13.1 La Chiesa di Roma: tensioni politiche e aspirazioni al rinnovamento religioso

Per riprendere il filo…

Gli anni che precedettero e seguirono la presa del potere di Carlo V (divenuto imperatore nel 1519) furono segnati da un complesso intreccio di eventi e di fenomeni che cambiarono l’identità del continente europeo: l’allargamento degli orizzonti geografici, le innovazioni nel campo della tecnica e del pensiero scientifico-filosofico, l’apertura di nuove reti commerciali, il rafforzamento dei poteri monarchici, la definizione di nuovi assetti territoriali e nuovi equilibri di potere, l’affermazione di concezioni politiche distanti dagli ideali medievali. Un ruolo importante fu giocato anche dall’introduzione della stampa, che, favorendo la circolazione delle idee contribuì all’insorgere di nuove inquietudini legate sia al rapporto fra sudditi e poteri costituiti che ai modi di intendere l’autorità e la fede. Non appena eletto imperatore, Carlo V mostrò fin dall’inizio la volontà di unire la cristianità sotto un’unica guida, ma dovette confrontarsi con una crisi religiosa che aveva radici profonde e che era giunta ormai a un punto di non ritorno.

13.1 La Chiesa di Roma: tensioni politiche e aspirazioni al rinnovamento religioso

I “mali della Chiesa” cinquecentesca

 Fin dal tardo Medioevo la Chiesa di Roma era stata scossa da istanze di riforma e dall’esigenza di una rinascita spirituale capace di affermare nuove priorità dei fedeli e delle gerarchie ecclesiastiche [▶ cap. 6]. Fra il XV e il XVI secolo le pressioni esercitate in questo senso sul potere pontificio si intensificarono a causa di una serie di fattori concomitanti. A seguito della crescente presenza delle potenze straniere sul territorio della penisola, gli Stati italiani persero parte della loro influenza a livello europeo e iniziò pertanto a intaccarsi il solido reticolo di mecenatismi che aveva sostenuto il prestigio delle dinastie regnanti [▶ cap. 10]. La collaborazione fra queste ultime e l’alto clero fu confermata, mettendo spesso ai margini artisti, pensatori e uomini di lettere. Un numero crescente di intellettuali si impegnò nella denuncia della corruzione morale che accompagnava le spietate lotte di potere fra i diversi casati, approfittando di una diffusione sempre maggiore della lingua volgare, che permetteva di raggiungere settori più ampi della popolazione. In particolar modo vennero prese di mira le azioni di papa Alessandro VI e della corte di alti prelati che circondava la famiglia Borgia [▶ cap. 12.3], e queste critiche finirono per rafforzare l’immagine di una gerarchia ecclesiastica assetata di ricchezza e poco attenta alla cura delle anime.

Ad aggravare la situazione intervenne il ricorso sempre più frequente, da parte della Chiesa, alla controversa pratica della vendita delle indulgenze , che offriva ai fedeli la possibilità di ottenere la remissione dei peccati e delle pene attraverso donazioni e opere benefiche, incrementando così a dismisura i beni materiali del clero. La dottrina sulla quale si basava questo scambio era, per certi versi, lineare: Cristo, la Vergine Maria e i santi avevano accumulato con i loro meriti un “tesoro” spirituale che veniva messo a disposizione della cristianità. Le gerarchie ecclesiastiche si attribuivano il diritto di attingere a questo patrimonio, distribuendone i benefici a tutti coloro che si mostravano disposti a pagare somme più o meno alte.

I predicatori che alimentavano questo mercato, capace di coinvolgere anche la nobiltà e i ceti abbienti, promettevano uno sconto delle pene purgatoriali [ 1], mentre ai più generosi era prospettato addirittura l’accesso diretto al Paradiso.

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Umanesimo e fermenti evangelici: Erasmo da Rotterdam

 Le critiche verso gli orientamenti della corte papale e delle gerarchie ecclesiastiche, oltre a tradursi in un diffuso anticlericalismo, assunsero in diverse aree d’Europa un respiro più ampio, confluendo in un organico tentativo di fusione fra istanze umanistiche e fermenti evangelici. Il rinnovamento culturale fondato sullo studio delle humanae litterae e sulla riscoperta dei testi antichi contribuì allo sviluppo di un nuovo interesse per l’analisi critica del testo biblico, aperta anche all’uso del metodo filologico [▶ cap. 10.4] e quindi indipendente dalla mediazione interpretativa del ceto sacerdotale. Molti pensatori furono inoltre accomunati dalla volontà di promuovere l’incontro tra fede e ragione, tra le eredità culturali del mondo greco-latino e il successivo pensiero cristiano. Si diffuse quindi una nuova cultura che alimentava il bisogno di riscoprire le radici del messaggio cristiano attraverso lo studio diretto dei testi sacri e la promozione di una nuova disciplina religiosa ispirata al Vangelo.

