11.3 I maya, gli aztechi e gli incas

L’impatto della notizia del viaggio di Colombo fu enorme e molti cominciarono a emularlo. Fra il 1497 e il 1498 il veneziano Giovanni Caboto arrivò alle coste della parte settentrionale del continente (gli odierni Canada e Stati Uniti) a capo di una spedizione sostenuta dalla corona inglese [▶ cap. 8.2]. Non trovò l’oro che si aspettava, ma in compenso si imbatté in luoghi adattissimi alla pesca. Disegnò mappe ricche di particolari, consentendo al paese che lo aveva finanziato di acquisire un importante vantaggio sui concorrenti.

L’immagine del Nuovo Mondo si definì comunque in maniera più precisa solo con il viaggio del fiorentino Amerigo Vespucci (1454-1512), che fra il 1499 e il 1502 completò l’esplorazione della costa atlantica del continente. Fu Vespucci il primo a comprendere che le terre scoperte non si trovavano in Asia ma in un continente del tutto ignoto agli europei. Scrisse un resoconto della sua impresa che, al pari di quello di Colombo, ebbe un’enorme risonanza. In suo onore – per iniziativa del cartografo tedesco Martin Waldseemüller – al nuovo continente fu dato il nome di America.

Gli interessi spagnoli e portoghesi

Le scoperte geografiche portarono presto all’insorgere di conflitti dettati da ragioni economiche. La Spagna e il Portogallo erano interessati ad accaparrarsi il controllo sulle vie marittime e soprattutto sui territori del nuovo continente. Papa Alessandro VI Borgia tentò una mediazione, in seguito alla quale il 7 giugno del 1494 fu stipulato il Trattato di Tordesillas, che tracciava un’immaginaria linea divisoria 370 leghe (circa 2000 km) a ovest delle isole di Capo Verde, assegnando ai portoghesi il settore orientale e agli spagnoli quello occidentale [ 8].

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Il Portogallo cercò di preservare il suo primato nella navigazione dei mari affidando quattro imbarcazioni all’esperto marinaio Vasco da Gama (1469 ca.-1524), che nel 1498 arrivò a Calcutta dopo aver circumnavigato l’Africa e aver risalito la costa orientale del continente fino a Malindi [ 9]. Tornò a casa dopo due anni, con due sole imbarcazioni e con l’equipaggio decimato dalle malattie infettive. Una flotta ben più ampia (13 navi e 1200 uomini) fu messa nelle mani di Pedro Álvares Cabral (1460 ca.-1520), che nel 1500, sfruttando i termini del Trattato di Tordesillas, prese possesso in nome del suo re di una nuova terra denominata Brasile (probabilmente dal nome di un’omonima pianta dal caratteristico legno rossastro). La conquista non produsse però grandi benefici economici per l’Impero portoghese, e la mancanza di oro e argento generò un veloce calo di interesse per questa terra. Le attenzioni tornarono quindi a rivolgersi alle circumnavigazioni dell’Africa verso le Indie orientali, anche se per coprire quelle enormi distanze – circa 40 000 km – erano necessari almeno 18 mesi.

L’impero marittimo portoghese

I portoghesi erano presenti nei porti situati fra il Mozambico e la Cina soltanto in numero esiguo. Non potendo occupare con la forza territori molto estesi, diedero vita a un “impero” marittimo denominato Estado da India (Stato dell’India), basato su avamposti posizionati in luoghi strategici e destinati a gestire i traffici verso l’Europa, facendo concorrenza ai traffici arabi.

