12.2 Le potenze europee fra centralismi e particolarismi

12.2 Le potenze europee fra centralismi e particolarismi

La Francia

Sotto i regni di Carlo VIII (1493-98), Luigi XII (1498-1515) e Francesco I (1515-47), la Francia continuò l’azione di rafforzamento del potere centrale [ 5] iniziata nel corso del XV secolo [▶ cap. 8.3]. Il paese contava allora, probabilmente, più di 15 milioni di abitanti, quasi il triplo della Spagna. La ricca attività agricola e manifatturiera era sostenuta dai flussi commerciali che percorrevano sia l’Atlantico e il Mediterraneo, sia le vie di terra dell’Europa continentale.

Il territorio francese fu diviso in circoscrizioni fiscali e il sistema di prelievo divenne più efficiente, anche se ampi settori della nobiltà e del clero conservarono l’esenzione. Un ruolo centrale venne affidato agli Stati generali, che portavano al sovrano le istanze dei rispettivi ceti: cleronobiltà e “terzo stato”. Con il trascorrere degli anni però, queste assemblee rappresentative si riunirono sempre più raramente e lo stesso Consiglio del re, formatosi in età altomedievale e composto dai più influenti esponenti della nobiltà e dell’alto clero, perse progressivamente importanza a favore di organismi nominati direttamente dal sovrano e perciò più facilmente controllabili. Per cercare di arginare i potentati locali e di garantire il rispetto dell’autorità monarchica anche i parlamenti, che svolgevano funzioni giudiziarie nella capitale e nelle province, vennero sottratti alle influenze aristocratiche e affidati a giuristi – anche di origine borghese – formatisi nelle università.

Sul piano religioso furono sfruttati i privilegi propri della tradizione “gallicana”, che riservava al sovrano francese una considerevole indipendenza da Roma, permettendogli di vantare prerogative sul clero secolare e regolare: a lui era riservato, infatti, il diritto di nominare vescovi, abati e priori. La presenza sui territori di figure direttamente dipendenti dal re ridimensionava fortemente il ruolo della Chiesa come depositaria di autorità signorili o territoriali.

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>Gli sviluppi qui esposti potrebbero far pensare all’affermazione di un potere assoluto svincolato da altre forme di autorità, ma non fu così: le dialettiche fra spinte centralizzanti e sopravvivenze di poteri particolaristici producevano effetti talvolta complessi, generando nuove occasioni di conflitto. Basti pensare al fatto che i titolari di feudi conservarono comunque parte delle loro prerogative, che le assemblee delle comunità rurali potevano intervenire nella risoluzione delle controversie e nel controllo delle attività produttive, mentre le città tendevano ancora ad autogestirsi. Dagli anni Venti del Cinquecento, inoltre, le cariche amministrative divennero ufficialmente vendibili, permettendo sì allo Stato di acquisire risorse, ma dando anche il via alla formazione di un nuovo ceto di potere in grado di ritagliarsi importanti spazi di autonomia all’interno dell’apparato statale.

La Spagna fra unità politica e repressione delle minoranze

Il matrimonio tra Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia (1469) era stato uno stimolo verso l’unificazione della penisola iberica, ma le divisioni interne rimanevano forti. Al di là delle differenze culturali e anche linguistiche tra i due regni, in un contesto segnato dalla sopravvivenza di forti poteri feudali; le aristocrazie esercitavano ancora una notevole influenza in ambito economico, controllando le attività produttive e gestendo i conflitti fra allevatori e agricoltori, anche se di fatto curavano prevalentemente i loro interessi. Le stesse assemblee rappresentative, le Cortes, erano convocate solo quando la corona doveva sottoporre ad approvazione le richieste di ▶ donativi e prelievi fiscali, ma avevano una grande influenza sul territorio. La monarchia cercò ridurre le prerogative dei ceti dominanti introducendo nuove figure di funzionari regi come i corregidores, chiamati a risolvere i conflitti locali. Anche i consiglieri del re cambiarono nettamente fisionomia, in conseguenza delle nuove possibilità di carriera apertesi per gli esperti di diritto di origini borghesi e mercantili.