I tratti caratterizzanti del pensiero umanistico cristiano furono definiti dall’umanista olandese Erasmo da Rotterdam (Geert Geertsz, 1469 ca.-1536) [ 2], che fu educato fin dall’infanzia alle suggestioni della Devotio moderna, un movimento religioso che aveva assorbito le profonde esigenze di rinnovamento spirituale diffuse nell’area dei Paesi Bassi. Dopo aver trascorso sei anni in un convento agostiniano, Erasmo cominciò a viaggiare fra Italia, Francia e Inghilterra, entrando in contatto con i più importanti letterati dell’epoca e mettendosi in luce per la sua conoscenza dei classici.

Coerentemente con il suo ideale di vita cristiana, slegato dai sistemi dogmatici e fondato sul principio del libero accesso dell’individuo alle fonti primarie della religione, nel 1516 Erasmo pubblicò un’edizione critica della versione greca e latina del Nuovo Testamento, che costituirà la base delle successive edizioni in volgare. Nelle sue opere - fra le quali vanno ricordate l’Elogio della pazzia, i Dialoghi, il Manuale del soldato cristianoL’educazione del principe cristiano - sviluppò un pensiero originale, dimostrando come gli insegnamenti di Cristo fossero conciliabili con le grandi lezioni dei pensatori dell’antichità e come potessero fungere da stimolo per la ricerca di una nuova morale, liberata dai retaggi secolari di una religiosità fondata sulla superstizione, sui comportamenti esteriori, sugli inganni di un clero corrotto, sull’intolleranza e sugli incomprensibili cavilli dottrinali elaborati dai teologi [ 3]. Erasmo non si separò mai formalmente dalla Chiesa, ma il suo pensiero si rivelò sempre più incompatibile con la rotta intrapresa dalle gerarchie romane, che decisero infatti di mettere al bando i suoi scritti inserendoli nell’Indice dei libri proibiti (di cui parleremo).

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13.2 Il messaggio di Lutero

Le motivazioni spirituali

Risulta difficile capire le origini della Riforma protestante senza partire dal presupposto che le motivazioni del suo ispiratore furono di natura prettamente spirituale. Troppo spesso si sono accentuati i caratteri politici eversivi di un movimento complesso che nacque da un’idea ben definita di rapporto con Dio e con le fonti della dottrina. Martin Lutero (Martin Luther, 1483-1546) nacque da una famiglia di piccoli imprenditori della Turingia a Eisleben, nelle aree interne del territorio tedesco. Fin da molto giovane venne a contatto con una religiosità tenebrosa, incentrata sul terrore del diavolo e sull’idea di colpa e punizione [ 4]. Intraprese gli studi giuridici nel 1501, ma qualche anno più tardi decise di cambiare completamente rotta entrando nell’ordine agostiniano. Anche se questa svolta fu probabilmente dovuta a un lungo travaglio interiore, è utile ricordare che Lutero stesso la attribuì a un evento che lo aveva segnato in profondità: durante un temporale un fulmine era caduto a pochi passi da lui, facendogli comprendere la fragilità dell’esistenza umana di fronte alla potenza di Dio e al carattere imperscrutabile delle sue decisioni [▶ altri LINGUAGGI, p. 420].

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Ricevuta l’ordinazione sacerdotale nel 1507, approfondì gli studi di teologia ottenendo anche una cattedra a Wittenberg, in Sassonia. La sua riflessione si concentrò sulle vie concesse al fedele per ambire alla salvezza eterna e, proprio durante uno dei suoi corsi sull’Epistola ai Romani di san Paolo, ebbe occasione di elaborare una visione della giustizia suprema che poneva l’accento sull’onnipotenza dell’elargitore. Gli uomini, in questa prospettiva, potevano essere partecipi della grazia divina rivelata nel Vangelo solo in virtù della loro fede. Il sacrificio di Cristo era stato un dono, mediante il quale si offriva a ciascun peccatore l’occasione di riconoscere la propria miseria e di affidarsi gratuitamente alla misericordia del Padre.

