1.1 L’incremento demografico

Per riprendere il filo…

Quando l’Impero romano aveva cessato di esistere in Occidente (V secolo d.C.) anche le sue strutture economiche erano entrate in crisi. La produzione artigianale era divenuta meno sofisticata e i commerci erano drasticamente diminuiti. La vita nelle campagne era rimasta all’incirca la stessa, ma alcune ondate epidemiche avevano determinato una netta contrazione demografica. A lungo si è pensato che questa situazione fosse perdurata fino all’XI secolo, ma la storiografia più recente ha invece individuato già nell’economia altomedievale europea segni di ripresa e dinamismo, che si consolidarono tra l’XI e il XIII secolo e si saldarono con le economie mediterranee più avanzate, quella bizantina e quella arabo-musulmana.

1.1 L’incremento demografico

La crescita della popolazione europea
Uno dei più importanti mutamenti nelle società europee dei secoli XI-XIII fu l’aumento demografico. Quale fu l’entità di questa crescita? Non è facile rispondere a questa domanda, perché le fonti sono molto scarse: in assenza di indagini statistiche o di censimenti, bisogna infatti dedurre informazioni di natura demografica da testi che non avevano l’obiettivo di fornire questo tipo di dati, oppure da indizi di natura materiale.

Tra le fonti scritte disponibili, solo una spicca per quantità e qualità delle informazioni: il Domesday Book, Libro del giorno del Giudizio, un registro-inventario a fini fiscali che il sovrano inglese Guglielmo il Conquistatore fece redigere tra il 1080 e il 1086 [ 1]. Villaggio per villaggio, annota minuziosamente dati sulla popolazione, sui proprietari terrieri e sugli affittuari, sulle estensioni dei terreni coltivati, sulle risorse naturali disponibili, sugli edifici. Pur con molta cautela, è possibile ricavare da questa fonte alcuni dati relativi alla popolazione inglese, valutata intorno a 1 100 000 unità.

Le fonti materiali forniscono indizi che confermano questa crescita: gli insediamenti aumentano di numero; l’incolto (boschi, paludi, pantani) arretra dinanzi all’estensione delle superfici coltivate; la speranza di vita, come testimoniano i resti umani, cresce. Inoltre, sono attestati nuovi mercati e fiere, nuovi mulini, nuove infrastrutture viarie. Per dare un ordine di grandezza, si stima che l’Europa del VII secolo contasse circa 20-30 milioni di persone, cresciuti a 40 nell’XI e a 60 alla fine del XIII.

 >> pagina 44 
Sulle ragioni di questa crescita vi sono ipotesi diverse. Alcuni storici hanno sostenuto che sia stata consentita da un incremento della produzione dovuto al miglioramento delle tecniche agricole; altri hanno pensato a un ruolo decisivo delle città e dei commerci; per gli studiosi di storia del clima, tra il X e il XIII secolo condizioni di bassa piovosità e di più alte temperature medie favorirono la diminuzione della mortalità e un miglioramento delle ▶ rese agricole. Oltre a questi elementi, infine, bisogna considerare alcuni fattori di natura istituzionale: una relativa stabilità politica e una maggiore sicurezza militare, ma soprattutto la vitalità della grande azienda agraria altomedievale [▶ cap. 0], resa dinamica dalle esigenze del ceto aristocratico di aumentare le proprie  rendite. Tutti questi fattori fecero sì che la popolazione ricominciasse lentamente e regolarmente a crescere, senza che la naturale tendenza all’incremento incontrasse ostacoli in fattori negativi come guerre o epidemie.

L’estensione delle colture cerealicole

 L’aumento della produzione necessario a sostenere una popolazione in crescita poteva essere ottenuto migliorando la ▶ produttività (attraverso un più efficace coordinamento della forza lavoro e un maggiore impiego di tecnologia) o aumentando le superfici coltivate. In società come quelle dei secoli VIII-XIII, caratterizzate da un basso grado di sviluppo tecnologico, la scelta prioritaria fu l’allargamento dei coltivi (seminativi e vigneti) a scapito dell’incolto [ 2] . L’espansione dei campi coltivati a cereali (frumento, segale, orzo) fornì alla popolazione una maggiore quantità di cibo, in tempi più brevi e a prezzi inferiori. Almeno all’inizio, questo consentì a uomini e donne di avere più energia a disposizione, vivere più a lungo ed essere più fertili, mentre anche la mortalità infantile parzialmente regredì.

 >> pagina 45 

La diminuzione dell’incolto e il peso preponderante dei cereali – il pane divenne l’alimento principale della dieta – ridussero però la varietà alimentare a disposizione del contadino altomedievale, che era abituato a integrare i cereali con la carne (di selvaggina, ovina, ma soprattutto dei maiali lasciati alla ghianda nei boschi [ 3]), il pesce e i frutti del bosco. Questo processo, a lungo andare, comportò una riduzione delle proteine a disposizione dei ceti popolari e probabilmente facilitò la diffusione di alcune malattie, tra cui la lebbra e l’ergotismo [ 4].

