16.1 Un periodo di profonde trasformazioni

Per riprendere il filo…

Il Cinquecento europeo era stato caratterizzato da un’espansione economica e da una generalizzata crescita demografica. Nella seconda metà del secolo, mentre la Spagna mostrava i segni di un incipiente declino, altri paesi erano riusciti a consolidare la propria posizione, come la Francia, o erano protagonisti di un’importante ascesa economica, come i Paesi Bassi e l’Inghilterra. Da un punto di vista politico la situazione si manteneva instabile. Tramontato il sogno di un impero universale, Filippo II, ergendosi a paladino del cattolicesimo, aveva cercato a lungo di interferire nelle vicende politiche della Francia e dell’Inghilterra, i cui equilibri politici interni continuavano a risentire di forti tensioni religiose. In Francia la situazione era sfociata addirittura in una serie di guerre sanguinose, fino all’assassinio dello stesso re Enrico III di Valois e all’avvento della dinastia dei Borbone. 

Proprio da un insieme di questioni religiose, all’inizio del Seicento sarebbe esploso un nuovo e devastante conflitto di dimensioni continentali, presto trasformatosi in una lotta per l’egemonia europea.

16.1 Un periodo di profonde trasformazioni

Un continente a diverse velocità

Agli inizi del XVII secolo la situazione dell’Europa si trasformò sul piano demografico, sociale ed economico:

  • dopo un secolo di espansione, i paesi mediterranei e lo spazio tedesco furono interessati da un arresto della crescita della popolazione quando non da una vera e propria contrazione demografica, che si rifletté in un diffuso calo dei consumi;
  • il territorio fiammingo e quello italiano furono colpiti da difficoltà economiche, conseguenti alla crisi della manifattura tessile;
  • in Francia i problemi riguardarono le campagne, dove crebbe l’autorità dei proprietari terrieri sui fittavoli e sui mezzadri, che si trovarono a fronteggiare un processo di impoverimento;
  • nei domini spagnoli si ebbe un incremento dei gravami feudali , che alimentò tensioni fra signori e contadini. Inoltre la pressione fiscale si inasprì al punto da vanificare la riduzione del prezzo del pane e di altri beni di prima necessità, dovuta alla minore domanda di beni alimentari;
  • nel Baltico e nel Mare del Nord si ebbe una contrazione degli scambi commerciali.

Accanto a queste ombre, tuttavia, il panorama continentale fu anche caratterizzato da alcune luci:

  • mentre la Spagna non riusciva a capitalizzare le enormi ricchezze delle sue colonie, nell’Europa nordoccidentale le Province Unite e l’Inghilterra – come vedremo nel capitolo seguente – videro crescere le proprie economie attraverso i commerci con le terre oltreoceano;
  • in Scandinavia, grazie alla solidità dei regni danese e svedese, si verificò un primo allargamento dei mercati interni, destinato a svilupparsi ulteriormente nei decenni successivi.

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Crisi economica e conflitto sociale

Le aree toccate da una congiuntura economica sfavorevole videro manifestarsi anche un inasprimento del conflitto sociale. Le guerre, come vedremo, ebbero un peso rilevante nell’acuire le difficoltà economiche ma ancora più importanti furono le tensioni generate dai contrasti fra due veri e propri mondi, che prendevano direzioni divergenti: da una parte i ceti aggrappati a valori e privilegi tradizionali, inclini a esercitare un potere ereditato in virtù della discendenza o del favore dei regnanti; dall’altra i gruppi sociali che facevano dell’intraprendenza lavorativa uno strumento per acquisire ricchezza e prestigio.