Per Lutero le opere umane non potevano in alcun modo cambiare le disposizioni di Dio e tale idea radicale sovvertiva radicalmente le regole codificate dalla Chiesa di Roma, secondo cui le buone azioni erano un fattore decisivo per ottenere il perdono dei peccati ed evitare la dannazione eterna. Per il teologo agostiniano la natura umana era irrimediabilmente corrotta dal peccato originale e di conseguenza non poteva ambire alla redenzione, che solo Dio poteva donare. Dio concedeva agli uomini peccatori la possibilità di fare del bene, ma ciò non poteva in alcun modo servire a ottenere la grazia.

In aperta opposizione con Erasmo da Rotterdam, che in una sua opera aveva sostenuto l’importanza del ▶ libero arbitrio dell’uomo nel raggiungimento della salvezza eterna, Lutero teorizzò la totale subalternità delle scelte individuali rispetto al disegno celeste (De servo arbitrio, 1525).

Le “95 tesi” e la loro diffusione

Le teorie di Lutero, frutto di lente e laboriose elaborazioni maturate nel tempo, erano presto destinate a intrecciarsi alle vicende politiche del mondo tedesco. Ciò avvenne nel 1514, quando Alberto di Hohenzollern, già titolare di due diocesi e fratello del ▶ margravio di Brandeburgo, volle candidarsi al posto di arcivescovo di Magonza e diventare uno dei grandi elettori imperiali.

Il pontefice Leone X (1513-21), al secolo Giovanni de’ Medici, accettò di ap­poggiarne la candidatura chiedendo però una somma ingente (10 000 ducati) per esonerarlo dal divieto canonico di cumulare le cariche [ 5]. Cosciente della difficoltà nel mettere insieme una somma tanto ingente, il pontefice concesse ad Alberto anche il permesso di organizzare una vendita delle indulgenze straordinaria sull’ampio territorio tedesco, finalizzata in buona parte a rimpinguare le casse della camera apostolica [▶ cap. 2.5].

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Fortemente colpito da quanto stava avvenendo, il 31 ottobre del 1517 Lutero inviò ad Alberto un documento contenente 95 tesi, nelle quali condannava il mercimonio in corso e negava alla Chiesa il potere di rimettere le pene [▶ FONTI, p. 406]. Le tesi furono affisse anche – secondo la tradizione – all’entrata della chiesa del castello di Wittenberg ed ebbero una risonanza enorme, probabilmente maggiore di quella che lo stesso teologo si aspettava. Le stesse tesi furono date alle stampe e, grazie alle possibilità offerte da questo mezzo di riproduzione, circolarono in tutti i territori del mondo germanico, accrescendo il malcontento nei confronti della Santa Sede e delle gerarchie romane

Il successo delle tesi di Lutero

Le ragioni di tanto successo si spiegano anche in virtù di un’azione di propaganda costruita su una puntuale interazione fra parola scritta, immagine e comunicazione orale. I testi (secondo alcune ricerche diffusi in ben 300 000 copie, in un contesto dove i potenziali lettori alfabetizzati non erano più di 500 000) furono affiancati da illustrazioni e xilografie [ 6] e dall’incessante opera di predicatori che svilupparono un linguaggio semplice ed espressivo, capace di rendere comprensibili al pubblico gli aspetti più spigolosi della teologia luterana, fatti confluire in un messaggio anticlericale che incontrava consensi presso diversi ceti sociali. In questa chiave i sostenitori di Lutero dipinsero il papa come nemico di Cristo e affamatore dei popoli, facendo anche leva sul riscatto dell’identità tedesca contro un’autorità straniera che, in nome di un primato spirituale più presunto che reale, si era mostrata incline a ogni forma di abuso.

L’affermazione della Riforma incise dunque anche sugli usi linguistici delle comunità del mondo tedesco, che non soltanto acquisirono familiarità con pratiche comunicative insolite, ma furono anche stimolate a sviluppare processi di alfabetizzazione. La nuova fede era fondata su una lingua che fondeva la grammatica della burocrazia sassone con forme dialettali e riuscì a superare le barriere regionali, affermandosi su ampia scala presso tutti i ceti. Ben diversa fu la tendenza nei territori rimasti cattolici, dove la lingua, l’alfabetizzazione e il persistente uso del latino nelle funzioni religiose continuarono a essere importanti fattori di divisione sociale.

