18.2 L’economia e la politica estera sotto Colbert

18.2 L’economia e la politica estera sotto Colbert

L’economia e il ruolo dello Stato

Mentre Luigi XIV saliva al trono, il paese si trovava in una fase di dissesto economico. L’impegno nella Guerra dei Trent’anni era stato gravoso, ma non minori danni erano stati portati dalle rivolte contadine, dalle fronde e dal cattivo funzionamento del sistema di prelievo fiscale.

Le sorti delle finanze pubbliche furono affidate a Jean-Baptiste Colbert (1618-84), un funzionario statale di estrazione borghese che aveva conquistato la fiducia del potente ministro Mazzarino. Oltre a ricorrere a espedienti già impiegati dai suoi predecessori, come la vendita di uffici pubblici, Colbert introdusse provvedimenti che imponevano anche ai ceti privilegiati di contribuire a rimpinguare le casse della corona e a sostenere le spese militari: con la “▶ capitazione” ciascuno era chiamato a pagare in base al proprio rango, mentre la decima reale colpiva le grandi proprietà fondiarie.

Ma, soprattutto, Colbert cercò di stimolare la produzione e la circolazione interna delle merci, secondo un orientamento definito in seguito mercantilismo, assegnando allo Stato un ruolo cruciale nel preservare la ricchezza del regno attraverso una politica commerciale protezionistica, che tendesse cioè a “proteggere” la produzione nazionale disincentivando le importazioni di beni stranieri [▶ idee, p. 560].

Le misure che più immediatamente applicavano questi principi erano i dazi imposti sui beni provenienti da oltreconfine. Ma la strategia colbertiana era più ampia. La chiave di volta del sistema economico doveva essere, secondo il ministro, l’alleanza dello Stato con i mercanti, i banchieri e gli imprenditori. Egli puntava, in particolare, a porre la marina mercantile a capo di un sistema di traffici con le colonie e i porti d’oltreoceano che permettesse di aumentare le esportazioni e ridurre al minimo le importazioni. Per il commercio con l’Oriente furono fondate apposite società, come la Compagnia francese delle Indie Orientali (1664) e quella del Levante (1670); nel contempo fu dato impulso alla colonizzazione di vaste aree dell’America settentrionale, come vedremo più in dettaglio nei capitoli seguenti.

 >> pagina 560 

  idee

Il mercantilismo

“Mercantilismo” è un termine che si afferma fra Sette e Ottocento per indicare due fenomeni diversi, anche se collegati: il sorgere di nuovi orientamenti nel pensiero economico e l’affermazione di alcune concrete politiche economiche, come abbiamo visto nel caso del “colbertismo”, che di tali orientamenti è l’espressione più compiuta.

Le dottrine mercantiliste

Il mercantilismo affermava in primo luogo l’utilità e la desiderabilità di accrescere la ricchezza di un paese. Non è un fatto scontato - come può apparire a un osservatore del XXI secolo - se si considera che le dottrine morali e religiose del tempo tendevano ancora a privilegiare l’attesa della vita ultraterrena piuttosto che gli sforzi per migliorare il mondo terreno.

Ma di quale ricchezza parliamo? La riflessione mercantilista parte dal presupposto che la quantità di ricchezza di un paese o di un continente sia presente in misura data e che non si possa incrementare se non in seguito a un aumento della popolazione (che significa più bocche da sfamare ma anche più braccia per produrre ricchezza). In assenza di movimenti demografici rilevanti, dunque, un paese può diventare più ricco solo a discapito di altri paesi.

Un’economia basata sulla competizione

Scopo della politica economica mercantilista è quindi ottenere la fetta più grande dalla torta della ricchezza disponibile. Per farlo, un paese deve aumentare i volumi del proprio commercio estero, esportando più beni di quelli che importa. Le esportazioni, infatti, determinano un maggiore afflusso nel paese di denaro (capitale) che, se investito in attività produttive, permetterà di aumentare la produzione. Questo, a sua volta, si tradurrà in un maggiore benessere interno e in ulteriori esportazioni, che consentiranno di incrementare la quota nazionale del volume complessivo del commercio internazionale. Come si vede, è una logica economica fortemente competitiva, in cui ogni vantaggio per un paese corrisponde a uno svantaggio per qualcun altro.

Il sostegno alla produzione nazionale

Colbert destinò inoltre risorse e agevolazioni alla produzione manifatturiera del paese, sovvenzionando la produzione artigianale di beni di lusso per la nobiltà seguendo la dottrina economica mercantilistica ma anche i soggetti disposti a investire in settori dell’industria in cui la Francia non era particolarmente forte; si arrivò persino a creare imprese con capitale pubblico. Cercò inoltre di attuare un rigido regime di controllo sui processi produttivi, ordinando ispezioni volte a stimolare l’efficienza, ma anche assicurandosi che categorie ai margini della società, come quella dei mendicanti, fossero tolte dalle strade e sottoposte a una nuova disciplina, tramite la chiusura forzata in case di lavoro. Le comunicazioni interne, infine, furono rafforzate con la costruzione di strade e canali.

La maggioranza della popolazione continuava comunque a trarre sostentamento dall’agricoltura, che non ricevette particolari vantaggi dalle nuove politiche.

Le guerre di Luigi XIV

Le risorse ottenute attraverso la riorganizzazione economica promossa da Colbert servirono in gran parte a finanziare l’esercito. Il regno di Luigi XIV fu infatti caratterizzato da strategie belliche aggressive e da un crescente deterioramento dei rapporti con le altre potenze europee.

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Nel 1667 il sovrano diede inizio a un nuovo conflitto con la Spagna, mirando ai Paesi Bassi meridionali, che erano rimasti sotto il controllo della corona iberica dopo l’indipendenza ottenuta dalle Province Unite [ cap. 17.1]. Le reazioni non si fecero attendere: fu l’Inghilterra in particolare, a prendere il controllo delle operazioni antifrancesi, creando una coalizione con le Province Unite e la Svezia che riuscì a frenare l’espansione francese verso la Manica.

Nonostante ciò, all’inizio degli anni Settanta il Re Sole cominciò a vedere i risultati concreti di questa politica espansionistica, riuscendo a ottenere, in momenti successivi, l’annessione della Franca Contea, dell’Alsazia (acquisita in parte già nel secolo precedente e con la Pace di Vestfalia [ cap. 16.3]) e di Strasburgo [ 4]. La supremazia francese sull’Europa occidentale raggiunse l’apice in questo periodo, con le potenze concorrenti che non sembravano avere le forze necessarie per battere il suo esercito ben organizzato ed equipaggiato.

Nel 1688 Luigi XIV cercò di entrare nel cuore del mondo tedesco invadendo il Palatinato. I soldati francesi, spinti dalla fame e sfiniti da un impegno militare che sembrava non avere termine, ricorsero a scorribande e saccheggi, devastando orrendamente il paese. Il Sacro Romano Impero reagì, ottenendo l’appoggio dei principi territoriali e di Inghilterra, Olanda, Spagna e Svezia. Le ostilità continuarono fino al 1697, quando fu firmata la Pace di Ryswijk. L’intento della coalizione antifrancese era quello di mettere fine a un disegno aggressivo ed egemonico che si stava ormai dispiegando da decenni, ma in realtà gli accordi non furono dannosi per il sovrano francese, che riuscì a conservare tutti i territori precedentemente conquistati.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715