Non furono trascurati gli accordi con i sovrani locali, volti a ottenere ▶ privative sulle spezie o su altri prodotti considerati di primario interesse (stoffe e legni profumati). Fra gli anni Dieci e gli anni Venti del Cinquecento, la corona portoghese arrivò ad allargare la sua influenza all’isola di Ceylon, alle Molucche e a Macao, sulle coste cinesi. Ormai rassegnata alla perdita del controllo sul Mar Rosso, via d’accesso primaria agli avamposti portoghesi in Oriente, ma passato nelle mani dei turchi, la corona manteneva un controllo strettissimo sulle attività commerciali attraverso la Casa da India di Lisbona (compagnia commerciale fondata subito dopo il ritorno di Vasco da Gama), che ricavava benefici dalle merci importate smistandole in altri porti europei, primo fra tutti quello di Anversa.

La Spagna e l’impresa di Magellano

La Spagna non rimase a guardare; al contrario, patrocinò diverse imprese, la più incredibile delle quali fu paradossalmente compiuta da un portoghese, Ferdinando Magellano (Fernão de Magalhães, 1480-1521). Partito nell’agosto del 1519 con cinque navi, Magellano costeggiò l’America meridionale verso sud, alla ricerca di un passaggio marittimo che consentisse di proseguire verso l’Asia. Doppiò l’estrema punta meridionale del continente attraversando lo stretto che avrebbe preso il suo nome e navigò, per i successivi tre mesi, in un oceano che rimase sorprendentemente calmo, tanto che gli fu attribuito il nome di Pacifico. La sorte, tuttavia, non gli fu favorevole: morì nelle Filippine in uno scontro con gli indigeni e non riuscì a portare a termine la sua impresa [ 10]. Una sola nave tornò in patria nel settembre del 1522; a bordo c’era anche l’italiano Antonio Pigafetta (1480/91-1531 ca.), che, partendo proprio dai suoi diari, scrisse un’appassionante resoconto del primo “viaggio intorno al mondo” destinato a diventare un clamoroso successo editoriale in Europa per molti decenni a seguire.

I contenuti del testo furono tramandati anche a voce, contribuendo in maniera consistente al cambiamento di prospettiva degli europei.

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Desiderare il Nuovo Mondo

Il progetto di Colombo si era realizzato, ma si era anche compreso quanto lunga e pericolosa fosse quella via per raggiungere l’Oriente. Per questa ragione, le potenze europee si concentrarono da quel momento sulle Americhe, contendendosi terre e ricchezze. Anche la monarchia francese mostrò grande interesse per le nuove rotte marittime e sostenne il progetto di Giovanni da Verrazzano (1485 ca.-1528 ca.), che nel 1524 riuscì a mappare la costa atlantica settentrionale.

I viaggi compiuti nel secolo che seguì l’impresa di Colombo sono generalmente ricordati attraverso i nomi delle persone che li condussero. Nei porti spagnoli, portoghesi, inglesi, francesi e italiani i racconti di queste imprese suscitarono emozioni enormi e stimolarono nuove partenze di avventurieri che non avevano nulla da perdere, ma solo nuove e favolose ricchezze da guadagnare. Pronti ad affrontare naufragi, epidemie e disagi provocati dalla malnutrizione, questi uomini talvolta riuscivano a tornare a casa con i loro trofei (metalli preziosi, spezie o schiavi) e con la possibilità di raccontare quanto era accaduto. In altri casi, scomparivano nel nulla e di loro non si avevano più notizie.

11.3 I maya, gli aztechi e gli incas

Le civiltà degli altopiani centrali

Quando Colombo mise piede alle Bahamas, il “nuovo” continente non era affatto disabitato. Le maggiori civiltà precolombiane si erano sviluppate sugli altopiani della parte centrale del continente americano o lungo la catena delle Ande [ 11]. Su questi territori immensi vivevano più di 80 milioni di persone che, pur avendo stili di vita profondamente diversi, presentavano anche alcune caratteristiche comuni. Praticavano un’agricoltura sedentaria fondata su pochi prodotti (mais, manioca, patate, pomodori, cacao), mentre l’allevamento aveva solo un’importanza limitata. La presenza di strutture statali si manifestava attraverso l’imponenza delle opere pubbliche: ai complessi monumentali utilizzati per scopi religiosi si affiancava una rete di strade e canali finalizzata a facilitare le comunicazioni interne e a trasportare il cibo e i prodotti dell’artigianato.