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FONTI

Le 95 tesi di Lutero

La vendita delle indulgenze era fra i temi più approfonditi da Lutero nelle 95 tesi. La critica proposta dal monaco agostiniano era radicale, ma anche immediatamente comprensibile ai destinatari del testo: a finire sotto accusa erano infatti i sacerdoti che infliggevano ai moribondi «pene canoniche da scontare in purgatorio» perché colpevoli di speculare sulle paure dei fedeli, cui facevano credere di poter risparmiare il supplizio grazie alle opere di carità. Il messaggio di Lutero era chiaro: solo l’onnipotenza di Dio, e non l’autorità terrena del papa e del clero, poteva concedere il dono della salvezza.

10. I sacerdoti che infliggono ai moribondi pene canoniche da scontare in purgatorio dimostrano ignoranza e disonestà. [...]


13. Ai morti è concesso di scontare ogni peccato fino al momento della morte; dopo la morte, le disposizioni canoniche non li riguardano più, poiché ne sono sciolti di diritto. […]


15. A parte ogni altra considerazione, questa paura, consistente nella tremenda sofferenza derivante dalla disperazione, costituisce già di per sé una pena purgatoriale.


16. La differenza tra l’inferno, il purgatorio e il paradiso sembra risiedere nella differenza esistente tra la disperazione, la quasi disperazione e la sicurezza. [...]


20. Perciò il papa, quando parla della remissione plenaria di tutte le pene, non intende riferirsi al perdono di tutte, ma soltanto di quelle imposte da lui. […]


24. La conseguenza inevitabile è che la maggior parte del popolo viene ingannata dalla indiscriminata e altisonante promessa della dispensa dalle pene. […]


43. È necessario insegnare ai cristiani, che donare al povero o concedere un prestito ai bisognosi ha più valore dell’acquisto di indulgenze.


44. Infatti, le opere di misericordia favoriscono la carità rendendo l’uomo migliore, mentre le indulgenze non lo migliorano, ma lo liberano soltanto dalla pena. […]


45. È necessario insegnare ai cristiani, che chi spende il suo denaro per comprare le indulgenze dimenticando i poveri, non acquista le indulgenze del papa, ma l’indignazione di Dio.


M. Lutero, Scritti politici, a cura di G. Panzieri Saija, Utet, Torino 1959

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La reazione del papa e dell’imperatore

L’entità della spaccatura che si stava consumando nel cuore dell’Europa non fu subito compresa dalla Chiesa di Roma (definita d’ora in poi “cattolica”, per distinguerla dalle confessioni riformate e dalle altre Chiese cristiane). Si dovette infatti infatti attendere il 1520 per avere la prima vera risposta da parte del papato, quando Leone X con la bolla Exsurge Domine (“Sorgi o Signore”) minacciò Lutero di scomunica, concedendogli 60 giorni per ritrattare le sue idee. In risposta ottenne un gesto tanto plateale quanto significativo: la pubblica distruzione del documento, bruciato insieme ad alcuni testi di diritto canonico.

L’imperatore Carlo V [▶ cap. 12], preoccupato per il conflitto religioso che si andava profilando all’interno dei suoi domini, concesse all’autore delle tesi la possibilità di giustificarsi al suo cospetto. Convocato alla Dieta di Worms dell’aprile del 1521, di fronte all’imperatore e a un delegato papale che lo esortava al pentimento, Lutero si rifiutò di rinnegare le proprie idee, affermando di rispondere alla sua sola coscienza, vincolata alla parola di Dio espressa nella Bibbia. In conseguenza di un tale affronto, egli fu dichiarato eretico e messo al bando da tutti i territori dell’Impero; riuscì anzi a sfuggire a una morte sicura soltanto grazie alla protezione dell’elettore di Sassonia Federico il Saggio e si pose in salvo nel castello di Wartburg, dedicando tutto il suo tempo alla traduzione in volgare tedesco del Nuovo Testamento.

I punti di rottura tra Lutero e la Chiesa romana

La nuova prospettiva affermata da Lutero toccava corde sensibili sul delicato tema del rapporto fra il fedele e le Sacre Scritture, che dovevano essere lette e illustrate senza prendere in considerazione l’interpretazione ufficiale imposta da Roma. Accanto alla centralità della fede (sola fide) e della grazia (sola gratia), trovava posto quindi il testo biblico (sola scriptura) che sovrastava qualsiasi tipo di magistero clericale. Se affiancato alla teoria dell’inconsistenza delle opere ai fini della salvezza, il principio della sola scriptura cancellava di fatto tutte le principali funzioni svolte dai ministri della Chiesa, privandole di significato. Nell’ordinamento romano, infatti, i sacerdoti erano divulgatori esclusivi dell’interpretazione canonica della Bibbia, nonché mediatori fra il sovrannaturale e i fedeli, chiamati a mettere sulla bilancia i loro peccati, a verificare la sincerità dei pentimenti, a distribuire castighi e assoluzioni, a stabilire il valore specifico delle azioni per l’accelerazione, la compromissione o l’eventuale rallentamento del cammino di salvezza.

