18.3 La monarchia asburgica e l’Impero ottomano

18.3 La monarchia asburgica e l’Impero ottomano

L’epoca di Leopoldo I e Mehemet IV

Con la conclusione della Guerra dei Trent’anni, il ramo imperiale della dinastia asburgica aveva dovuto rinunciare al progetto di affermare un potere assoluto sull’intero territorio e di perseguire l’uniformità religiosa entro i confini imperiali, permettendo in molte regioni l’avanzata delle confessioni protestanti. In compenso, la prestigiosa casata consolidò la sua identità cattolica sul territorio austriaco, guardando con sempre maggiore interesse all’area balcanica, controllata in larga parte dal sultano ottomano [ 5]. La minaccia turca impose all’imperatore Leopoldo I (1658-1705) di difendere i confini orientali, impedendogli di esercitare un ruolo più attivo nel continente, tale da controbilanciare l’egemonia della Francia.

L’impero ottomano, all’epoca sotto la guida di Mehemet (Maometto) IV (1648-87), stava intanto affrontando gravi problemi di organizzazione interna. Gli apparati centrali, sempre meno in grado di esercitare un’efficiente riscossione dei tributi, mostravano ormai la corda di fronte ai poteri provinciali di notabili e burocrati che rivendicavano maggiori autonomie: i governatori locali dell’area balcanica avevano assunto un potere sempre più ampio, e le consorterie nobiliari si mostravano insofferenti verso le imposizioni del sultano. I giannizzeri, il celebre corpo di fanteria addetto, fra le altre cose, alla difesa del sultano, erano ormai diventati una casta sempre più legata alle terre e alle ricchezze personali. Una buona fetta di potere era stata inoltre trasferita nelle mani del gran visir (carica monopolizzata in questi anni dalla famiglia di origine albanese dei Koprulu), un capo militare che gestiva gli affari di Stato e che poteva essere esautorato solo dal sultano in persona. Il governo centrale non poteva contare nemmeno sull’appoggio incondizionato delle autorità religiose, gli ulema: facendo leva sul loro ruolo di sapienti ritenuti a conoscenza della volontà di Dio, essi cominciarono a farsi portatori di una cultura conservatrice, opponendosi a ogni tentativo di riforma. Non stupisce, in questa situazione, che si verificassero diversi episodi di insubordinazione sia fra i ceti eminenti sia fra i membri degli apparati militari.

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L’assedio di Vienna del 1683

Nonostante le difficoltà interne, Mehemet promosse una politica estera aggressiva, dirigendo le sue mire verso Vienna. Ordinò un primo attacco nel 1663, sventato da un’armata comandata dal nobile di origine modenese Raimondo Montecuccoli e appoggiata da contingenti sassoni, bavaresi e francesi. Vent’anni più tardi il sultano diede nuovo vigore al progetto, affidando il comando delle operazioni al gran visir Qara Mustafa e mettendogli a disposizione ben 140 000 uomini. La reazione fu immediata: il primo a schierarsi a fianco degli Asburgo fu il re di Polonia Giovanni III Sobieski, timoroso che gli ottomani potessero entrare nel cuore dell’Europa e minacciare i suoi domini; altri rinforzi arrivarono dai principati tedeschi (Baviera, Franconia, Assia, Sassonia) e da Stati italiani come il Granducato di Toscana, la Repubblica di Venezia e il Ducato di Mantova.

Le truppe cristiane non erano militarmente ben preparate, mancavano di un coordinamento centrale e dovettero affrontare anche epidemie e problemi di approvvigionamento. Ciò nonostante riuscirono a respingere l’assalto e a passare al contrattacco, approfittando della ritirata dei nemici [ 6]. La vittoria rinvigorì la propaganda antislamica e l’identità cattolica del potere asburgico. Rafforzò inoltre gli Stati che avevano fatto parte della coalizione vincente ed ebbe conseguenze rilevanti anche sul piano geopolitico, con la formazione di una Lega Santa sotto gli auspici di papa Innocenzo XI (1676-89).