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Maya e aztechi

All’arrivo degli europei nelle Americhe, la civiltà dei maya, fiorita fra l’attuale Guatemala e lo Yucatán (a sud-est dell’attuale Messico), era già in declino. La loro organizzazione politica era basata su città-Stato dotate di enormi templi [ 12], culle di una cultura secolare fondata sulla scrittura, sulle arti figurative e su elaborate conoscenze astronomiche che consentivano di seguire in maniera molto precisa i movimenti del sole, della luna, dei pianeti e delle costellazioni. Avevano adottato un calendario basato su una suddivisione dell’anno in 365 giorni, del tutto simile a quello gregoriano utilizzato in Europa.

A partire dal XIV secolo, nel Messico centrale, si erano invece stanziati gli aztechi, che avevano fondato la loro capitale, Tenochtitlán (un centro urbano di 250 000 abitanti), su un’isola del lago Texoco [  13]. Esteso dalla costa atlantica a quella pacifica, l’Impero azteco comprendeva una popolazione di circa 25 milioni di individui. Nel sistema azteco, un ruolo centrale era occupato dalla guerra, considerata un dovere religioso, oltre che necessaria per procurarsi tributi e prigionieri utilizzati – fra l’altro – per offrire sacrifici umani agli dèi durante le cerimonie sacre.

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La religione e la società

Accanto alla guerra, l’altro cardine della società azteca era costituito dalla religione. Essa era fondata sull’idea di un ordine cosmico instabile, che influenzava la vita sociale e le esistenze individuali. Il calendario era composto da 13 mesi, ognuno dei quali era diviso in giorni fausti e infausti. Secondo le credenze azteche, il dio Sole aveva bisogno di nutrirsi di sangue umano per combattere le forze avverse che cercavano di sopraffarlo. L’intera cultura azteca era permeata da tensioni apocalittiche, interpretando la storia umana come un susseguirsi di cicli destinati a chiudersi con grandi cataclismi.

La centralità della religione garantiva anche una certa stabilità delle stratificazioni sociali. Il trono imperiale si tramandava per via ereditaria. Le comunità erano insiemi di clan che condividevano la stessa linea di sangue; al loro interno venivano assegnate ai singoli le aree coltivabili. Fuori da queste rigide gerarchie, gli unici a godere di qualche privilegio erano i mercanti e gli artigiani dotati di un alto livello di specializzazione. Il sovrano e i nobili avevano un primato assoluto: i sacerdoti erano scelti solo fra i membri dell’aristocrazia, che conduceva uno stile di vita molto alto, potendo contare anche su un sostanzioso numero di servi.

I popoli delle Ande

Mentre maya e aztechi occupavano ampie aree della parte centrale del continente, altre civiltà si erano sviluppate più a sud. Gli incas, in particolare, avevano possedimenti estesi lungo la costa pacifica e la catena montuosa delle Ande: dall’inizio del XV secolo, in un tempo relativamente breve, avevano dato vita a un apparato statale complesso, fondato sulla continuità territoriale e sul primato politico esercitato dal potere centrale. L’organizzazione dello Stato era molto solida: una fitta rete di governatori controllava un territorio che si estendeva da nord a sud per più di 4000 km.

Come quella azteca, la società degli incas era fortemente stratificata. Il sovrano era considerato un semidio e controllava l’esercito, la religione e le attività economiche. L’aristocrazia era composita, perché comprendeva sia i nobili di antica tradizione, sia i discendenti dei capi delle tribù sottomesse. Alla base c’era la comunità contadina, che amministrava le terre e contribuiva alle opere pubbliche e all’organizzazione dei culti religiosi attraverso tributi e altre forme di lavoro forzato.Gli incas veneravano il Sole, ma anche Viracocha, il creatore del mondo che doveva tornare per giudicare gli esseri umani. Anche la loro cultura, quindi, era segnata dall’ansia della disgregazione e dall’attesa della fine.