La rilettura dei testi sacri indusse il teologo a conservare due soli sacramenti, ritenendoli istituiti direttamente da Cristo: il battesimo e l’eucarestia. La comunità dei cristiani non poteva ammettere l’esistenza di alcuna Chiesa intesa come entità separata dal corpo sociale e, stando a questa prospettiva, anche i voti monastici perdevano qualsiasi forma di legittimità. Lutero affermò quindi il principio del sacerdozio universale, consentendo di fatto ai fedeli di poter entrare in rapporto diretto con il sovrannaturale e il divino senza alcuna mediazione terrena.

Lutero stesso abbandonò l’abito dell’ordine agostiniano e si unì in matrimonio con una ex monaca di nome Katharina Von Bora, nativa di Lippendorf e figlia di un cavaliere sassone.

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Punti di contrasto Chiesa di Roma Lutero
Questione della salvezza Si ottiene attraverso la fede e le buone opere È nelle mani di Dio onnipotente: l’uomo può solo avere fede nella grazia
Sacramenti riconosciuti Battesimo, eucarestia, cresima, penitenza, ordine sacro, matrimonio, unzione degli infermi Solo battesimo ed eucarestia, in quanto istituiti direttamente da Cristo
Rapporto con le Sacre Scritture La loro interpretazione è affidata al clero Libero esame da parte dei fedeli (il Nuovo Testamento viene tradotto in lingua corrente)
Rapporto tra Dio e i fedeli Magistero clericale Sacerdozio universale

13.3 La Riforma luterana e i poteri laici

La nobiltà tedesca e le città imperiali

L’impatto politico del messaggio riformato sul mondo tedesco fu evidente già nel corso degli anni Venti. Alcuni principi – primi fra tutti i grandi elettori di Sassonia e del Palatinato – approfittarono dell’indebolimento dell’autorità imperiale causato dalla divisione religiosa per rafforzare il proprio potere territoriale e impossessarsi di molti beni ecclesiastici. Alberto di Hohenzollern decise per esempio di secolarizzare i beni dell’Ordine teutonico, di cui era Gran Maestro, assumendo il titolo di duca di Prussia, sotto la tutela nominale del re di Polonia.

I piccoli feudatari, detti cavalieri, penalizzati da una difficile congiuntura economica e minati nel loro prestigio dall’affermazione delle grandi macchine belliche statali, intravidero nella Riforma la possibilità di organizzare un fronte comune di opposizione all’autorità papale. Le città imperiali [▶ cap. 8.5] colsero invece l’occasione per rafforzare le loro autonomie, accompagnando l’introduzione delle nuove liturgie alla soppressione di conventi e monasteri, percepiti come centri di potere oppressivi e obbedienti ad autorità lontane dal territorio.

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Riforma e cambiamento sociale: i contesti rurali

Nelle aree rurali la Riforma luterana suscitò un grande interesse, soprattutto in virtù delle istanze egualitarie che essa sembrava contenere, nella misura in cui mettevano in discussione il ruolo dei poteri consolidati. Molti predicatori che dichiaravano di ispirarsi al nuovo credo – in alcuni casi sedicenti profeti di inclinazione millenaristica – presero a sobillare i contadini contro l’oppressione delle gerarchie ecclesiastiche, ma anche contro gli abusi signorili e i gravami feudali, sostenendo le esigenze di autonomia dei villaggi. L’obiettivo esplicito era legare la riforma religiosa a un profondo cambiamento sociale che portasse alla realizzazione terrena della “città di Dio”, cioè all’istituzione di una società fondata sui valori comunitari del Vangelo.