La presenza ottomana nell’area balcanica venne invece ulteriormente ridimensionata, visto che di lì a poco gli Asburgo d’Austria riuscirono a occupare anche tutta l’Ungheria. Dopo aver scalfito un potere territoriale e militare che fino ad allora era parso privo di punti deboli, Vienna tese sempre più a dirigere la sua politica espansionistica verso sud e verso est, alleggerendo in compenso la pressione sull’area tedesca e sui Paesi Bassi, a loro volta costretti – come abbiamo visto – a difendersi dall’espansionismo francese. Con la Pace di Carlowitz del 1699, fra l’altro, gli Asburgo ottennero dall’Impero ottomano anche il controllo della Transilvania e della Croazia. Anche la Repubblica di Venezia trasse importanti vantaggi dall’accordo, guadagnando il possesso della Morea (Peloponneso), della Dalmazia e dell’isola ionia di Santa Maura (l’odierna Lefkada).

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Le conseguenze della sconfitta ottomana

Il ripiegamento dell’Impero ottomano produsse effetti importanti anche in Africa. Impossibilitata a espandersi a nordovest, l’iniziativa commerciale turca si intensificò lungo il corso del Nilo e intorno al Mar Rosso. Queste aree, pur non essendo ancora completamente sottoposte al dominio del sultano [ 7], si trovarono così coinvolte in nuove correnti di scambi con l’entroterra asiatico e l’India. La presenza commerciale si traduceva inoltre in influenza religiosa, e così tutta la regione fu interessata da un rinnovato processo di islamizzazione.

Nella fascia settentrionale del continente, già parzialmente affrancata dal governo ottomano negli anni Venti del Seicento, le dinastie locali approfittarono della debolezza dell’impero per rafforzare il controllo del territorio e sviluppare intorno ad alcune città, fra cui di Algeri, Tunisi, Tripoli, organismi statali autonomi, definiti dagli europei come “barbareschi”. Tali Stati fondarono la propria floridità economica sul commercio, ma soprattutto sulle scorrerie dei pirati e sul rapimento di naviganti provenienti dall’Europa cristiana, restituiti ai loro paesi d’origine in cambio di ricchi riscatti [▶ protagonisti].

18.4 Il declino spagnolo, la situazione della penisola italiana e il tramonto del Re Sole

Le conseguenze della sconfitta ottomana
 Nel 1665, alla morte di Filippo IV, salì al trono di Spagna Carlo II d’Asburgo (1665-1700) che, avendo appena quattro anni, fu posto sotto la tutela della madre Marianna d’Austria. La donna lasciò grandi spazi d’azione alle consorterie aristocratiche e a un gruppo di consiglieri non sempre avveduti, fra i quali spiccavano direttori spirituali appartenenti all’ordine gesuitico.

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I segni della crisi economica erano ormai evidenti e apparivano privi di soluzione, soprattutto nell’area castigliana. Il paese era sfiancato dalle guerre e le finanze versavano in uno stato miserevole; per di più i creditori stranieri, che avevano concesso i numerosi prestiti serviti per affrontare le spese militari, premevano per ottenere la restituzione delle somme dovute. In questa situazione, i provvedimenti volti a reperire le poche risorse disponibili, come la vendita dei titoli nobiliari, non potevano risolvere i problemi e anzi erano semmai ulteriore causa del malfunzionamento dello Stato. A ciò si aggiunsero anche una micidiale pestilenza (1647-51) e problemi di carattere più strettamente politico. I tentativi di ricondurre all’obbedienza il Portogallo si rivelarono inutili e si arrivò, dopo una lunga guerra, al riconoscimento ufficiale dell’indipendenza nel 1668.

Negli anni Ottanta ci fu un’inversione di tendenza. Le ragioni di questo fenomeno non sono ancora del tutto chiare, ma è probabile che la spinta decisiva venne dalle aree della penisola iberica che avevano manifestato in passato posizioni fortemente identitarie, rivendicando le loro autonomie nei confronti della corona. La vivacità politica fu accompagnata dal fiorire di iniziative economiche promosse da un ceto mercantile che riuscì a crearsi nuove opportunità sciogliendo in parte i vincoli che lo legavano alla nobiltà terriera. I Paesi Baschi si mostrarono capaci di intraprendere una fitta rete di scambi con l’Europa continentale, mentre la Catalogna beneficiò delle fortune del porto di Barcellona che acquisì una nuova centralità nel Mediterraneo. La produzione agricola crebbe, insieme alla manifattura e al commercio interno. Nel giro di poco tempo, gli stimoli derivanti dalle trasformazioni in corso aiutarono anche la crescita demografica.

