La nascita dello Stato moderno
Nel corso dell’Ottocento gli studiosi di diritto pubblico e di scienza politica rintracciarono nei processi di razionalizzazione in ambito politico e amministrativo messi in atto dai regni europei nel XV e XVI secolo l’origine della formazione dello Stato moderno. Con questa espressione indicavano un modello di organizzazione finalizzato al controllo dei comportamenti individuali e all’affermazione di un’entità governativa centrale capace di affermare le sue prerogative a scapito di altri gruppi di influenza e centri di potere esistenti su un determinato territorio. Ancora oggi gli storici continuano a mostrare divergenze intorno all’idea di Stato moderno: i modelli di sviluppo all’interno del contesto europeo, infatti, non furono affatto univoci, così come non è chiaro se questo concetto possa essere impiegato per definire forme politiche diverse esistenti in altre aree del globo.
La forza e il potere per Machiavelli
Uno degli stimoli principali al rafforzamento del potere del sovrano fu certamente la guerra: per affrontare i nemici esterni furono assemblati eserciti permanenti e organizzati, solidi apparati burocratici capaci di raccogliere le risorse necessarie allo sforzo bellico, senza dimenticare le corti di giustizia e i corpi diplomatici. Questi sforzi furono accompagnati e sostenuti anche da elaborazioni teoriche, come quella di Niccolò Machiavelli (1469-1527) che sottolineò – in opere come Il principe (1513) – la necessità di separare l’ambito della politica da quello della morale e della religione: i detentori del potere, secondo lui, dovevano ricorrere a tutti i mezzi necessari per garantire il benessere e l’integrità dello Stato, senza inseguire astratti precetti morali. Chi conquistava o esercitava il potere non poteva trasformare gli uomini in creature buone, ma era chiamato a domare la loro natura, incline all’inganno e alla salvaguardia di interessi particolari ed egoistici.
Le riflessioni di Guicciardini
Diverso, ma altrettanto rilevante, il pensiero di Francesco Gucciardini (1483-1540), che rifiutava la possibilità di offrire ai governanti regole precise, affidandosi invece alla loro capacità di distinguere nello specifico le situazioni che di volta in volta si presentavano ai loro occhi, trovando opportune soluzioni, stringendo patti e alleanze, accettando compromessi. Nella Storia d’Italia – scritta fra il 1537 e il 1540, ma pubblicata solo un ventennio più tardi – il pensatore sottopose ad analisi le sue stesse esperienze politiche alla luce degli eventi che avevano interessato la penisola dopo il 1492: guardò con molta attenzione ai personaggi più importanti che avevano segnato quegli anni (come per esempio Rodrigo e Cesare Borgia), offrendone dei veri e propri “ritratti”, ma giunse alla conclusione che non esistevano modelli interpretativi utili a prevedere o gestire le azioni degli uomini.