Per questa ragione la caratterizzazione del Seicento come un secolo di crisi, a lungo proposta dagli studiosi, è da considerarsi riduttiva. Accanto ai processi regressivi o di stagnazione, infatti, si verificarono fenomeni di cambiamento e ristrutturazione del tessuto economico, spesso capaci di stimolare trasformazioni anche sul piano politico [▶ fenomeni]. Nel contesto inglese, per esempio, i soggetti produttivi urbani e rurali cominciarono a esprimere la loro volontà di partecipare direttamente allo sviluppo del paese attraverso il parlamento o manifestarono il loro dissenso cercando una realizzazione nel Nuovo Mondo. In altre grandi formazioni politiche come la Francia, la Spagna e il Sacro Romano Impero i tentativi di accentramento statale si scontrarono con poteri che pretendevano di gestire risorse e forza lavoro: i mercanti, gli artigiani, i proprietari trovarono riferimenti in vecchie e nuove forme di organizzazione (assemblee, corporazioni, autonomie cittadine) o intrapresero una corsa alla nobilitazione attraverso l’acquisizione di titoli, cariche, immobili di prestigio. Nell’area olandese, l’intraprendenza commerciale stimolò il riconoscimento di diritti politico-religiosi e la creazione di un impero coloniale dotato di mezzi e armi.

  fenomeni

Il Seicento come secolo di crisi?

La crisi del Seicento è stato uno dei temi più dibattuti dalla storiografia dell’età moderna. Gli storici, infatti, hanno di volta in volta ricondotto le tensioni che attraversarono l’Europa del XVII secolo a molteplici cause: il peso del prelievo fiscale, imposto tanto dalle tradizionali autorità feudali ed ecclesiastiche quanto da poteri statali sempre più organizzati e temuti; le difficoltà del settore agricolo; la lotta per le egemonie fra le grandi potenze monarchiche, che portava guerre e devastazioni; l’afflusso di metalli preziosi dalle Americhe, che aveva alterato le dinamiche della domanda e dell’offerta sui mercati europei.

Ma quale significato dare all’insieme di questi fenomeni? Si trattò di difficoltà diffuse ma indipendenti l’una dall’altra oppure di diverse manifestazioni di una stessa crisi generale che coinvolse tutti gli ambiti della società del tempo? Fu un fenomeno eccezionale o una fase di un movimento economico di tipo ciclico?

Crisi ciclica o specifica?

Osservando il problema in una prospettiva di lungo periodo e scoprendo che fra il XV e il XVIII secolo le fasi di contrazione o stagnazione furono seguite – talvolta anche sistematicamente, a intervalli regolari di 25 anni – da fasi di espansione, alcuni studiosi hanno rintracciato un carattere ciclico delle crisi dell’età moderna.

Altri, considerando la molteplicità dei fattori in gioco, hanno invece interpretato queste crisi come “specifiche”, vale a dire motivate da ragioni contingenti e indipendenti da qualsiasi regolarità. Nel Seicento, per esempio, le guerre non colpirono tutto il continente, o lo fecero in modo diverso (provocando distruzioni in area tedesca e italiana e svuotando di forza lavoro la Francia e la Spagna).

Gestazione del capitalismo?

Gli storici più attenti alle dinamiche economiche hanno letto la crisi del Seicento come conseguenza del contrasto fra le prime manifestazioni di una nuova intraprendenza mercantile e la persistenza di elementi di natura feudale. Per lo storico britannico Eric J. Hobsbawm (1917-2012) questa fu proprio l’epoca in cui si fecero strada una nuova concezione e una nuova pratica dei rapporti economici, incentrate sulla ricerca del profitto (cardine del sistema capitalistico).

L’italiano Ruggiero Romano (1923-2002) ha però messo in luce le contraddizioni di questo processo, osservando come molti mercanti dell’epoca preferissero ancora rifugiarsi nell’acquisto di terre e titoli nobiliari, che consentivano una vita di lussi e privilegi fondata sulle rendite, invece che reinvestire i profitti in nuove attività produttive capaci di moltiplicare la ricchezza, come appunto avverrà con la piena affermazione del capitalismo.

Una crisi generale?

Altri studiosi hanno considerato i fattori economici come parte di un cambiamento più generale. Secondo lo storico inglese John Elliott (n. 1930), per esempio, le tensioni seicentesche derivarono dal tentativo attuato dagli Stati centrali di esercitare un maggiore controllo sulla vita economica, soprattutto allo scopo di finanziare gli eserciti, senza tuttavia possedere i corpi amministrativi (burocrati e funzionari) necessari per attuare questo programma. Altrettanto articolata è la posizione di Roland Mousnier (1907-93), che ha guardato al Seicento come a un secolo di crisi praticamente sotto tutti gli aspetti del vivere in società: crisi economica, sociale, della forma-Stato, delle relazioni internazionali, della morale e della cultura.