Il potere centrale rimaneva però debole e le tensioni serpeggianti intorno al trono erano aggravate dall’ipotesi, sempre più concreta, di un’estizione della dinastia. Il sovrano, infatti, soffriva di gravi problemi di salute e non aveva né figli né fratelli pronti a succedergli.

  protagonisti

I corsari barbareschi nel Mediterraneo

Il fenomeno della pirateria ha origini antiche, ma nel Mar Mediterraneo raggiunse punte altissime di violenza a partire dal XVI secolo. I corsari provenivano in gran parte dall’area del Maghreb e si alleavano di volta in volta con potenze (all’inizio Francia e Spagna) in competizione fra loro, per depredare navi e fare incursioni nei territori costieri. Talvolta erano “rinnegati”, ovvero persone che si erano convertite all’islam abbandonando il cristianesimo.

Per reagire a queste iniziative, le autorità secolari ed ecclesiastiche europee favorirono la nascita di istituzioni finalizzate alla raccolta di risorse per il riscatto degli schiavi (definite spesso “case per la redenzione dei captivi”) o di ordini cavallereschi con la missione della difesa della fede. Uno dei più famosi nella penisola italiana fu l’Ordine di Santo Stefano, istituito da Cosimo I de’ Medici nel 1562: ne facevano parte i massimi esponenti della nobiltà toscana che, attraverso il sodalizio, confermavano la loro fedeltà al granduca.

Con il tramonto della dinastia medicea nel corso del Settecento anche i cavalieri stefaniani persero il loro prestigio. Il loro non fu tuttavia un caso isolato: i poteri monarchici cristiani cominciarono infatti a riconsiderare le loro posizioni, aprendo una nuova fase nella quale furono messe da parte le tensioni militari con gli Stati musulmani, dando priorità alle relazioni commerciali e diplomatiche.

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Le difficoltà dell’Italia

La penisola italiana attraversò, dopo la metà del Seicento, un periodo di gravi difficoltà. Alle conseguenze devastanti della Guerra dei Trent’anni nell’area settentrionale si aggiunse una violenta pestilenza che, fra il 1656 e il 1657, si propagò per il Mezzogiorno, lo Stato pontificio e Genova. Nel Regno di Napoli morì circa un quinto della popolazione mentre nella capitale la quantità di decessi fu di gran lunga maggiore: solo a distanza di tre decenni cominciarono a vedersi i segni di una ripresa demografica che riportò l’intera area vicina ai livelli di inizio secolo. Sul piano socio-politico, il potere dell’aristocrazia e del clero rimase forte; la vivace vita intellettuale napoletana – che aveva prodotto prestigiose istituzioni filosofico-scientifiche come l’Accademia degli Investiganti – subì un grave colpo fra il 1688 e il 1697, quando l’Inquisizione processò diversi uomini di cultura (come gli avvocati Filippo Belli e Giacinto De Cristofaro) con l’accusa di ateismo, costringendoli all’abiura. Invece lo Stato di Milano godette di maggiori attenzioni da parte dei dominatori spagnoli, vista la sua importante posizione strategica nello scacchiere geopolitico europeo [ 8]. I prodotti alimentari arrivavano con maggiore facilità e anche i prodotti locali godettero di maggiori sbocchi di mercato, assicurando condizioni di vita sufficientemente agiate anche ai ceti umili.

Ai suoi confini, il Ducato di Savoia affrontò una grave crisi sociale, in conseguenza degli eventi bellici europei e della crisi dinastica che seguì la morte di Vittorio Amedeo I (1630-37). I poteri signorili ne approfittarono per estendere i loro privilegi fino all’arrivo di Carlo Emanuele II (1663-75) che riuscì a rafforzare il potere centrale e a risollevare l’economia grazie a iniziative che ricordavano, per certi versi, quelle adottate in Francia.

