18.1 L’accentramento del potere nella Francia di Luigi XIV

Per riprendere il filo…

La fine della Guerra dei Trent’anni (1648) e la Pace dei Pirenei del 1659 avevano segnato il definitivo tramonto dell’egemonia spagnola in Europa. La Francia, pur lacerata dalle ribellioni interne (le rivolte nelle campagne e le “fronde” dei parlamenti e dei principi), era uscita rafforzata dal conflitto e, sotto la guida del cardinal Mazzarino, ministro del re, aveva avviato un processo di consolidamento delle proprie strutture burocratiche e diplomatiche. Il ramo imperiale degli Asburgo fu invece costretto ad accettare l’avanzata di altri poteri territoriali sul territorio tedesco, come quello del Brandeburgo-Prussia. In Inghilterra, dopo una fase guerra civile, si era affermato un nuovo modello di monarchia, fondato sulla centralità del parlamento; ai cambiamenti politici si era accompagnata una notevole intraprendenza commerciale sui mari, dal Mediterraneo all’Atlantico, che faceva ormai una dura concorrenza ai mercanti delle Province Unite, resesi definitivamente indipendenti dal dominio spagnolo.

18.1 L’accentramento del potere nella Francia di Luigi XIV

Luigi XIV re di Francia

Quando divenne re di Francia, nel 1643, Luigi XIV non aveva nemmeno cinque anni. Fino al 1651 egli fu dunque sotto la tutela della madre, Anna d’Austria, figlia di Filippo III di Spagna; per i successivi dieci anni poté contare inoltre sul supporto del cardinale Giulio Mazzarino, che si trovò ad affrontare le rivendicazioni di nobili e burocrati che mettevano in discussione il rafforzamento dell’autorità monarchica [▶ cap. 16.4].

Alla morte di Mazzarino, nel 1661, Luigi XIV assunse personalmente il potere. I suoi obiettivi furono chiari fin dall’inizio: sulla terraferma la priorità era la difesa dei confini, mentre sui mari il nuovo re intendeva combattere la concorrenza inglese e olandese traendo tutti i vantaggi possibili dal doppio sbocco sul Mediterraneo e sull’Atlantico.

Un potere assoluto?

Per dotarsi degli strumenti necessari a realizzare il suo progetto, il sovrano promosse una riorganizzazione del regno a diversi livelli, mettendo in atto una politica assolutistica ferma e compiuta. Spinto da un’idea della regalità intimamente connessa al concetto di potenza, egli cercò anzitutto di ristrutturare gli apparati militari e le forze di polizia.

Per la gestione dello Stato si affidò a un sistema strutturato, in cui i compiti erano divisi in maniera razionale. Il re presiedeva di persona il Consiglio superiore nel quale si riunivano i delegati per la guerra e gli affari esteri. Il Consiglio dei “dispacci” si occupava della corrispondenza proveniente dalle province, mentre il Consiglio delle “parti” vigilava sulle questioni di giustizia. Per il controllo del territorio Luigi XIV si affidò alla mediazione di ministri qualificati provenienti dalla nuova nobiltà di toga, anziché dalla tradizionale nobiltà di spada, valorizzando il ruolo del Consiglio di Stato e impegnando in misura maggiore gli intendenti, che svolgevano un compito essenziale per il funzionamento della macchina statale garantendo la comunicazione fra il potere centrale e le province.

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Se gli intendenti erano alle strette dipendenze del re, i detentori di cariche venali, i cosiddetti officiers, potevano invece godere di maggiore autonomia, anche in virtù dell’ereditarietà delle loro posizioni. Così, pur facendo il possibile per ridurli all’obbedienza, il monarca era talvolta costretto a far loro delle concessioni per assicurarsi il loro appoggio. La dimensione assolutistica del potere del sovrano, sostenuta dal suo carisma personale e affermata con orgoglio sul piano della propaganda, si rifletteva dunque solo in parte nell’esperienza concreta di governo e in una società ancora legata a privilegi particolaristici tradizionali, che limitavano di fatto le prerogative del potere centrale. Un esempio eloquente viene dall’amministrazione della giustizia, spesso ancora nelle mani dei signori feudali o delle corti. Le corti di giustizia più importanti erano i parlamenti, che tendevano ad applicare norme variabili da luogo a luogo. In alcune aree del paese operavano inoltre i tribunali religiosi, inflessibili nella repressione dei reati contro la morale pubblica (quali la bestemmia, il sacrilegio o l’adulterio).

