Storie. Il passato nel presente - volume 1

La Chiesa visibile e la repubblica di santi

Anche nella pianificazione del rapporto fra autorità laiche ed ecclesiastiche il calvinismo presentava importanti peculiarità che lo differenziavano dal luteranesimo. A una Chiesa “invisibile” composta dall’intera umanità che coltivava un rapporto diretto con le Scritture, Calvino preferiva una Chiesavisibile” che trovava la sua realizzazione concreta in uno Stato o in una città dove i fedeli erano accomunati dalla pratica di un unico culto. In questi contesti, erano le autorità civili a farsi carico del controllo delle coscienze, acquisendo il ruolo che nei paesi fedeli al papa era svolto dai tribunali ecclesiastici.

Queste idee trovarono la loro piena attuazione a Ginevra che, fra il 1533 e il 1536, riuscì a liberarsi dal protettorato dei duchi di Savoia e decretò l’espulsione del vescovo in carica, accogliendo ufficialmente la Riforma protestante. Calvino arrivò in città per la prima volta proprio nel 1536, per poi risiedervi stabilmente a partire dal 1541. Si impegnò nel riorganizzare completamente la vita civile, dividendo l’area urbana in 12 distretti, affidando il controllo dei costumi della popolazione ai presbiteri, l’esercizio del culto e della predicazione ai pastori, l’istruzione ai dottori, l’assistenza di poveri e malati ai diaconi. L’intero ordinamento era retto da un concistoro che aveva il compito di controllare tanto gli affari religiosi quanto quelli civili.

Ginevra, plasmata per diventare una “repubblica di santi”, divenne un baluardo per l’affermazione di una disciplina ferrea che non consentiva alcuna forma ricreativa (feste, banchetti, spettacoli e balli erano severamente proibiti), prevedendo dure punizioni per tutte le forme di trasgressione. Molti perseguitati per ragioni religiose provenienti da diverse aree d’Europa si rifugiarono lì, ma finirono in alcuni casi per diventare vittime delle rigidità del nuovo sistema. Il caso più clamoroso riguardò il medico spagnolo Michele Serveto (Miguel Servet, 1511-53), che coltivava interessi nel campo della matematica, dell’astronomia e della geografia, oltre a essere un fine teologo. Le sue opere suscitarono aspri dibattiti poiché mettevano in discussione il dogma della Trinità e la necessità di impartire il battesimo ai bambini. Fu arrestato nell’aprile del 1553 e fu mandato al rogo il 26 ottobre dello stesso anno.

Il calvinismo, le attività produttive, il commercio

Nonostante queste rigidità, il calvinismo si diffuse ben oltre il territorio svizzero, arrivando in Germania, nei Paesi Bassi, in Francia, in Inghilterra e nelle colonie inglesi del Nuovo Mondo. La fede che aveva avuto in Ginevra il suo primo centro propulsore si dimostrò capace di raccogliere consensi tanto in società povere, quanto in contesti caratterizzati da fiorenti attività produttive e commerciali, favorendo in molti casi anche dei cambiamenti negli assetti politici vigenti.

Non è semplice comprendere le ragioni di tanta fortuna. Il sociologo tedesco Max Weber (1864-1920) elaborò agli inizi del Novecento una teoria suggestiva, capace di far discutere ancora oggi a distanza di oltre un secolo: nel suo lavoro L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1905) collegò la dottrina calvinista alle fortune economiche dei territori che l’avevano accolta, ritenendo che la possibilità di intravedere nella vita terrena i segni del destino ultraterreno avesse stimolato nei fedeli una forte abnegazione al lavoro, lo sviluppo di attitudini imprenditoriali, la voglia di investire e di rischiare. Molti hanno sollevato dubbi sulla sussistenza di questo discorso, affermando che la fortuna di determinate idee religiose, più che essere una miccia o un detonatore, sia stata al contrario il prodotto di un impulso derivante da contesti socio-economici in cui la tendenza all’accumulazione della ricchezza si faceva sempre più visibile. Al di là delle controversie interpretative, quel che resta innegabile è il legame stretto fra la religione calvinista e le aree più dinamiche del continente europeo [▶ fenomeni].

