6. L’affermazione dei poteri locali

6. L’affermazione dei poteri locali

L’incastellamento

Le minacce esterne fecero emergere la debolezza militare delle entità postcarolingie, inadeguate a fronteggiare attacchi rapidi portati da piccoli nuclei di armati. La reazione a questa debolezza, tra il IX e il X secolo, fu la costruzione dei castelli (dal latino castellum, diminutivo di castrum, “insediamento fortificato”). Semplici recinti con terrapieni e palizzate oppure cinte murarie in pietra, edificati in pianura o su alture, naturali o artificiali (motte) [ 12], destinati a proteggere pochi edifici strategici o interi villaggi, i castelli segnarono profondamente la vita delle campagne europee.

Il processo di incastellamento ebbe varie motivazioni. Oltre a quelle militari, connesse alla necessità di difendersi dalle incursioni e dai conflitti interni ai domini franchi, vi erano anche ragioni economiche, legate ai tentativi aristocratici di controllare l’azione di dissodamento, colonizzazione e messa in valore delle campagne condotta dalle popolazioni rurali. Questo processo segnò, in ambiti geografici e cronologici diversi, una duratura rivoluzione nel rapporto tra insediamento, ambiente e territorio. Nell’Italia centromeridionale, nel Sud della Francia e nella penisola iberica, generalmente per iniziativa di grandi proprietari fondiari laici ed ecclesiastici e membri dell’aristocrazia militare, si passò da un modello insediativo organizzato in piccoli villaggi aperti a uno più accentrato e fortificato; in altre regioni europee, specie nella Francia centrosettentrionale, i castelli erano molto più grandi rispetto a quelli di area mediterranea, controllavano territori molto vasti e popolosi ed erano costruiti prevalentemente da sovrani, conti e principi.

I poteri signorili

La capacità di mobilitare risorse per costruire castelli permise alle aristocrazie fondiarie e militari di avviare un processo di patrimonializzazione del potere: esse acquisirono cioè, senza riceverne la delega dal potere regio, l’esercizio di diritti di origine pubblica (definiti anche con il termine di “ banno”) – comando militare e di polizia, amministrazione della giustizia, prelievo fiscale – rendendoli efficaci a livello locale e incamerandoli nel proprio patrimonio familiare. Tali diritti dunque potevano essere venduti, donati, divisi, trasmessi per via ereditaria, come un qualunque bene privato.

Nell’ultimo trentennio del IX secolo, questo processo interessò anche le istituzioni carolingie. Sempre più i funzionari di nomina regia riuscirono ad affermare l’idea che la carica pubblica, con i connessi diritti esercitati sulla terra, fosse il beneficio che ricompensava il servizio vassallatico, mentre originariamente funzione pubblica e beneficio erano distinti. Contemporaneamente, si diffuse una spinta a intendere in senso ereditario i benefici in genere, e in particolare la carica di conte, con potenziali pericoli per l’integrità del potere pubblico.

Nell’877, in occasione di una spedizione in Italia volta ad acquisire il titolo imperiale, Carlo il Calvo [ 13] emanò così a Quierzy-sur-Oise un capitolare che, spesso interpretato come concessione della “ereditarietà dei feudi maggiori”, o “dei comitati”, in realtà aveva carattere d’emergenza (legato com’era alla spedizione italiana) e cercava di sottoporre a un qualche controllo e riconoscimento regio, appunto, la consuetudine per la quale i figli dei conti succedevano ai padri nell’ufficio e nel beneficio.

L’affermazione di questi poteri, definiti dagli storici signorili [▶ Le forme del potere signorile], ha dunque varie origini:

  • l’affermazione di un principio patrimoniale e territoriale riferito a una carica pubblica;
  • l’immunità ecclesiastica e monastica;
  • la capacità di esercitare poteri pubblici fondandosi non sulla delega da parte del potere regio, ma sulla semplice vocazione al comando militare, sul possesso di uno o più castelli o sulla proprietà di grandi quantità di terra coltivata da centinaia di contadini.

Le forme del potere signorile

Per ragioni di chiarezza espositiva, la storiografia distingue nelle società signorili diversi aspetti, che in realtà erano costantemente intrecciati e sovrapposti tra loro.


Con signoria domestica si intende il potere che il grande proprietario terriero esercitava, in qualità di signore, sui contadini, liberi o di condizione servile, direttamente dipendenti dal signore e mantenuti su terre direttamente controllate dal signore stesso.


La signoria fondiaria riassume invece il tipo di poteri esercitati sui coltivatori delle terre signorili date in concessione o in affitto: in essi rientrano i diritti di riscuotere canoni, donativi, giornate di lavoro (corvées) da impiegare nei campi della riserva signorile o nella manutenzione di ponti, strade, fortificazioni o ancora nel trasporto delle derrate prodotte.


La signoria rurale (“di banno”, “di castello”, “territoriale”) riguarda invece ambiti di comando e di coercizione giudiziaria cui tutti i residenti di un determinato territorio, indipendentemente dalla proprietà della terra coltivata, sono sottoposti in virtù della presenza di uno o più castelli e di un nucleo di armati in grado di proteggere l’insediamento e di far rispettare la volontà del signore.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715