Queste suggestioni ebbero un ruolo importante, innestandosi su un malcontento serpeggiante già da lungo tempo nei territori tedeschi. Nel 1524 si verificarono le prime sommosse in Svevia, lungo le rive del Reno, in Turingia, Sassonia, Carinzia e Tirolo [ 7]. Non furono soltanto i lavoratori poveri a intraprendere la via della violenza, ma anche i piccoli proprietari, che reclamavano il ripristino delle antiche consuetudini locali contro gli abusi dei poteri signorili, in massima parte ecclesiastici. Costoro avevano infatti rafforzato i prelievi fiscali e inasprito il regime feudale, sottraendo a villaggi e comunità la possibilità di usufruire di spazi comuni e di mezzi di produzione collettivi comuni.

In queste posizioni fortemente rivendicative si rileva un tratto tipico delle rivolte dell’Europa di ▶ antico regime che, anziché guardare al futuro e alla prospettiva di un nuovo ordine, erano legate alla difesa di costumi e privilegi preesistenti, nonché alla conservazione di equilibri atti a regolare il rapporto fra i diversi ceti sociali.

La guerra dei contadini

Fra i personaggi carismatici che si fecero propagatori di un messaggio di rigenerazione morale e materiale si distinse il religioso visionario Thomas Müntzer (1490-1525). Dopo essere entrato in contatto con diversi gruppi di contadini nel corso di lunghe peregrinazioni nelle campagne tedesche, egli si stabilì a Mühlhausen, in Turingia, dove diede inizio a una rivolta che fece tremare l’ordine costituito [ 8].

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Nella sua celebre Predica ai principi del 1524, Müntzer fece leva anche su messaggi eversivi e, con i suoi caratteristici toni apocalittici, invitò a uccidere «i governanti empi, particolarmente i preti e i monaci» che inquinavano con le loro eresie i testi sacri. Grazie alla sua capacità di persuasione, i contadini trovarono nella primavera del 1525 gli stimoli per prendere le redini della situazione, sia dal punto di vista politico che da quello economico e produttivo. Denunciarono il tramonto di un’epoca aurea di prosperità e privilegi accordati alle comunità rurali, affermando la necessità di una diversa distribuzione dei pesi fiscali e il ristabilimento dei pascoli e dei campi comuni.

La ribellione dilagò ma gli insorti delle varie regioni si dimostrarono presto divisi al loro interno e legati a logiche localistiche, perciò non riuscirono a coordinarsi in un fronte comune. I ceti dominanti nelle città si unirono invece ai nobili per combattere la rivolta. Fu lo stesso Lutero, preoccupato di perdere l’appoggio dei ceti più elevati, a compiere la mossa decisiva: nel maggio del 1525 pubblicò un testo intitolato Contro le empie e scellerate bande dei contadini, in cui esortava le autorità a punire senza pietà i fautori della ribellione, sancendo l’assoluta estraneità del suo messaggio di fede da ogni pretesa di cambiamento sociale. I contadini e i popolani furono massacrati a decine di migliaia; lo stesso Müntzer fu catturato e torturato prima di essere condotto a morte.

Le vicende identificate dalla storiografia come “guerra dei contadini” furono un decisivo punto di svolta per i seguaci di Lutero che riuscirono a consolidare le loro posizioni, confermandosi leali ai principi del mondo tedesco e stabilendo un reticolo di alleanze utili a proteggere lo sviluppo del nuovo credo. La cancellazione forzosa delle posizioni radicali sostenute da Müntzer e dagli altri profeti era un chiaro segnale della volontà di porsi a supporto dell’ordine vigente rafforzando le posizioni antipapali dei nuovi assetti di potere, che tendevano ad assecondare le autonomie facendo leva sui potentati locali ormai intenzionati a emanciparsi da qualsiasi vincolo con Roma.

Il massacro degli anabattisti

Non mancarono le opposizioni da parte di gruppi fermi su posizioni contestatrici, come quello degli “anabattisti”, che intendevano “ribattezzare” (dal greco aná, “di nuovo”) i credenti considerando nullo il rito praticato su neonati inconsapevoli. In realtà a definire tali i seguaci di questa dottrina erano i denigratori, mentre loro stessi erano soliti identificarsi come “fratelli” e “sorelle”, partendo dal presupposto che i veri credenti fossero uniti da un legame tanto indissolubile da potersi ritenere parte di una sola famiglia. Rifiutavano la violenza, ma con essa negavano anche il rispetto delle autorità terrene, sostenendo che solo le illuminazioni dello Spirito Santo erano meritevoli di sentimenti di obbedienza.