11.4 Impero e conquista

Gli spagnoli nelle Americhe

Il primo quarto di secolo che seguì l’impresa di Colombo fu segnato dalla ricerca dell’oro da parte degli spagnoli, concentrata principalmente nelle isole caraibiche. In questa fase, lo sfruttamento delle popolazioni indigene fu spietato e le conseguenze furono devastanti, ma ancora lontane dall’intaccare le principali civiltà ▶ amerindie.

Dal 1517, i nuovi arrivati cominciarono invece a inoltrarsi nella terraferma, sfruttando il vantaggio dato dalle armi da fuoco [▶ fenomeni, p. 365]. Ad aprire questa nuova fase furono i conquistadores, soldati di origini spesso umili, suggestionati dai racconti epico-cavallereschi e spinti dal desiderio di avventura, ma soprattutto animati da una grande fame di ricchezze e potere. Nel 1519 Hernán Cortés (1485-1547), un ▶ hidalgo spagnolo, partì da Cuba con 500 uomini e arrivò nel cuore dell’Impero azteco senza incontrare alcuna resistenza. Nella capitale Tenochtitlán fu accolto con cordialità e profondo rispetto dal sovrano Montezuma II (1503-20), che probabilmente credette di vedere in lui una reincarnazione del dio Quetzalcoatl [ 14]. Montezuma finì per pagare a caro prezzo il suo atteggiamento di sudditanza: incapace di contrastare l’aggressività del suo nemico, fu da questi fatto prigioniero e rimase ucciso durante una rivolta interna. Al suo posto salì al trono il fratello Cuitláhuac, che si pose a capo della resistenza antispagnola.

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Cortés non si fece scoraggiare dalla situazione sfavorevole. Forte di un’alleanza con le tribù ostili al dominio azteco, nell’agosto del 1521 compì un autentico massacro sul lago Texoco. Nel giro di poco tempo l’Impero azteco fu sottomesso. Sulle rovine di Tenochtitlán fu edificata una nuova città chiamata México (probabilmente dal nome della divinità azteca della guerra, Mexitl) e i suoi domini, assegnati ufficialmente al conquistador dall’imperatore spagnolo Carlo V il 15 ottobre del 1522, furono denominati Vicereame della Nuova Spagna.

Più difficile fu vincere la resistenza dei maya, che furono definitivamente sottomessi solo nel 1545 da Francisco de Montejo, che aveva in precedenza combattuto con Cortés. Francisco Pizarro e Diego de Almagro portarono a compimento un’azione ancora più incredibile nel 1531. Partiti con 180 uomini e 37 cavalli da Panama, la prima città fondata dagli spagnoli sul Pacifico dodici anni prima, si diressero verso il regno del Perù, al quale le leggende attribuivano una straordinaria ricchezza. Incontrato l’esercito degli incas a Cajamarca, riuscirono ad avere la meglio nonostante una schiacciante sproporzione numerica. Pizarro catturò il condottiero Atahualpa chiedendo un ricco riscatto in oro in cambio della sua vita e, pur avendo ottenuto quanto chiedeva, lo fece uccidere senza pietà. La capitale Cuzco fu saccheggiata e sulle ceneri dell’Impero incas nacque il Vicereame spagnolo del Perù, con una nuova capitale, Lima, costruita per ordine dello stesso Pizarro nel 1535 [ 15-16].