 >> pagina 416 

  fenomeni

La diffusione del calvinismo al Nord: il caso della Svezia

Dopo la sua ascesa al potere, il re svedese Gustavo I Vasa (1523-60) non sembrava intenzionato a intraprendere uno scontro frontale con la Chiesa di Roma. Tuttavia riteneva fondamentale conservare delle prerogative sulla scelta dei membri dell’alto clero all’interno del suo Stato e per questa ragione si trovò spesso in contrasto con il pontefice.

La completa rottura si consumò nel 1526, quando il sovrano decise di mettere al bando i libri cattolici, appropriandosi di buona parte delle decime ecclesiastiche e favorendo l’azione di predicatori riformati.                     

Fra questi ultimi si distinse Olaus Petri (Olof Persson, 1493-1552) che tradusse in svedese la Bibbia, ma non poté godere fino in fondo dei benefici derivanti dalla sua vicinanza a Gustavo. Fu infatti processato per aver espresso idee troppo radicali e, in particolare, per aver sottolineato in diverse occasioni la necessità di avere una religione indipendente dal potere secolare. La condanna a morte pronunciata nel 1540 fu in seguito tramutata in pena pecuniaria, ma Olaus fu comunque costretto a rimanere ai margini della vita politica fino alla fine dei suoi giorni.

13.5 Enrico VIII e la Riforma in Inghilterra

Il potere dei Tudor e la Chiesa

Negli anni segnati dalle contese di Carlo V con la Francia e con gli ottomani, il protestantesimo oltrepassò i confini del Sacro Romano Impero giungendo nei territori della monarchia inglese e nei paesi scandinavi [ 11]. In Inghilterra, i Tudor – al potere dalla fine della Guerra delle Due rose (1485)  [▶ cap. 8.2] – controllavano un territorio con oltre due milioni e mezzo di abitanti, residenti in massima parte nelle aree rurali, le cui attività principali rimanevano l’agricoltura e l’allevamento. Le differenze sociali erano nette e il commercio era piegato agli interessi di un’oligarchia che esercitava la propria influenza a vari livelli, controllando anche le corporazioni cittadine dei mestieri.

Nel 1509 ascese al trono Enrico VIII Tudor (1509-47), che all’obiettivo di rafforzare il potere centrale affiancò anche l’ambizione di competere su un piano di parità con le altri grandi casate europee  [▶ cap. 12.2]. Pur essendo alla guida di un territorio socialmente ed economicamente composito, il sovrano cercò di estendere il proprio controllo sull’economia e sull’apparato militare, facendo anche un uso attento delle strategie matrimoniali per stringere alleanze nello scacchiere continentale. Ottenne infatti una ▶ dispensa dalla Santa Sede per sposare la zia di Carlo V, Caterina d’Aragona  [▶ protagonisti, p. 419], e mantenne per diversi anni buoni rapporti con il pontefice mostrandosi ostile alle novità introdotte da Lutero.

 >> pagina 417 

Nel paese, tuttavia, le gerarchie ecclesiastiche godevano di scarsa considerazione e l’atteggiamento di obbedienza a Roma che sembrava consolidato cominciò ben presto a incrinarsi. Anche in questo caso fu decisivo il ruolo della stampa, che portò a conoscenza del pubblico colto un’opera di fondamentale importanza, l’Utopia di Thomas More: propugnando la diffusione degli ideali umanistici, lo scritto mostrava la possibilità di conciliare le nuove correnti del pensiero europeo con gli ideali cristiani. A livelli più bassi ebbe invece un ruolo importante una produzione satirica e polemica di taglio millenaristico che, affiancandosi all’azione di predicatori capaci di raggiungere anche gli illetterati, prendeva di mira i vescovi e gli ordini religiosi. Le accuse riguardavano sia la tendenza dei chierici ad accumulare ricchezze e benefici, sia la loro incapacità di dare ai fedeli esempi di vita morale: il concubinato ecclesiastico era infatti molto diffuso, così come gli episodi di corruzione, talvolta legati al mercato delle indulgenze. In tale contesto, il messaggio di Lutero ebbe modo di diffondersi già all’inizio degli anni Venti, stimolando un nuovo approccio alle Scritture, ben testimoniato dalla circolazione di numerosi esemplari del Nuovo Testamento in inglese curato dallo studioso riformatore William Tyndale.