Crisi o ristrutturazione?

Le opinioni degli storici sono dunque molto articolate e in alcuni casi divergenti. C’è tuttavia qualcosa che accomuna i diversi approcci storiografici, distinguendoli soprattutto dallo sguardo degli uomini del tempo. Mentre questi ultimi vedevano nelle crisi la rottura di equilibri ritenuti immodificabili, lo sguardo distaccato dello storico interpreta le difficoltà economiche e politiche come manifestazioni di un travaglio che porta a un nuovo equilibrio, fondato su basi inedite.

In particolare, nel Seicento ciò avvenne attraverso una reazione alla crisi che stimolò l’introduzione di nuove tecniche agricole, la sperimentazione di nuove modalità produttive in ambito manifatturiero, la formazione di reti commerciali più capillari. E determinò anche nuovi equilibri geopolitici, con la progressiva marginalizzazione dell’area spagnola e italiana e l’ascesa di altre potenze economiche, come Olanda e Inghilterra.

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La dimensione religiosa e secolare del Barocco

Il Seicento è anche ricordato come epoca del Barocco. Il termine ha un’etimologia incerta, è spesso associato al significato di “bizzarro”, “strano”, “stravagante” e, già nel Settecento, assunse un significato negativo. Se, infatti, esso si riferiva a esperienze artistiche che si distaccavano dal classicismo rinascimentale, caro all’universo protestante per la sua enfasi della semplicità, venne anche associato a una cultura decadente rispetto a quella del Rinascimento (identificato come periodo di splendore), fondata sul conformismo morale, sull’ipocrisia e la dissimulazione, sull’ostilità al cambiamento politico e culturale, sull’esaltazione dell’esteriorità.

Furono soprattutto i territori sottoposti alla monarchia asburgica di Spagna a essere interessati da questi processi, che andavano di pari passo con il trionfo dei valori della Controriforma. La lotta contro l’eresia e la corruzione dei costumi si estese anche a campi come l’arte, la musica, la letteratura e il teatro. Si affermò una sorveglianza sempre più attenta sulle forme espressive fondate su idee e suggestioni profane, con l’intento di mettere in primo piano contenuti edificanti e obbedienti alle dottrine ufficiali o che almeno apparivano tali.

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I gesuiti, prima ancora di altri ordini, affermarono la loro presenza in questo nuovo contesto, imprimendo il loro marchio sulla vita politica e religiosa del tempo. Monopolizzarono infatti l’educazione dei giovani aristocratici, occuparono ruoli chiave nelle amministrazioni degli Stati, organizzarono grandi eventi devozionali destinati a sollecitare la partecipazione del popolo, guidarono missioni nel Nuovo Mondo. I membri della Compagnia furono così fra i principali promotori della cultura barocca. Le estasi e le visioni dei santi, la meraviglia suscitata dai loro miracoli, la grandiosità delle processioni: tutti questi ingredienti contribuirono a costruire una risposta organica ai protestanti che avevano osato sfidare i dogmi imposti da Roma. A queste sollecitazioni risposero anche i monarchi e le famiglie dominanti, che raffinarono e ingigantirono i cerimoniali, al fine di circondare il loro potere di un’aura sacrale [▶ fenomeni].

  fenomeni

Il Barocco

Il Barocco era certamente riconducibile alla committenza delle corti e dei nobili che preferivano essere accolti in strutture architettoniche spettacolari, manifestare il loro potere in ambienti elaborati e stupefacenti, intrattenersi con le meraviglie delle arti visive, della parola scritta e recitata. Alcuni studiosi hanno contrapposto questo stile alla cultura borghese e mercantile, meno incline agli ornamenti e maggiormente improntata all’uso razionale dello spazio e delle risorse. Questa idea è confermata dal fatto che alcune aree a maggioranza protestante e contraddistinte da una più forte intraprendenza economica – l’Inghilterra, l’Olanda, la Scandinavia, alcuni territori tedeschi – mostrarono una preferenza per gli equilibri del classicismo, proprio nel periodo in cui il mondo cattolico abbracciava le forme ridondanti del nuovo stile.