Agli inizi del 1534, un gruppo di “ribattezzatori” proveniente dai Paesi Bassi si stabilì a Münster, in Vestfalia, prendendo il controllo della città e imponendo nuove forme di vita comunitaria fondate sulla condivisione dei beni, senza escludere forme di poligamia. I capi ribelli, preannunciando un’imminente fine dei tempi, definirono la loro roccaforte “▶ Nuova Sion”, abolirono l’uso del denaro, commisero atrocità dettate dalla volontà di reprimere il dissenso e misero fuori legge ogni libro diverso dalla Bibbia. Riuscirono a resistere per lunghi mesi in una città assediata, ma alla fine dovettero capitolare di fronte a papisti e luterani che si unirono in nome della repressione del movimento. La popolazione fu massacrata: molti credenti si rifiutarono di pronunciare una pubblica ▶ abiura e furono puniti finendo al centro di sanguinosi spettacoli di giustizia, con i loro corpi martoriati esposti agli occhi dei sopravvissuti.

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Il teologo e l’imperatore

L’imperatore Carlo V, avendo preso coscienza della pervicacia di Lutero, comprese di dover seguire altre vie per cercare di sanare il conflitto religioso che lacerava i suoi possedimenti e restaurare l’idea di unità sulla quale si alimentava il suo progetto universalistico. Convocò una Dieta ad Augusta nel 1530, alla quale partecipò il più fido collaboratore di Lutero, Filippo Melantone (Philipp Schwarzerdt, 1497-1560) [ 9], che fungeva da portavoce di un ampio fronte di sostegno: la professione di fede da lui redatta (Confessio augustana), nella quale si affermavano i cardini della dottrina luterana tentando di dimostrarne la coerenza con gli insegnamenti del Vangelo, fu infatti capace di ottenere il pieno appoggio delle città e dei principi che avevano aderito alla Riforma.

I teologi cattolici non si mostrarono disponibili ad alcun compromesso e Carlo, vista anche l’esigenza di difendere il credo di cui egli stesso si faceva garante, ordinò ai protestanti di fare un passo indietro, finendo paradossalmente per inasprire ancora di più le loro posizioni.

Nacque così la Lega di Smalcalda, un’alleanza di principi protestanti che si garantirono l’un l’altro l’appoggio nel caso di uno scontro con l’imperatore. Impegnato ad arginare la minaccia turca nel Mediterraneo e a combattere contro la Francia (il re francese Enrico II cercò in questo periodo l’appoggio dei principi protestanti e del sultano turco per sostenere la causa dei Valois contro l’egemonia della casa asburgica [▶ cap. 12]), Carlo fu tuttavia costretto a rimandare a lungo lo scontro diretto con il fronte avverso. Solo nel 1547, a Mühlberg, ottenne una vittoria importante, da cui non riuscì però a trarre il vantaggio politico auspicato.

La Pace di Augusta

Fu il fratello di Carlo ed erede al trono imperiale, Ferdinando, a condurre le trattative che portarono alla Pace di Augusta del 1555. Riconoscendo l’esistenza di diverse fedi religiose sul territorio tedesco e decretando di fatto la fine di ogni velleità universalistica dell’Impero, fu costretto ad accettare il principio del cuius regio eius religio (“la religione [sia quella] di colui al quale appartiene la regione”) in virtù del quale i sudditi erano chiamati a professare la fede del loro principe.

La divisione dei territori dell’Impero in due tronconi, uno cattolico e l’altro protestante (altre fedi non erano prese in considerazione), rappresentava una presa d’atto, da parte di Carlo V, delle lacerazioni ormai insanabili presenti in una compagine politica già duramente provata dai continui attacchi di forze disgreganti. Le conseguenze furono rilevanti soprattutto dal punto di vista dei sovrani riformati, che videro rafforzata la loro posizione e poterono incamerare i beni ecclesiastici, formando di fatto Chiese nazionali indipendenti dal potere spirituale e temporale del papa. Anche gli Stati che rimasero legati alla confessione romana acquisirono maggiore autonomia, consolidando la difesa dai nemici esterni e impegnando in maniera massiccia le forze di polizia per la repressione del dissenso interno.

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13.4 Gli sviluppi della Riforma

La parabola di Zwingli

La Riforma assunse in Europa identità molteplici. Le esperienze di maggiore rilievo si realizzarono nel territorio svizzero, formalmente sottoposto all’Impero ma di fatto organizzato come una confederazione di cantoni indipendenti [ 10]. Fra coloro che fecero proprio il messaggio luterano, declinandolo in forme inedite, si distinse Huldreich Zwingli (1484-1531). Predicando nella cattedrale di Zurigo proprio nei mesi successivi alla pubblicazione delle tesi di Lutero, nel 1517, Zwingli formulò un’originale dottrina sui sacramenti e sul culto. Egli infatti negava la presenza reale di Cristo nell’ostia consacrata, rigettando sia la dottrina cattolica della “transustanziazione” (la totale conversione del pane nel corpo di Cristo), sia quella luterana della “consustanziazione” (secondo cui la conversione è solo parziale) e considerando il banchetto eucaristico come una semplice commemorazione dell’Ultima cena.