Il conflitto fra Enrico VIII e Clemente VII

Le tensioni religiose non furono però le uniche ragioni della rottura che si consumò di lì a pochi anni fra il sovrano inglese e il papato: contribuirono infatti a determinarla anche gli equilibri internazionali, la competizione fra dinastie e in una certa misura le attitudini personali dello stesso Enrico VIII [▶ altri LINGUAGGI, p 420].

Dal matrimonio fra il sovrano e Caterina non erano nati figli maschi, ma solo la piccola Maria. I Tudor guardavano con timore a un futuro matrimonio della loro erede al trono con un potente sovrano dell’Europa continentale, temendo ingerenze di altri casati sul loro territorio. Intenzionato a sventare questo pericolo e a rafforzare la sua posizione mediante una nuova unione, Enrico chiese lo scioglimento del matrimonio a papa Clemente VII. Quest’ultimo si rifiutò di concederlo, consapevole del fatto che una mossa del genere avrebbe suscitato le ire di Carlo V.

 >> pagina 418 

Il gesto fu mal recepito dalla corona inglese, che si vedeva negato un permesso in genere accordato ad altre famiglie regnanti nella stessa condizione. Non potendo sopportare un tale affronto – che metteva anche in evidenza la sua debolezza sul piano internazionale – Enrico reagì ordinando una serie di provvedimenti che favorivano l’insubordinazione del clero inglese alle gerarchie romane: nessuno poteva più rivolgersi al pontefice per chiedere protezione e persino le scomuniche diventavano inefficaci. Nel 1534 si arrivò a una rottura definitiva, con l’emanazione dell’Atto di Supremazia che sanciva l’assoluto primato del re sulla Chiesa inglese, conferendo alle autorità civili la facoltà di intervenire sulle materie religiose e aprendo, di fatto, le porte all’introduzione del protestantesimo.

Convolò a nozze con Anna Bolena [▶ protagonisti], proveniente da una nobile famiglia del Norfolk, mostrando l’intenzione di consolidare il legame fra la dinastia Tudor e il paese. Ma anche il secondo matrimonio non risolse il problema della successione, visto che la sposa del re diede alla luce ancora una volta una bambina, che fu chiamata Elisabetta.

Il clima di sospetto e la repressione del dissenso

Fra il 1535 e l’inizio del decennio successivo il sovrano inasprì la sua politica religiosa, inaugurando una stagione di cieca repressione del dissenso. Thomas More, che aveva ricoperto la carica di cancelliere del regno, fu giustiziato perché rimasto fedele alla Chiesa di Roma; il vescovo umanista John Fisher andò incontro alla stessa sorte per aver osteggiato la politica matrimoniale del re, mentre il cardinale Reginald Pole fu costretto a rifugiarsi in Italia. Il clima di sospetto di quegli anni fu fatale anche a personaggi eminenti che pure avevano appoggiato le politiche religiose dei Tudor, come Thomas Cromwell, che finì vittima di accuse di tradimento, forse a causa di invidie suscitate dalla sua posizione di segretario della corona.

La stessa Anna Bolena, dopo aver avuto almeno due aborti (le cronache del tempo presentano versioni contrastanti e non sempre attendibili), fu messa sotto processo con l’accusa di adulterio. Ben sei uomini furono tratti in arresto perché ritenuti suoi amanti; fra questi, anche il fratello Giorgio, chiamato a rispondere dell’accusa di incesto. La regina fu giustiziata il 19 maggio del 1536 e dopo soli 11 giorni Enrico sposò Jane Seymour, che era stata dama di compagnia di Caterina d’Aragona e della stessa Anna. Jane fu la terza delle sei mogli del re d’Inghilterra. Diede alla luce nell’ottobre del 1537 un erede maschio, Edoardo, che non godeva però di buona salute.