L’unità politica del regno era garantita anche dall’intransigenza religiosa, che aveva avuto un ruolo importante nella definizione di un’identità unitaria, rafforzata anche dal comune sforzo prodotto nella guerra contro i mori (come venivano chiamati gli arabi). La cosiddetta reconquista si completò proprio nell’anno della scoperta del Nuovo Mondo, il 1492, con la caduta del Regno di Granada [▶ cap. 8.4]. L’evento produsse effetti negativi sul piano economico, visto che i mori si distinguevano per la loro intraprendenza nelle attività commerciali, ma dal punto di vista dei regnanti la conformità del profilo culturale e religioso del corpo dei sudditi era prioritaria rispetto alla prosperità del paese. La questione, peraltro, non era nuova: gli ebrei erano costretti già da tempo a rinnegare la loro fede – i cosiddetti marranos – ma spesso continuavano a professarla in privato, generando tensioni e sospetti nelle comunità di appartenenza. I musulmani convertiti con la forza furono invece identificati con l’appellativo spregiativo di moriscos e diedero vita a rivolte represse nel sangue. Le conseguenze di questa politica si manifestarono anche nel diffondersi dell’ossessione per la “purezza del sangue”, che poneva una distinzione fra i cristiani di vecchia data e quelli che invece discendevano da “infedeli” convertiti.

Per garantire il consolidamento dell’autorità monarchica, un crescente potere fu conferito all’Inquisizione, che fin dal 1478 era stata posta sotto la direzione del sovrano ed era impegnata nella repressione di diverse forme di eresia e dissenso. Il temuto tribunale funse di fatto da forza centralizzante, essendo l’unico organo giudiziario che agiva uniformemente su tutto il territorio castigliano e aragonese, senza alcuna apprezzabile differenza procedurale da un luogo all’altro.

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Il rafforzamento della monarchia inglese
 Alla fine della Guerra delle Due rose fra le case di Lancaster e York (1455-85) [▶ cap. 8.2], il re inglese Enrico VII Tudor (1485-1509) riuscì a stabilizzare la sua posizione limitando le prerogative nobiliari, aumentando le entrate della corona con politiche finanziare avvedute e circondandosi di un Consiglio composto da uomini che non facevano parte dei casati più potenti. Per le nomine dei giudici locali si preferì attingere dalla piccola nobiltà, mentre la Camera stellata (Star Chamber, 1487) [ 6] fu chiamata a occuparsi di tutti i casi che non trovavano risposta nel diritto consuetudinario (Common Law [▶ cap. 4.3]). Tutto concorrreva ad accentrare il potere nelle mani del sovrano, compreso lo scarso ricorso al parlamento, convocato sempre più di rado.

Il suo successore, Enrico VIII (1509-1547), proseguì il lavoro del padre ma acquisì come priorità la crescita dell’influenza inglese sul piano internazionale, concentrandosi sulla politica estera per fare del paese una potenza di livello europeo. Anche per questa ragione le energie dedicate al controllo del territorio vennero meno, e il re assegnò deleghe sempre più consistenti al Cancelliere, il cardinale Thomas Wolsey (1471-1530), suo consigliere personale, che finì per riunire cariche e poteri civili e religiosi.

La frammentazione del Sacro Romano Impero

Nel 1493 morì l’imperatore Federico III d’Asburgo [▶ cap. 8.5], lasciando il mondo germanico in una condizione di grande frammentazione territoriale, con una miriade di poteri distribuiti fra città (spesso consorziate a formare delle leghe), feudi e principati ecclesiastici. Le divisioni interne erano aggravate anche da profonde differenze economiche fra le aree meridionali, renane e anseatiche, che avevano un alto livello di urbanizzazione, e le zone interne ancora prevalentemente agricole. Inoltre gli Stati sotto il dominio della casa asburgica (Alta e Bassa Austria, Carniola, Stiria, Carinzia, Tirolo, Gorizia) erano parte del diritto ereditario del sovrano, mentre il titolo di imperatore era sottoposto all’elezione di una Dieta composta da sette grandi elettori. I poteri interni alla compagine imperiale comprendevano anche altri soggetti, fra i quali alti prelati, principi territoriali, feudatari e rappresentanti di comunità cittadine. La complessità dell’Impero come soggetto politico si completava con la presenza di sovrani stranieri, come il re di Danimarca che deteneva il titolo di signore dello Holstein.

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A governare dal 1493 al 1519 fu Massimiliano I, che divise i domini imperiali in dieci circoli, facendo pesare su ciascuno di essi una parte di prelievo fiscale e assegnandoli alla supervisione di un unico tribunale. Massimiliano allargò i confini dell’Impero [ 7] includendo la Franca Contea, i Paesi Bassi e l’Artois, ma soprattutto lavorò alla costruzione di un’identità tedesca, cercando di unire tutte le componenti del mondo germanico contro un nemico comune, identificato in un Impero ottomano che aveva ripreso a esercitare le sue ambizioni di espansione territoriale. Non riuscì però a raccogliere risorse necessarie per rilanciare il progetto della crociata contro i turchi e – come vedremo fra poco – anche i tentativi di riprendere una politica aggressiva nella penisola italiana non riscossero il consenso auspicato né ottennero risultati.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715