Il Barocco nell’arte

L’architettura barocca era certamente più spettacolare rispetto a quella del secolo precedente. Alcuni luoghi della città di Roma come piazza Navona lo dimostrano in maniera eloquente, visto che assumono i contorni di un palcoscenico, proponendo sfondi ornati da fontane, obelischi e statue volti a rendere visibile allo spettatore il trionfo del cristianesimo sul mondo pagano e su tutte le forme di miscredenza. In particolare la Fontana dei Quattro fiumi, ideata da Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) su commissione di papa Innocenzo X (1644-55), mostra quattro figure che impersonano i grandi fiumi dei continenti allora conosciuti (Nilo, Gange, Danubio, Rio de la Plata) ed è coronata dalla colomba dello Spirito Santo, volta a simboleggiare il dominio della Chiesa sulle diverse aree del pianeta.

Altrettanto significative sono le tendenze manifestate in opere scultoree come il David dello stesso Bernini, immortalato nel pieno del suo sforzo fisico mentre affronta il nemico lanciando la pietra con la sua fionda: l’opera celebra il movimento ed è in aperto contrasto con quella scolpita da Michelangelo Buonarroti che, pur essendo incentrata sullo stesso soggetto, ne esaltava la quiete.

La pittura di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio (1571- 1610) interpretò in maniera significativa lo stile barocco, ma non fu immune da contestazioni: l’artista fu violentemente attaccato per aver disprezzato la bellezza e privilegiato la deformità, anche quando rappresentava soggetti intangibili come la Vergine Maria.

Nella letteratura, lo stile barocco trovò la sua espressione più definita in scrittori come il poeta napoletano Giambattista Marino (1569-1625), che usava i versi allo scopo di sorprendere lettori e ascoltatori (generare “meraviglia”), usando imprevedibili metafore fondate sull’arguzia verbale, o come il drammaturgo spagnolo Calderón de la Barca (1600-81), impegnato a produrre drammi religiosi come Il grande teatro del mondo (1635) che portavano sulla scena complesse costruzioni teologiche.

Eserciti e impresari di guerra

Anche gli apparati militari subirono in questo periodo una significativa trasformazione. Il reclutamento dei soldati fu sempre più affidato a impresari della guerra che ricevevano dai sovrani l’incarico di percorrere città e campagne alla ricerca di uomini da arruolare. Nella maggior parte dei casi i soldati erano volontari provenienti dagli strati più disagiati della popolazione, che intravedevano nella carriera militare nuove prospettive di vita, oltre che la possibilità di godere dei privilegi giuridici e fiscali accordati a chi si arruolava. Molti erano spinti dal desiderio di gloria e di avventura, altri da motivi religiosi; ma non di rado gli aspiranti soldati erano malviventi ed ex carcerati che imbracciavano le armi in cambio della remissione della pena.

Anche a causa delle molte guerre combattute nella prima metà del XVII secolo, il numero dei soldati crebbe in maniera vertiginosa e per i sovrani il loro sostentamento divenne uno dei maggiori problemi cui far fronte. La soluzione fu spesso semplice quanto distruttiva: dare via libera ai saccheggi delle città e delle campagne nelle zone di guerra, o costringere le popolazioni del luogo a versare forti somme di denaro agli eserciti occupanti per salvarsi.

Importanti cambiamenti riguardarono anche le tecniche belliche e la produzione di armi. Le armi da fuoco accrebbero ulteriormente la loro importanza grazie all’introduzione di un’artiglieria più leggera, facilmente trasportabile sulle lunghe distanze. In aree come la Renania e la Lombardia, in particolare, si svilupparono centri di produzione di ordigni esplosivi, archibugi, moschetti e altri strumenti bellici. Queste innovazioni tecniche comportarono costi enormi in termini di vite umane: a differenza delle armi da taglio, infatti, pallottole ed esplosivi risultavano spesso mortali.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
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Dal 1000 al 1715