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Le ragioni del crollo

Come fu possibile un crollo così veloce di grandi imperi di fronte a quello che in fondo non era più di un manipolo di uomini? La spiegazione risiede in una somma di diversi fattori. Gli aztechi e gli incas erano profondamente divisi al loro interno e l’aiuto portato agli spagnoli da minoranze insofferenti verso il potere centrale non fu trascurabile. A questo si deve aggiungere il terrore provocato nei nativi dalle armi da fuoco, dai cavalli (animali sconosciuti alle popolazioni locali, che anzi, all’inizio, identificarono cavallo e cavaliere come un’unica entità) e dalla determinazione dei conquistatori, che sembravano combattere senza aver nulla da perdere.

Tuttavia, un ruolo preponderante fu giocato dal trauma culturale generato da un evento – l’incontro con l’“Altro”, con lo sconosciuto – interpretato in chiave religiosa. L’immagine dei conquistatori europei alimentò i timori atavici che permeavano quelle culture, in costante attesa di catastrofi che avrebbero segnato la fine dei tempi. I nuovi arrivati non furono ritenuti semplici uomini, ma entità divine, giunte a riplasmare il mondo e a eseguire una punizione da lungo tempo temuta. Le popolazioni amerindie si scoprirono insomma incapaci di dare un significato a quello che stava accadendo e, facendo ricorso unicamente alle loro credenze, rimasero vittime di una “paralisi cognitiva”: un’impossibilità di capire che si tradusse in incapacità di reagire. Molti indios si suicidarono, quasi tutti rinunciarono a combattere, lasciandosi morire di stenti.

 >> pagina 365 

Se a questo si aggiungono le catastrofiche conseguenze delle malattie diffuse dai nuovi arrivati (vaiolo, morbillo, tifo, ma anche influenza), contro cui i sistemi immunitari degli indigeni erano impreparati [▶ fenomeni], non stupisce che, secondo alcuni calcoli, gli abitanti dell’impero azteco si ridussero da 25 milioni a circa un milione nel giro di soli 80 anni.

Cortés e gli altri conquistadores colsero invece alcuni aspetti essenziali delle società indigene. Nei loro memoriali descrivevano nel dettaglio gli usi e i costumi delle popolazioni locali, comprendendo bene le loro divisioni interne, la loro concezione del potere, il loro sentire religioso. Queste analisi si trasformarono in strumenti di dominio: facendo leva sulle paure degli abitanti del Nuovo Mondo e trasformando le loro stesse peculiarità in fatali punti di debolezza, gli spagnoli furono capaci di farsi dominatori sul piano comunicativo prima ancora che su quello militare e in questo modo riuscirono a distruggere intere civiltà.

  fenomeni

Armi e malattie

Nella città di Cajamarca (o Caxamarca) il conquistador Francisco Pizzarro, accompagnato da soli 168 soldati, riuscì a sottomettere l’imperatore inca Atahualpa, a capo di 80 000 uomini. Gli studiosi continuano a cercare una spiegazione per questo incredibile fenomeno, specchio di un più ampio massacro consumato ai danni dei nativi nonostante la sproporzione numerica delle forze. Lo statunitense Jared Diamond ha scritto – in uno dei suoi lavori più famosi intitolato Armi, acciaio e malattie – che non furono i fucili a giocare un ruolo decisivo: gli spagnoli ne avevano infatti solo una dozzina, peraltro difficili da caricare. Molto più importanti furono i cavalli, le armature, gli elmi e le cotte metalliche che proteggevano i soldati facendoli sembrare invulnerabili e velocissimi. Le mazze, i bastoni e le fionde usate dagli inca erano in grado al massimo di ferire i nemici, ma quasi mai di ucciderli.

L’arrivo degli spagnoli nelle zone che oggi conosciamo come Panama e Colombia aveva provocato inoltre lo scoppio di un’epidemia di vaiolo che aveva mietuto molte vittime (fra loro Huayna Capac, predecessore di Atahualpa). Anche il morbillo, il tifo, la peste furono potenti alleati degli europei: i calcoli sono estremamente complessi, ma è possibile che queste malattie abbiano sterminato il 95% delle popolazioni indigene.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715