16.2 L’Europa del primo Seicento

16.2 L'Europa del primo Seicento

Il declino della Spagna e il ruolo della monarchia

Le trasformazioni sociali ed economiche che si verificarono nel continente agli inizi del Seicento ebbero conseguenze sui processi di consolidamento in corso in alcune monarchie europee, in particolar modo Spagna e Francia. Il nuovo re spagnolo, Filippo III (1598-1621), dovette affrontare la difficile situazione della Castiglia, che per decenni era stata crocevia dell’economia della penisola iberica e dei domini stranieri della corona. Il declino aveva cause profonde, risalenti al secolo precedente, quando l’incremento dei prezzi [▶ cap. 15.1] aveva provocato un duplice effetto: i generi alimentari erano diventati più costosi, mettendo in difficoltà i ceti meno abbienti; i ceti ricchi, al contrario, avevano accentuato la loro tendenza all’esibizione del lusso e alla pratica dell’ozio. Inoltre il settore agricolo, a causa della sua scarsa produttività, non riusciva più a garantire il sostentamento della popolazione rurale. Di conseguenza, le campagne si erano spopolate e le importazioni di generi di prima necessità e di manufatti erano aumentate; le città, in questo contesto, si trasformavano in centri di consumo e parassitismo.

Le difficoltà nel controllo dei domini della corona, a partire da quello dei Paesi Bassi (nonostante la pace sancita nel 1609, nota come “tregua dei dodici anni”), fiaccò ancor di più un potere centrale già di per sé fragile. Infatti il debole Filippo III era stato incapace di arginare il potere dei validos, i favoriti del re, che avevano assunto enormi poteri decisionali nell’ambito della vita di corte [▶ protagonisti]. Per frenare il declino del paese non mancarono proposte di riforme politiche e finanziarie, ma la nobiltà aveva interesse a mantenere uno sfruttamento estensivo delle campagne per l’allevamento, anche se poco redditizio, mentre la monarchia puntava a ricompattare le divisioni interne individuando un nemico esterno: ancora una volta dunque si preferì percorrere la via militare, riaprendo le ostilità con la Francia, l’Inghilterra e le altre potenze europee.

A peggiorare la situazione intervennero scelte di politica interna e religiosa destinate a rivelarsi deleterie dal punto di vista economico. Nel 1609 Filippo III decise di espellere i moriscos, i sudditi di origine araba convertiti al cristianesimo. Ben 300 000 persone abbandonarono la penisola iberica per raggiungere il Nord Africa, aggravando la crisi demografica già in corso; si trattava inoltre di individui economicamente attivi, il cui contributo all’agricoltura, al commercio e alla manifattura veniva ora meno. Una parziale inversione di tendenza si ebbe sotto Filippo IV (1621-55) che si affidò completamente all’azione del suo ministro Gaspar de Guzmán, conte-duca di Olivares (1587-1645). Oltre a riorganizzare il sistema fiscale e a rafforzare il controllo delle colonie (sempre più in balia dei mercanti e dei pirati olandesi), il ministro si impegnò a rinfoltire l’esercito, obbligando ciascuna provincia a fornire un contingente di armati. In questo modo la corona arrivò a disporre di ben 140 000 effettivi al suo servizio.

L’Impero germanico fra cattolicesimo e protestantesimo

Il Sacro Romano Impero, controllato dal ramo collaterale della dinastia asburgica, era caratterizzato da un’estrema frammentazione politica e religiosa [ 1]. Sotto la guida di Rodolfo II (1576-1612) la corte accrebbe il suo prestigio, trasferendosi da Vienna a Praga dove attirò un gran numero di scrittori, artisti e alchimisti. La politica religiosa di Rodolfo fu improntata alla tolleranza verso il protestantesimo, ma la pace fra le diverse confessioni cristiane fu messa in discussione tanto dai principi del Palatinato, calvinisti, che nel 1608 fondarono l’Unione evangelica, quanto dai duchi di Baviera, che ergendosi a difensori della fede romana costituirono una Lega cattolica sostenuta anche dalla Spagna (1609).

