14.5 Le missioni e gli ordini regolari

14.5 Le missioni e gli ordini regolari

La predicazione della Compagnia di Gesù

L’imposizione di nuove norme sul piano dottrinale e disciplinare fu accompagnata da un’intensa attività missionaria. A distinguersi in questo campo furono in particolare i membri della Compagnia di Gesù, un ordine religioso fondato nel 1534 dallo spagnolo Ignazio di Loyola (1491-1556), un uomo d’armi che aveva lasciato l’esercito per entrare in convento. Nel 1540 l’ordine venne approvato da Paolo III, che ne riconosceva le priorità: far progredire gli uomini nella fede, dare testimonianza di povertà, essere esempio di obbedienza alla Santa Sede. Ben presto i membri della Compagnia furono riconosciuti con il nome di gesuiti e si distinsero per la loro capacità di incidere sul corpo sociale predicando il Vangelo e facendo proseliti. Crearono numerosi istituti d’istruzione – i collegi – in molti paesi d’Europa, conquistando il primato nell’educazione dei rampolli delle casate nobiliari e dei ceti dirigenti.

Nel corso dei decenni le missioni gesuitiche diventarono sempre più riconoscibili attraverso l’elaborazione di un ricco apparato di segni esteriori particolarmente graditi al popolo, soprattutto nelle aree rurali. Gli abitanti di villaggi e borghi, per esempio, venivano radunati all’aperto e coinvolti in giochi teatrali che facevano ampio uso di musica e scenografie. Le funzioni si svolgevano nelle ore notturne, per sfruttare il contrasto fra luci e ombre; i religiosi nascondevano i volti sotto vistosi cappucci, flagellandosi con violenza, mettendo in mostra le loro ferite, esibendo ossa e teschi per richiamare l’idea della morte e della dannazione eterna. I fedeli diventavano spettatori commossi e atterriti di uno spettacolo incentrato sulla paura dell’ignoto e l’esaltazione della sofferenza.

L’azione della Compagnia fu molto efficace sia nel riportare al cattolicesimo settori centrorientali del continente che avevano abbracciato la Riforma protestante, sia nel contribuire a rinsaldare i poteri aristocratici, rafforzando il sostegno dei ceti inferiori nei loro confronti. Grazie a questi successi, i gesuiti ottennero l’appoggio congiunto dei poteri secolari europei e della Santa Sede e poterono così allargare la loro attività ad altri continenti, mostrando – nonostante la rigida disciplina interna – la capacità di adattarsi a culture e riti elaborati da civiltà molto antiche. In Europa, in Asia, in Africa e nelle Americhe costruirono collegi e crearono comunità che avevano nella fede religiosa il loro segno distintivo [ 8]. Furono proprio queste iniziative a segnare l’inizio di un processo di lunga durata, destinato a trasformare il cattolicesimo in una religione globale.

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Gli ordini religiosi dopo il Concilio di Trento

L’evangelizzazione fu affidata anche ad altri ordini di nuova fondazione, come i teatini, i barnabiti e i somaschi, che si affiancarono alle ▶ famiglie religiose già esistenti (francescani, domenicani, agostiniani, carmelitani), spesso divise al loro interno in vari rami che prestavano giuramento a una regola (da cui anche la definizione di “regolari”) sulla base della quale seguivano vocazioni eremitiche, contemplative o missionarie.

I membri degli ordini obbedivano ad autorità centrali interne – i “generalati”, nella maggior parte dei casi – che non sempre avevano rapporti diretti con il potere pontificio e tendevano a sottrarsi al suo controllo. Sul territorio, gli ordini erano organizzati secondo una complessa rete di distretti, i cui confini erano talvolta molto diversi sia da quelli degli Stati sia da quelli delle circoscrizioni vescovili. Per tutte queste ragioni, l’universo delle missioni, della predicazione e della cura delle anime non aveva precisi punti di riferimento e poteva trovarsi coinvolto in conflitti giurisdizionali nel momento in cui i membri di un ordine, oltre a obbedire ai loro diretti superiori, dovevano stabilire rapporti con i poteri secolari o signorili, con le autorità diocesane o arcidiocesane o con i dicasteri della Santa Sede.

Gli ordini fra tendenze monarchiche e vocazioni cosmopolite

I chierici regolari formulavano strategie missionarie estremamente duttili, con l’intento di correggere mentalità e costumi, di eliminare pratiche superstiziose e riportare all’ortodossia religiosa i gruppi marginali, di promuovere formule rituali capaci di stimolare aggregazioni comunitarie. Muovendosi all’interno di una fitta rete di poteri locali, operavano però sulla base di regole incerte, entrando spesso in concorrenza fra loro. I loro itinerari oltrepassavano spesso i confini stabiliti dalle istituzioni civili e religiose, stimolando spostamenti individuali e di gruppo motivati dalla necessità di partecipare a pellegrinaggi, processioni, feste patronali, incontri di preghiera [ 9].

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Gli atteggiamenti dei poteri monarchici e territoriali nei confronti degli ordini religiosi non erano univoci: da un lato c’era la volontà di garantirsi il supporto di un’azione evangelizzatrice che poteva trasformarsi in strumento di consenso; dall’altro lato si poneva la necessità di frenare le iniziative di predicatori che si rivelavano in alcuni casi troppo zelanti, imprudenti o affetti da manie di protagonismo, promuovendo culti e pratiche devote accolte con entusiasmo dal popolo, ma non aderenti alle liturgie ufficiali. Del resto, negli stessi ambienti missionari convivevano inclinazioni cosmopolite, volte a considerare i fedeli come membri di un’unica grande civiltà cristiana, e pulsioni di tipo aristocratico, monarchico o “nazionale”, tendenti a difendere consuetudini culturali e politiche di matrice territoriale.

La religiosità femminile

Anche il mondo degli ordini femminili andò incontro a trasformazioni importanti. Papa Sisto V (1585-90) cercò di imporre una stretta osservanza delle regole e il rispetto del voto di clausura, ma non riuscì a incidere sui criteri di reclutamento delle religiose. I ceti dominanti, decisi a preservare la propria influenza sul tessuto sociale attraverso il controllo dei conventi, continuarono a disporre a proprio piacimento delle discendenti più giovani, sottraendole al mercato matrimoniale e costringendole a pronunciare i voti. In questo modo, fra l’altro, le doti versate ai conventi per le figlie tornavano a disposizione della famiglia al momento della loro morte, consentendo di non disperdere il patrimonio.

Non stupisce dunque che tra le mura di quegli istituti si consumassero numerosi abusi: le frustrazioni derivanti dalla monacazione forzata spingevano molte religiose a commettere intemperanze, spesso legate alla passione eccessiva verso i beni materiali o alla sfera sessuale. Gli stessi rapporti fra i direttori spirituali e le penitenti provocarono non pochi grattacapi ai giudici del Sant’Uffizio, costretti a fronteggiare comportamenti, da parte dei confessori, che mettevano in pericolo il rispetto della promessa di castità delle monache.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715