La corte e la celebrazione del “Re Sole”

Temendo la riottosità degli abitanti di Parigi, periodicamente protagonisti di disordini e rivolte, Luigi XIV decise di stabilire la sua sede fuori città, nel fastoso Palazzo di Versailles, ultimato nel 1682 [▶ luoghi]. In questo luogo, adornato dalla presenza delle immagini trionfali del dio Apollo e del Sole, scelto come simbolo della sua regalità, egli organizzava banchetti e ricevimenti nei quali i cortigiani sfilavano secondo un ordine gerarchico corrispondente al loro rango. I detentori di poteri feudali erano invece costretti ad abbandonare i loro distretti per andare a rendergli omaggio, accompagnati da servitori e altri sottoposti. Pur di non sfigurare in presenza dei loro pari e di difendere il prestigio della propria casata, gli aristocratici erano pronti a investire somme ingenti in viaggi, abiti, beni di lusso e servitù, trovandosi poi in difficoltà finanziarie cui rimediava lo stesso re attraverso doni e pensioni. In virtù di questo sistema, Versailles diventava specchio ideale di un potere munifico e privo di limiti teorici, che esibiva il suo splendore di fronte a sudditi obbedienti e adoranti [▶ altri LINGUAGGI, p. 576].

Le politiche religiose e la revoca dell’Editto di Nantes

Diversamente da quanto abbiamo visto a proposito di Filippo II di Spagna [▶ cap. 15.1], le grandi ambizioni personali di Lui­gi XIV non poggiavano su profonde convinzioni religiose. Nondimeno, egli utilizzò la politica religiosa per realizzare la sua idea di potere e di Stato, fondata sulla compattezza del corpo dei sudditi, che dovevano essere accomunati da un unico sistema di valori, di convinzioni e di tradizioni. La memoria delle rivolte contadine e delle fronde era ancora viva nel paese [▶ cap. 16.4], così come quella delle guerre di religione di fine Cinquecento, che avevano lasciato ferite profonde [▶ cap. 15.5]. Per queste ragioni, il monarca cominciò a mostrare ostilità verso le minoranze ebraiche e gli ugonotti, privando questi ultimi del diritto di accesso a cariche pubbliche e sottraendo loro tutti gli spazi di autonomia conquistati nei decenni precedenti.

Nel 1685 fu emanato l’Editto di Fontainebleau, che revocava la libertà di culto concessa dall’Editto di Nantes del 1598 e stabiliva di fatto l’obbligo di conversione al cattolicesimo per tutti i protestanti che vivevano nel regno [▶ FONTI]. Almeno 200 000 persone furono costrette ad abbandonare la Francia, e molte di loro si erano distinte per la loro intraprendenza economica come artigiani. Fu in particolare la Prussia calvinista, che accolse una quantità di profughi, a trarre vantaggio economico dalle loro capacità. Altri esuli si rifugiarono in Inghilterra, nelle Province Unite e in Svizzera, o addirittura fuori dal continente [ 1]. Nel dicembre del 1687 un’imbarcazione di ugonotti arrivò nella colonia olandese del Capo di Buona Speranza, nell’estremo Sud del continente africano, e si unì agli europei già insediati nell’area: “▶ boeri” e coloni bavaresi, austriaci e prussiani.

  luoghi

La Reggia di Versailles

Il finanziamento della nuova residenza reale

La costruzione della Reggia di Versailles ebbe costi notevoli e fu completata in diverse fasi. In un primo momento il luogo era stato pensato come una residenza occasionale del sovrano, che fu dunque costretto ad attingere al suo patrimonio personale. Con l’ascesa al potere del ministro delle finanze Jean-Baptiste Colbert, invece, divenne sempre più chiaro che l’edificio doveva rappresentare la monarchia francese e ospitare gli uffici di governo. Il finanziamento dell’opera divenne quindi parte integrante delle politiche economiche dello Stato. Coerente con il suo obiettivo di stimolare gli apparati produttivi del paese, il ministro Colbert curò che tutti i materiali utilizzati fossero prodotti in Francia.