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Suggestionato dal pensiero di Erasmo da Rotterdam, Zwingli richiamava i fedeli a una religiosità meditativa, fondata sulla sobrietà e sulla centralità del messaggio biblico, fino a proporre una riforma radicale della liturgia che prevedeva l’abolizione della messa e la distruzione delle immagini sacre, che erano oggetto di idolatria (mentre le altre erano ammesse solo in quanto manufatti artistici e prodotti dell’ingegno donato da Dio all’uomo).

Le idee di Zwingli riscossero consensi anche a Berna e Basilea, ma ben presto il suo progetto venne a scontrarsi con l’opposizione dei territori rimasti fedeli a Roma. Fermi nel proposito di instaurare un nuovo ordine fondato sulla simbiosi fra potere religioso e civile, i seguaci del teologo cercarono l’alleanza dei protestanti tedeschi organizzando un incontro a Marburgo (1529) al quale parteciparono anche Lutero e Melantone. I contendenti non trovarono alcun accordo sul nodo dell’eucarestia e la compagine dissidente rimase priva dei supporti necessari contro i nemici che avanzavano in maniera minacciosa. Nel 1531, un esercito cattolico sferrò l’attacco contro la comunità di Zurigo, costretta a soccombere a Kappel in uno scontro che vide lo stesso Zwingli perdere la vita.

Calvino: l’attivismo e i segni della salvezza

I fermenti generati dalla predicazione di Zwingli non si spensero e trovarono una nuova espressione nel pensiero di Giovanni Calvino (Jean Calvin, da Calvinus, latinizzazione del francese Cauvin, 1509-64), nativo di Noyon in Piccardia, nella Francia settentrionale. Proveniente da una famiglia agiata (il padre Gérard fu funzionario del vescovo), ebbe la possibilità di studiare venendo in contatto con i circoli umanistici e perfezionandosi nel campo giuridico, prima di giungere all’inizio degli anni Trenta a distaccarsi dalla fede romana per abbracciare il credo protestante. Le iniziative di Francesco I contro le minoranze non obbedienti ai dettami della Chiesa gallicana [▶ cap. 8.3] indussero Calvino a scappare, rifugiandosi prima a Strasburgo e poi a Basilea, dove pubblicò in latino, nel 1536, l’Istituzione della religione cristiana, presto tradotta in francese, olandese, tedesco, inglese e spagnolo [▶ FONTI, p. 414]. L’opera prescriveva il rispetto per le autorità secolari, ma allo stesso tempo ricordava ai fedeli che qualsiasi disposizione voluta dagli uomini era subordinata all’obbedienza a Dio.

I presupposti della dottrina calvinista erano comuni al pensiero luterano. La centralità delle Sacre Scritture era alla base di una fede che vedeva l’uomo in una naturale condizione di miseria spirituale, impotente di fronte a un Dio maestoso che, seguendo la sua volontà imperscrutabile, aveva concesso la salvezza ad alcuni eletti. Le opere terrene non avevano alcun valore ai fini del conseguimento della beatitudine eterna. Ciò nonostante, al fedele non era totalmente preclusa la possibilità di intravedere in vita ciò che l’Altissimo aveva previsto per lui. La forza di condurre una vita retta e di contribuire alla realizzazione in terra del disegno celeste poteva essere un indizio di predestinazione, ma più di ogni cosa assumeva rilevanza la capacità di seguire la propria vocazione mettendosi al servizio della società.

La fede calvinista si reggeva su un sottile paradosso poiché conservava – al pari del credo luterano – l’irrilevanza delle opere umane ai fini della salvezza, ma non escludeva la possibilità di conferire un ruolo all’attivismo e alla volontà. Per il teologo di origine francese, gli uomini avevano l’opportunità di ricevere una conferma della loro vicinanza ai disegni della provvidenza attraverso i risultati conseguiti nel lavoro e in tal modo potevano combattere i dubbi opprimenti che li attanagliavano circa il loro destino ultraterreno.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715