La Repubblica di Venezia non riuscì più a incidere sui traffici mediterranei come in passato, ripiegando su una politica più prudente. A poco valsero gli sforzi di trattenere Candia (Creta) contro l’aggressività dell’Impero ottomano e anche l’influenza sul Peloponneso si rivelò instabile. Lo stesso primato sull’Adriatico fu messo in discussione dalla concorrenza di Ragusa (attuale Dubrovnik). Dal punto di vista della produzione artigianale, comunque, la città si mantenne prospera e vivace, come pure sul piano culturale, con spettacolari feste che attiravano visitatori da diversi paesi.

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Lo splendore artistico e architettonico fu, al contempo, l’elemento caratterizzante dell’immagine di Roma sul panorama internazionale. Le piazze, le fontane e gli sfarzosi palazzi cardinalizi non riuscirono tuttavia a occultare il declino del prestigio della Santa Sede, sempre meno capace di incidere nei rapporti diplomatici fra le grandi potenze europee. Soprattutto nelle aree del Lazio, l’economia era saldamente aggrappata al sistema del latifondo, in grado di favorire esclusivamente l’arricchimento di poche famiglie aristocratiche.

La Guerra di successione spagnola

Gli equilibri del continente europeo agli inizi del Settecento furono fortemente condizionati dalla situazione della Spagna, sfiancata dagli scontri con la Francia di Luigi XIV e incapace di arginare le spinte autonomistiche presenti all’interno del suo vasto dominio. La debolezza del sovrano Carlo II d’Asburgo [▶ protagonisti] divenne particolarmente evidente nell’ultimo decennio del Seicento: le sue condizioni di salute erano precarie e l’ipotesi di trovare un erede divenne impraticabile. Nelle principali corti europee si cominciò a discutere sulla successione e molti avanzarono pretese, vantando legami sia diretti sia indiretti con la dinastia regnante.

La posta in gioco era altissima. Impadronirsi del trono di Spagna significava acquisire il diritto di controllare possedimenti immensi, che andavano dagli Stati italiani ai Paesi Bassi, fino al Nuovo Mondo [ cap. 15.1]. Il re di Spagna morì nel 1700 e lasciò indicazioni testamentarie precise, designando come successore Filippo di Borbone, duca d’Angiò e nipote del re di Francia. L’imperatore del Sacro Romano Impero Leopoldo I non accettò questa soluzione, proponendo la candidatura di suo figlio, l’arciduca Carlo. Leopoldo raccolse l’appoggio di Inghilterra, Prussia e Savoia, determinate nel rifiuto di consegnare nelle mani del Re Sole una fetta di potere tanto grande e pronte quindi a dare inizio a un nuovo conflitto destinato a durare per oltre un decennio.

I contendenti ebbero alterne fortune, fino a quando le ostilità cominciarono a esaurirsi nel 1711. Uno degli accadimenti decisivi per il cambiamento degli equilibri in campo fu, proprio in quell’anno, la morte dell’imperatore Giuseppe I, succeduto al padre Leopoldo, e la conseguente ascesa al trono di Vienna del fratello, che prese il nome di Carlo VI. Si trattava di quello stesso arciduca Carlo che ambiva alla corona iberica e che, se avesse raggiunto l’obiettivo, avrebbe potuto riportare in vita l’immenso apparato politico che era stato sotto il controllo del suo antenato Carlo V [ cap. 12]. Le forze della coalizione antifrancese scelsero quindi di scongiurare questa possibilità optando per quello che ritenevano essere il male minore.

Con i Trattati di Utrecht e Rastadt del 1713-14, Filippo di Borbone (ormai Filippo V) fu confermato re di Spagna, Milano, Napoli e Sardegna, mentre i Paesi Bassi passarono agli Asburgo [ 9]. La Sicilia fu invece assegnata a Vittorio Amedeo II di Savoia, che aveva combattuto a fianco dell’Impero e che nel 1720 accettò di scambiarla con la Sardegna. L’Inghilterra ottenne il controllo di Gibilterra (importante sul piano strategico come porta del Mediterraneo) e ampi territori dell’America settentrionale sottratti alla Francia. Riuscì inoltre ad affermare il suo primato su privilegi commerciali come l’▶ asiento, il monopolio sullo sfruttamento degli schiavi neri nelle proprie colonie.

  protagonisti

Carlo II fra esorcismi e lotte di potere

L’ultimo Asburgo di Spagna fu soprannominato Carlo lo Stregato. La sua salute era stata infatti debole fin dalla nascita: imparò molto tardi a parlare, ebbe serie difficoltà a camminare fino all’età di otto anni e anche da adulto fu costretto ad appoggiarsi a un sostegno per muoversi. Soffriva di continui mal di testa e di forti attacchi influenzali; aveva problemi alimentari ed era persino soggetto a reazioni di collera. Ciò nonostante visse per 39 anni ed ebbe due mogli: Maria Luisa d’Orléans (1662-89) e Maria Anna di Neuburg (1667-1740).