Struttura e caratteristiche della reggia

Il re e la regina ebbero a loro esclusiva disposizione i cosiddetti “grandi appartamenti” posti al primo piano, utilizzati anche per gli eventi che coinvolgevano gli ospiti. Altre sezioni del palazzo erano invece riservate alle loro esigenze private. La “Galleria degli specchi” era destinata alle cerimonie più spettacolari.

Un ruolo importante era riservato al giardino (con i suoi parterre – le aiuole ornamentali – e i suoi boschetti) e al parco di caccia che era circondato da una cinta muraria di circa 43 chilometri (oggi non più visibile, dopo vari abbattimenti) intervallata da varie porte monumentali (circa 20, poche delle quali ancora conservate).

La vita di corte

Le regole di corte erano molto rigide e privilegiavano l’ammissione di individui abili nell’esercizio dell’arte della conversazione o della dissimulazione. La vita a Versailles somigliava a un immenso spettacolo teatrale che ruotava intorno alla figura del monarca, ossessivamente seguito dai cortigiani in tutti i suoi movimenti, dal risveglio mattutino alla fine della giornata. Essere ospitati in uno degli appartamenti disponibili (specialmente in quelli collocati nei pressi delle stanze del re) era considerato dai nobili o dai funzionari dello Stato francese come un incommensurabile privilegio. Miravano a essere idealmente abbracciati dalla luce emanata dal monarca: il loro comportamento era stimolato dall’idea di poter consolidare, in tal modo, il loro prestigio o di poter acquisire nuova credibilità. I testi dei grandi drammaturghi del tempo, come Jean Racine o Molière, denunciano il conformismo e mettono a nudo i limiti dell’autorità di medici e giudici, denunciando una cultura che assegnava all’apparenza un ruolo fondamentale.

Il rapporto con la Chiesa e il papato

Le politiche del Re Sole si distinsero per la loro fermezza anche nei rapporti con le autorità cattoliche. Le diocesi e i monasteri furono posti sotto il controllo di famiglie vicine al monarca, allo scopo di garantirgli supporto e fedeltà. Anche nella geografia ecclesiastica del paese, dunque, si rese concreta la forza di un potere capace di ramificarsi e di far sentire la propria presenza fino ai luoghi più lontani da Parigi ed estranei agli splendori della corte. 

I pontefici accolsero le decisioni di Luigi XIV mostrando volontà di collaborazione, ma i rapporti si incrinarono con l’esplosione della questione della régale, una serie di diritti regi su alcune diocesi, in base ai quali in alcune diocesi alla morte del vescovo le rendite rimanevano a disposizione della corona fino all’insediamento di un nuovo titolare. A partire dagli anni Settanta, il sovrano volle estendere queste prerogative all’intero territorio dello Stato. Alcuni membri dell’alto clero protestarono per questa ingerenza in questioni che erano state fino ad allora prerogativa della Chiesa di Roma, ma negli anni Ottanta una porzione maggioritaria del clero, schierata a fianco del re, ribadì l’autonomia della Chiesa francese da Roma, secondo i principi del gallicanesimo.

Nel 1693 lo scontro giunse a una svolta. Papa Innocenzo XII (1691-1700) accettò l’estensione della régale, ma solo a patto di vedere consolidata la sua alleanza con il sovrano francese, che con la sua politica estera aggressiva stava intanto alterando gli equilibri europei. Luigi XIV accettò di buon grado questa condizione, consapevole del ruolo che il capo della cristianità cattolica poteva ancora giocare sul piano internazionale.

FONTI

L’Editto di Fontainebleau

Gli articoli proposti testimoniano l’intransigenza della monarchia nei confronti della minoranza ugonotta. Le soluzioni di compromesso proposte quasi un secolo prima dall’Editto di Nantes risultavano ormai lontane dal progetto assolutistico di Luigi XIV, nel quale l’unità confessionale tornava a essere presupposto essenziale per l’unità politica. Nel testo però non mancano le contraddizioni, a testimonianza di quanto fosse difficile tradurre sul piano pratico la volontà di accentrare il potere e il controllo. L’articolo XII, per esempio, concedeva ai protestanti il diritto di commerciare e di godere delle loro proprietà: la pretesa di ridurre all’obbedienza l’intero corpo dei sudditi entrava in conflitto con l’esigenza di salvaguardare il benessere economico del paese.