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Con l’ascesa al trono di Mattia d’Asburgo (1612-19) e poi di Ferdinando II (1619-37) si segnò un’inversione di tendenza rispetto alla tolleranza religiosa. I gesuiti furono accolti nei territori sottoposti al controllo diretto della corona (Stiria, Tirolo, Carinzia), dove fondarono nuovi collegi, mentre le confessioni protestanti cominciarono a essere marginalizzate e la famiglia regnante consolidò il suo rapporto con la Chiesa, usando la religione come elemento coagulante sia contro l’avanzata luterana e calvinista (che aveva successo proprio in funzione antiasburgica), sia contro la minaccia turca. Ai confini orientali dell’Impero rimaneva infatti costante la pressione degli ottomani, che dopo la fase espansiva del primo Cinquecento, quando erano arrivati a conquistare Buda e assediare la stessa Vienna [▶ cap. 12.5], erano stati respinti ma mantenevano il controllo di gran parte dell’Ungheria.

La Francia di de Sully e Richelieu

In Francia, l’ascesa al trono di Enrico IV di Borbone segnò la fine delle ostilità con la Spagna, oltre che delle guerre di religione che avevano lacerato il paese [▶ cap. 15.5]). I danni provocati dai lunghi conflitti interni erano stati notevoli, ma nonostante ciò la ripresa fu rapida. La gestione degli affari dello Stato fu assegnata al ministro ugonotto Maximilien de Sully (1560-1641), che irrobustì la burocrazia e riordinò il sistema di imposizione e riscossione delle tasse.

Le grandi casate aristocratiche continuavano a controllare i territori periferici – fatto che nei decenni precedenti aveva creato attriti e divisioni nel paese –, ma in questo periodo consolidarono il loro legame con il potere centrale. Rimanevano però forti le tensioni legate allo scontro confessionale. Il passato calvinista di Enrico IV continuò a suscitare ostilità nei cattolici più intransigenti e, nel clima di sospetto alimentato da questi ultimi, nel 1610 un fanatico tese un agguato alla carrozza che trasportava il sovrano per le strade di Parigi, riuscendo ad assassinarlo.

L’episodio aprì un nuovo periodo di instabilità. L’erede al trono, Luigi XIII (1610-43), aveva solo nove anni ed era perciò posto sotto la tutela della madre, Maria de’ Medici (1575-1642), seconda moglie di Enrico IV. Quest’ultima si circondò però di fiduciari incapaci e corrotti [▶ protagonisti], che lasciarono ampio spazio agli abusi dell’aristocrazia e misero in campo politiche fiscali che colpivano quasi esclusivamente i ceti più umili.

La situazione mutò a partire dall’inizio degli anni Venti, dopo l’ingresso nel Consiglio del re del cardinale Armand-Jean du Plessis, duca di Richelieu (1585-1642), che si fece subito spazio fra le gerarchie di corte. Sul piano interno Richelieu mirò a rafforzare le strutture statali, destinando le risorse derivanti dal prelievo fiscale alla retribuzione degli intendenti, funzionari dotati di competenze finanziarie, giudiziarie e di polizia e incaricati del controllo delle province. Per il ministro, inoltre, il prestigio della corona doveva fondarsi sulla forza del suo esercito, che venne rafforzato.

Sul piano della politica religiosa, Richelieu ridimensionò bruscamente l’atteggiamento permissivo nei confronti dei protestanti. Pur confermando la libertà di culto sancita dall’Editto di Nantes [▶ cap. 15.5], il nuovo ministro attaccò le piazzeforti ugonotte, pagando anche un notevole prezzo in termini di vite umane (come a La Rochelle, l’ultimo presidio a cadere nel 1627-28) [ 2]. Gli ordini monastici che si erano affermati in seguito al Concilio di Trento, e in particolar modo i gesuiti, poterono godere di ampi margini d’azione, ma il rifiuto di una sottomissione assoluta alla Santa Sede continuò a caratterizzare la specificità religiosa francese (la cosiddetta tradizione gallicana).

Vi fu anche, in questo periodo, una prima diffusione del giansenismo, un movimento religioso che, ispirandosi al pensiero di Cornelius Otto Jansen (1585-1638), accentuava lo spirito cristiano delle origini e insisteva sulla necessità della grazia di Dio per la salvezza del genere umano, dotato di una natura intrinsecamente corrotta. In aperta polemica con i gesuiti, considerati troppo morbidi verso il lassismo diffuso, i giansenisti predicavano una morale rigorosa. La Chiesa di Roma reagì in maniera risoluta, pronunciando diverse condanne del giansenismo, ma nonostante gli sforzi dello stesso Richelieu la dottrina mantenne vigore per lungo tempo, affermando la sua presenza anche fuori dai confini francesi nel corso del XVIII secolo.