Il peso politico dello scisma anglicano

La natura prettamente politica dello scisma – che d’ora in avanti ricorderemo come nascita della “Chiesa anglicana” – si rese evidente anche dal fatto che, nei primi anni, i fondamenti della dottrina non furono toccati. I Sei articoli di religione pubblicati nel 1539 si mantenevano sostanzialmente fedeli al credo cattolico, contribuendo a consolidare intorno a Enrico il consenso di buona parte dell’episcopato inglese. Allo stesso tempo, la soppressione dei monasteri fornì alla monarchia la possibilità di introdurre sul mercato un’imponente quantità di beni immobili confiscati, favorendo la crescita della media e grande proprietà terriera. L’economia ne uscì rivitalizzata e le popolazioni urbane e rurali trovarono la possibilità di affrancarsi dalle forme di controllo e di prelievo esercitate dagli ordini religiosi.

 >> pagina 419

Anche le altre regioni dell’area insulare britannica furono interessate da importanti cambiamenti. Il protestantesimo si propagò nel Regno di Scozia, dove non mancarono episodi di persecuzione che portarono alla condanna a morte di personaggi noti, come il predicatore calvinista George Wishart, avvenuta nel 1546. Si fecero sempre più tesi, inoltre, i rapporti fra i Tudor e la riottosa nobiltà irlandese, saldamente ancorata al cattolicesimo e desiderosa di sfruttare le tensioni religiose per rafforzare il proprio potere interno, limitando l’influenza della corona inglese.

Alla morte di Enrico VIII (1547), il trono andò al figlio Edoardo VI, che aveva solo 10 anni ed era esposto a forti pressioni provenienti dalla famiglia materna, di fede protestante, e da altri membri della corte. Fu l’arcivescovo di Canterbury Thomas Cranmer a far propendere il re per il protestantesimo, inducendolo a promulgare il Book of Common Prayer (“Libro delle preghiere comuni”, 1549), che divenne la base della liturgia anglicana. Seppure fra malumori e aperte forme di dissenso, il paese si stava allontanando sempre di più dalla Chiesa di Roma, abbracciando i fondamenti della dottrina calvinista.

  protagonisti

Caterina d’Aragona e Anna Bolena

Caterina, regina spagnola

Caterina d’Aragona (1483-1536) era figlia di Ferdinando il Cattolico e di Isabella di Castiglia. Nel 1501 sposò il principe Arturo, erede al trono d’Inghilterra, che morì dopo soli cinque mesi di matrimonio.

L’11 giugno 1509, dopo avere avuto la dispensa papale al divieto di nozze fra cognati, divenne moglie di Enrico VIII (fratello minore di Arturo) e fu incoronata regina 13 giorni più tardi. Nel 1511 partorì un erede maschio, ma il bambino restò in vita solo due mesi. Delle altre quattro gravidanze solo una andò a buon fine, con la nascita nel 1516 di Maria Tudor (la futura regina Maria la Cattolica). Dopo l’annullamento del matrimonio Caterina continuò a considerarsi a tutti gli effetti legittima sovrana. Fu tenuta in custodia nel castello di Kimbolton, autorizza­ta ad avere contatti limitati con l’esterno, fino alla morte avvenuta agli inizi del 1536.

Anna, nobile inglese

Nel frattempo le stanze di Caterina presso la corte reale furono occupate da Anna Bolena (1507-36), che era stata la sua damigella d’onore. Discendente del nobile casato inglese dei Boleyn, Anna riuscì a conquistare in poco tempo una posizione di grande influenza, arrivando ad avere voce nella risoluzione delle questioni politiche più delicate.

Ben consapevole del fatto che la sua unione con Enrico modificava la posizione dell’Inghilterra nel quadro dei rapporti internazionali, stabilì rapporti cordiali con ambasciatori che abbracciavano posizioni antispagnole e favorì il consolidamento dei rapporti con la Francia. In quel paese era rimasta infatti per ben sette anni, dal 1514 al 1521, imparando bene la lingua e coltivando interessi per l’arte, la musica e le lettere.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715