Fu proprio quest’ultima a finire sul banco degli imputati nel 1698, accusata da un esorcista (Álvarez Argüelles) di aver ordinato un sortilegio ai danni del re. La nobildonna riuscì a zittire i suoi detrattori e continuò a esercitare pressioni sul marito ormai agonizzante, sostenendo una successione austriaca. Contro di lei agivano i membri della fazione filoborbonica che promuovevano invece il candidato francese.

Gli ultimi anni del Re Sole e le critiche al suo potere

L’esito della Guerra di successione spagnola arrise ancora una volta a Luigi XIV, ma il paese uscì sfiancato dallo sforzo bellico. La popolazione aveva vissuto momenti drammatici durante una carestia scoppiata nel 1709-10 che, aggravata anche da una generale ondata di freddo calata sul continente europeo, causò una crisi di approvvigionamento e numerosi tumulti per l’appropriazione delle riserve di grano. Le difficoltà economiche aprirono nuovi spazi per tensioni sociali che sfociarono in episodi di ribellione.

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Anche intellettuali e aristocratici cominciarono ad abbandonare la causa del Re Sole e a esprimere insofferenza verso le sue politiche assolutistiche. Fra questi il teologo e pedagogo François de Salignac de La Mothe-Fénelon (1651-1715) che cadde in disgrazia e fu bandito dalla corte: fra le colpe più gravi che gli vennero attribuite, c’era la pubblicazione del romanzo Le avventure di Telemaco (1699), che prendeva di mira le politiche belliche e le strategie economiche adottate dalla monarchia, ritenute causa di impoverimento per popolazione francese [▶ protagonisti].

L’avanzata di nuove idee contrarie ai valori assolutistici affermati dal sovrano si rese visibile anche nel mondo scientifico-filosofico. Dopo essere stato costretto a rifugiarsi nei Paesi Bassi dall’infuocato clima delle persecuzioni religiose e dalla revoca dell’Editto di Nantes, il pensatore ugonotto Pierre Bayle (1647-1706) espose i risultati più significativi dei suoi percorsi di ricerca nel Dizionario storico-critico, toccando diversi campi del sapere e mettendo a nudo l’incoerenza e la contraddittorietà di tanti procedimenti conoscitivi del suo tempo. L’affermazione di questo esule nel mondo intellettuale faceva da ideale contraltare alla decadenza del potere di Luigi XIV che morì nel 1715, lasciando lo Stato in una situazione difficile sia sul piano economico che su quello politico. L’erede designato era infatti Luigi d’Angiò, nipote del suo primogenito Luigi detto “il Gran Delfino”, morto nel 1711: alla scomparsa del bisnonno, che aveva regnato per 72 anni, il nuovo re aveva solo cinque anni.

  protagonisti

Fénelon

Fu educatore di Luigi di Borbone, duca di Borgogna, nipote di Luigi XIV ed erede al trono di Francia. Nonostante la sua posizione a corte, espresse idee in contrasto con l’assolutismo regio e la politica di predominio sviluppata dal monarca. Molte delle sue suggestioni confluirono nelle Avventure di Telemaco: attraverso il racconto delle peripezie del mitico figlio di Ulisse, Fénelon intendeva sostenere la necessità di un potere meno attento agli sfarzi e alla mondanità cortigiana e più concentrato sugli ideali di giustizia e di virtù.

Avendo sollevato le ire del Re Sole, lo scrittore fu costretto a rifugiarsi in Belgio e poi si stabilì a Cambrai (dove occupava la cattedra vescovile), cercando di condurre una vita riservata e di occuparsi dell’istruzione dei fedeli. Il suo capolavoro ebbe una lunga fortuna nel XVIII e XIX secolo, diventando uno dei libri più letti dai giovani.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715