Molta attenzione fu dedicata anche alle questioni economiche, in particolare nel sostegno al commercio marittimo e alla penetrazione coloniale in Africa, nelle Antille e in Canada. Il cardinale si adoperò anche per rafforzare l’identità culturale del paese. Nel 1635 nacque l’Accademia di Francia (Académie française), con il compito di accogliere uomini di cultura pronti a celebrare le glorie del potere e a orientare il pensiero e l’azione dei ceti dirigenti. I membri del sodalizio furono chiamati anche a perfezionare la lingua, conferendole regole precise.

  protagonisti

I favoriti alla corte del re: i casi di Spagna e Francia

La figura di Gaspar de Guzmán, conte-duca di Olivares è cruciale per le sorti della Spagna, ma è anche rappresentativa di una tendenza più ampia manifestatasi in diverse monarchie nell’Europa del Cinquecento e del Seicento: il potere attribuito ai “favoriti del re”, infatti, non fu un tratto specifico della corona iberica e si configurò come una manifestazione complessa del tentativo delle corti di affermare la loro presenza nei quadri del potere centrale.

Ascesa e caduta del conte-duca

Olivares cominciò la sua scalata al potere partendo già da una posizione privilegiata. Era infatti il figlio dell’ambasciatore spagnolo presso la Santa Sede e non fu arduo per lui ottenere nel 1615 la nomina di gentiluomo di camera dell’erede al trono (il futuro Filippo IV, divenuto re nel 1621). Cominciò a influenzarlo in profondità sul piano caratteriale, arrivando perfino a dirigere le sue scelte. Divenuto titolare della direzione dello Stato, Olivares guardò con molta attenzione al bilancio e alla razionalizzazione dell’amministrazione interna. Cercò di ridimensionare l’autonomia dei diversi regni, principalmente quelli italiani, l’Aragona, il Portogallo, e contemporaneamente di stimolare un più omogeneo assetto istituzionale. Presto si svelò il suo intento di ricostruire il prestigio imperiale spagnolo, ma l’impegno nella Guerra dei Trent’anni si tradusse in un clamoroso insuccesso (come vedremo più avanti in questo capitolo) e in un ulteriore sgretolamento del quadro politico. Olivares cadde in disgrazia e lasciò definitivamente il potere nel 1643.

Alterne fortune dei favoriti in Francia

Dopo la morte di Enrico IV di Borbone (1610), Maria de’ Medici divenne la reggente del figlio Luigi XIII e delegò una fetta consistente di decisioni alla sua confidente personale, Leonora Dori Galigai (1568-1617) e al consorte Concino Concini (1570-1617), proveniente da una famiglia notarile fiorentina. Quest’ultimo sfruttò la sua posizione per comprare titoli nobiliari e per governare in maniera diretta ampi territori dello Stato, soprattutto nelle aree settentrionali. Si attirò quindi molte inimicizie, prima fra tutte quella del futuro re, apertamente in contrasto con la madre. Quando il sovrano raggiunse la maggiore età Concini perse il suo potere e nell’aprile del 1617 venne assassinato, probabilmente su ordine dello stesso Luigi XIII. Poco dopo Leonora fu arrestata con l’accusa di stregoneria, processata e decapitata; il suo cadavere fu bruciato.

Si aprivano così le porte a un altro favorito della Medici, destinato ad avere ben altra fortuna: il cardinale Richelieu, che cambiando schieramento seppe conquistare la piena fiducia del re, tanto da diventare il principale artefice del suo potere.

La Svezia e il dominio sul Baltico

Nell’area settentrionale dell’Europa, il primo Seicento fu caratterizzato dall’ascesa della Svezia della dinastia Vasa che, oltre a controllare buona parte della Scandinavia, possedeva avamposti anche nelle attuali Estonia e Lettonia [ 3]. Un tale assetto consentiva un controllo pressoché totale del Mar Baltico e dei commerci con il cuore del continente e con le isole britanniche, sostenuti dall’esportazione delle notevoli risorse naturali del territorio (in particolare minerali e legname, di cui si rifornivano i cantieri navali dell’area tedesca, olandese e inglese).

Sotto il re Gustavo II Adolfo (1611-32) fu perfezionato il sistema fiscale, al fine di finanziare la formazione di un esercito forte, fondato sulla coscrizione obbligatoria, finalizzata dall’assemblamento di un corpo di uomini addestrati e dotati di armi all’avanguardia.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715