Inoltre, una minore varietà di prodotti agricoli implicava una maggiore esposizione ad annate sfavorevoli: nel caso in cui un raccolto andasse male, infatti, i contadini non potevano compensare le perdite con altri prodotti, con la conseguenza di inevitabili incrementi dei prezzi ( carestie).

 >> pagina 45 

1.2 Terre nuove, contadini e signori

Il dissodamento delle terre

Da sempre i contadini usavano dissodare le aree ai margini dei boschi e dei terreni incolti per alleggerire lo sfruttamento delle terre coltivate, che, poco concimate, si “stancavano” facilmente e tendevano a fornire rese più basse con il procedere degli anni. Diversamente che in passato, tuttavia, le iniziative di dissodamento furono ora coordinate prevalentemente dal ceto signorile (laico ed ecclesiastico) o dai sovrani. I signori costituivano infatti l’unica classe sociale a possedere i capitali (denaro, manodopera, strumenti di lavoro) necessari a mettere a coltura nuove terre e disposta a investirli in vista di una crescita della propria rendita, obiettivo molto ambito in un momento in cui il consolidarsi dei poteri signorili favoriva la competizione interna al ceto nobiliare [▶ cap. 0]. Inoltre, i re avevano spesso interesse a fondare nuovi villaggi di coloni per rafforzare la presenza militare in zone di frontiera e il controllo di territori poco sicuri o di importanti vie di comunicazione.

 >> pagina 46

Per incrementare le rendite, i proprietari fondiari operarono in due modi: da una parte ridussero il “dominico” (l’area gestita da manodopera servile sotto diretto controllo dei proprietari e in genere caratterizzata da una larga parte di incolto), da cui ricavarono appezzamenti concessi ai contadini dietro pagamento di un affitto; dall’altra frazionarono i ▶ mansi, prima attribuiti a una sola famiglia contadina, in “quarti”, ciascuno affidato a una famiglia diversa.
Nuove tipologie di contratti agricoli

La riduzione del dominico, insieme alla crescente opposizione dei contadini a prestare giornate di lavoro presso il signore, portò a una diminuzione delle prestazioni d’opera (corvées) dovute dai concessionari, che spesso furono commutate in canoni monetari.

Una più larga disponibilità di denaro – come vedremo tra poco – favorì, in particolare nell’area mediterranea, un maggiore impiego di manodopera salariata rispetto a quella servile, ormai numericamente ridotta. Inoltre, i contratti di affitto, che in precedenza avevano lunghissima scadenza e prevedevano un canone fisso, diventarono più spesso di breve termine e previdero il pagamento di un canone variabile a seconda del raccolto.

I signori territoriali che, a livello locale, detenevano poteri di natura pubblica – giudiziari, fiscali e militari – e ne incassavano gli introiti ricorsero anche a una nuova tipologia di contratto con i proprietari di terre incolte. Questo contratto, noto in Francia con il termine pariage, prevedeva il trasferimento di manodopera contadina in insediamenti creati ex novo nelle aree da dissodare e la spartizione tra signore e proprietario terriero dei raccolti e delle imposizioni fiscali sulle nuove comunità. Molti dei villaggi nati in questo modo portano nel nome l’aggettivo “nuovo” (Villanova) o “franco” (Francavilla, Borgofranco, Castelfranco), a indicare appunto la nuova fondazione dell’insediamento o la concessione di privilegi che i signori accordavano per favorire la mobilità dei coloni: dalle garanzie di sicurezza individuale alle libertà personali (franchigie), fino all’esenzione dai tributi. Oltre a questi incentivi, i signori garantivano ai contadini contratti di lunga durata, a differenza del modello di contratto che si andava allora diffondendo: l’agricoltura su terre nuove richiedeva infatti anni di duro lavoro prima che se ne consolidassero i frutti.

Le bonifiche

Un capitolo interessante della storia delle colonizzazioni riguarda le terre guadagnate al mare e alle paludi con le bonifiche. Con grande fatica e largo impiego di denaro, nelle Fiandre, in Olanda e in Zelanda, per esempio, furono bonificati i pantani costieri e costruiti sistemi di canalizzazione e dighe per impedire al mare di sommergere le terre conquistate alle colture (polders). Allo stesso modo si assistette a processi di bonifica in molte altre zone europee: in Inghilterra, nel Nord della Francia, nel Nord della penisola iberica e in Catalogna, nella Germania orientale.

In Italia, vi furono precoci esperienze di bonifica nell’area padana, in particolare a Verona e nella zona bergamasca, cremonese e bresciana. Più tardi, la necessità di una rete sempre più complessa di canali destinati alla navigazione e all’irrigazione portò alla realizzazione dei grandi navigli milanese e bresciano. Con caratteri analoghi, ma in tempi diversi, il processo interessò anche l’Emilia, il Mantovano e il Piemonte, mentre per l’Italia centromeridionale e insulare il fenomeno di bonifica fu molto più limitato. In queste zone le grandi protagoniste della conquista di nuovi spazi coltivati furono le colture della vite e dell’olivo.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715