fu dedicata alla riforma dell’esercito, con il sostanziale riconoscimento di simili opportunità di carriera ai nobili e ai contadini. Il reclutamento fu inoltre basato su una forma di coscrizione obbligatoria ispirata a quella in uso in alcune monarchie occidentali, grazie alla quale si fece ricorso sempre minore ai mercenari.

La gestione dell’esercito fu strettamente legata a quella dell’economia, con la creazione di poli per la produzione di armamenti coordinati da tecnici provenienti dall’estero, o comunque da russi istruiti in altri paesi. A fronte del ricorso alle competenze estere, tuttavia, lo zar fu anche consapevole dell’opportunità di sviluppare all’interno del suo Stato le conoscenze necessarie ai propri progetti di crescita. A questo scopo, fra le altre cose, furono disposti investimenti nel campo dell’istruzione e venne fondata un’Accademia delle Scienze (1724).

L’espansione a est
In questi anni giunse inoltre a una fase cruciale la colonizzazione della Siberia, che fino a poco prima si era basata quasi solo sullo sfruttamento dei proventi della caccia allo zibellino (il cui manto era utilizzato per la produzione di pregiate pellicce), e che si apriva ora a nuove attività economiche, accogliendo minatori, allevatori e contadini incoraggiati a migrare verso est. La sterminata area che dalle propaggini dell’Europa orientale giungeva fino all’Oceano Pacifico fu disseminata diguarnigioni militari, trasformando la Russia in uno degli Stati più vasti dell’epoca (quasi un sesto della superficie terrestre).

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L’egemonia russa e la fine del primato svedese sul Baltico

Proprio nell’area baltica Pietro concentrò buona parte dei suoi sforzi bellici. Nell’intento di contrastare il primato svedese, strinse un’alleanza con la Polonia e la Danimarca e dichiarò guerra nel 1700 al re Carlo XII (1697-1718), dotato di grandi capacità militari. Pur incassando sonore sconfitte nelle prime battaglie, lo zar si mostrò tutt’altro che disposto ad abbandonare i suoi propositi. Fu a causa della sua perseveranza che il conflitto – ricordato in seguito come “Grande guerra del Nord” [ 12] – divenne lungo e sfiancante. Si concluse solo nel 1721, con l’annessione alla Russia di territori cruciali dal punto di vista strategico come l’Ingria, l’Estonia, la Livonia e la Carelia [ 13].

In seguito a questa affermazione (ratificata dal Trattato di Nystad), Pietro poté proclamare la nascita dell’Impero russo. Nei successivi anni 1722-23 lo zar allargò le sue mire espansionistiche anche al Caucaso e al Mar Caspio sostenendo un’altra impegnativa guerra contro la Persia, con esito vittorioso. Sul fronte settentrionale, la Svezia vide invece tramontare la sua egemonia sul Baltico. Lo stesso Carlo XII perse la vita in battaglia nel 1718 e l’arretramento del paese nel contesto internazionale non rimase senza conseguenze per gli assetti del potere interno: l’assolutismo lasciò spazio infatti a un nuovo sistema in cui le responsabilità di governo erano divise fra monarca, parlamento e consiglio di Stato.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715