I. Facciamo sapere che Noi, […] di nostra sicura scienza, pieno potere e Regia autorità, abbiamo con il presente editto perpetuo e irrevocabile, soppresso e revocato [...] l’editto del Re nostro predecessore, emanato a Nantes nel mese di aprile del 1598, in maniera integrale […]; e di conseguenza vogliamo e così ci piace, che tutti i templi di quelli della suddetta Religione Cosiddetta Riformata1 presenti nel nostro regno, paesi, terre e signorie di nostra obbedienza, siano al più presto demoliti.

II. Vietiamo ai nostri sudditi della Religione Cosiddetta Riformata di riunirsi per praticare il culto […] in luoghi o case private, con qualunque pretesto o scusa […].

III. Vietiamo allo stesso modo a tutti i signori di qualsivoglia condizione di praticare culti nelle loro case e feudi [...], con pena di arresto e confisca dei beni per tutti i sudditi che si impegnano in tali esercizi.

IV. Imponiamo a tutti i ministri2 della Religione Cosiddetta Riformata che non intendono convertirsi e abbracciare la Religione Cattolica, Apostolica e Romana, di uscire dal nostro regno […] entro 15 giorni dalla pubblicazione del nostro presente editto, senza il permesso di trattenersi oltre né quello di tenere prediche, esortazioni o altre funzioni nello stesso tempo di 15 giorni, a pena della galera. […]

VIII. Riguardo ai bambini che nasceranno da genitori della suddetta Religione Cosiddetta Riformata, vogliamo che siano d’ora in poi battezzati dai curati delle parrocchie. […]

X. Facciamo espresso e continuato divieto a tutti i sudditi della Religione Cosiddetta Riformata di uscire, loro, le loro mogli e i loro figli, dal nostro regno […], e di esportare i loro beni e averi, a pena della galera degli uomini, dell’arresto e della confisca dei beni per le donne.

XII. Potranno i fedeli della Religione Cosiddetta Riformata, in attesa che Dio voglia illuminarli come gli altri, rimanere nei villaggi e nei luoghi del nostro regno [...] continuando i loro commerci e godendo dei loro beni senza essere soggetti a molestie né ostacolati con il pretesto della suddetta Religione Cosiddetta Riformata, a condizione di non praticare il culto della detta religione e di non radunarsi con il pretesto di preghiere o servizi religiosi, qualunque sia la loro natura, a pena di arresto e confisca dei beni. […]


C. Bergeal, A. Durrleman (a cura di), Protestantisme et libertés en France au 17e siècle: de l’édit de Nantes à sa révocation. 1598-1685, La Cause, Carrières-Sous-Poissy 2001

Il giansenismo e il ruolo dei gesuiti

A subire le conseguenze della volontà del re di preservare l’unità religiosa, intanto, non furono più soltanto le minoranze di altre religioni, ma anche correnti interne allo stesso cristianesimo. Fu in questo periodo che iniziarono le persecuzioni contro i giansenisti, che esaltando l’importanza della spiritualità interiore guardavano con fastidio le forme rituali imposte dalla Chiesa e dallo Stato, così come le metodologie dell’ordine gesuitico, giudicate lassiste e unicamente esteriori, prive di significati autentici [▶ cap. 16.2]. L’abbazia cistercense di Port Royal, centro di aggregazione per il movimento giansenista, fu distrutta all’inizio del XVIII secolo per espresso ordine del sovrano. Furono invece proprio i gesuiti a influenzare idee e orientamenti del monarca francese, portando a esempio, fra l’altro, anche esperienze maturate nel continente asiatico [ 2].

Basandosi sulle visioni della religiosa Marguerite-Marie Alacoque (1647-90) del monastero della Visitazione di Paray-le-Monial, i membri della Compagnia costruirono inoltre la fortuna del culto del Sacro Cuore di Gesù [ 3], con l’intento di legarlo alla sacralità del potere monarchico e di farlo diventare un riferimento per l’intero popolo francese.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715