Averil Cameron - Le eredità di Costantinopoli

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Averil Cameron

Le eredità di Costantinopoli

In questo brano Averil Cameron, storica inglese docente a Oxford, traccia alcune linee dell’eredità bizantina nel mondo europeo, compresa l’assimilazione di Costantinopoli al dispotismo russo fosse esso zarista o sovietico: una notazione interessante che fa comprendere anche alcune ragioni del ritardo occidentale nello studio dell’Oriente bizantino.


Il contributo di Bisanzio alla formazione dell’Europa medievale è innegabile. Secondo Obolensky1 esso consisté soprattutto nella tradizione ortodossa. L’eredità “postbizantina” è chiaramente visi­bile nei paesi ortodossi e in quelli che speri­mentarono il dominio bizantino attraverso l’architettura ecclesiastica e i manufatti religiosi, oltre che all’influsso spirituale, in primo luogo del Monte Athos […], ma anche delle Meteore2 in Tessaglia e di molti complessi monastici dei Balcani. Anche la cultura bizantina sopravvive, sia ad “alto” livello sia nel folclore popolare. L’influsso di Bisanzio non terminò con la caduta di Costantinopoli, nel 1453: in altri centri, infatti, gli Ottomani iniziarono a esercitare un controllo solo più tardi, e la loro architettura mutuò numerosi elementi da quella bizantina; inoltre, grazie allo spazio concesso alla Chiesa ortodossa sotto il dominio ottomano e con la perdita delle strutture politiche e civili bizantine, le chiese e i monasteri mantennero la loro funzione e addirittura prosperarono come depositari dell’identità ortodossa […]. L’influsso di Bisanzio non si limitava alla vita religiosa, all’architettura degli edifici sacri o alla tradizione popolare: si estendeva anche alle strutture politiche, che imitavano il modello monarchico dell’Impero bizantino, fatta eccezione, probabilmente, per gli ostacoli e le sfide intellettuali che l’avevano caratterizzato. Quando gli Stati ortodossi dell’Europa sudorientale vennero assorbiti dall’Impero ottomano una simile evoluzione non fu più possibile, e si arrivò a identificare definitivamente Bisanzio con l’assolutismo da un lato e con la spiritualità ortodossa dall’altro […]. Un altro fattore importante di questo dibattito è la separazione tra mondo “bizantino” e “ottomano”; quest’ultimo è a sua volta relegato nell’ambito dell’“Oriente” e del “declino”. Talvolta chi abbraccia questa interpretazione rischia di identificare l’ortodossia, o addirittura l’“ortodossia slava”, con questo senso di arretratezza, condividendo l’opposizione binaria tra cristianesimo e islam. Tuttavia, anche il concetto alternativo di “giogo turco” pone i paesi ortodossi, prima fra tutti la Grecia, di fronte al dilemma dei loro rapporti con il passato bizantino. Nel tentativo di reinventarsi come eredi di Pericle e di purificare ed ellenizzare il loro monumento più iconico, gli abitanti di quell’arretrato villaggio ottomano che era l’Atene di inizio Ottocento demolirono tutte le strutture erette dopo l’età classica nell’Acropoli e riportarono il Partenone alla sua forma originaria. Sotto il dominio ottomano il tempio aveva ospitato una moschea, ma per tornare alla purezza classica furono cancellate anche tutte le tracce della chiesa della Theotókos3, luogo sacro e di pellegrinaggio costruito all’interno del monumento nel periodo bizantino […]. La rimozione di Bisanzio in favore del passato classico, tuttavia, lasciò un inquietante vuoto nella storia greca, e nel XIX secolo una diversa corrente recuperò l’eredità bizantina per evidenziarne il carattere nazionalista e ortodosso. Come altri paesi balcanici avevano serbato il ricordo delle loro lotte contro gli Ottomani, così i greci custodivano quello del 1453. Un articolo del 1987 definì la caduta di Costantinopoli […] «un trauma nazionale, una calamità che cancellò la cultura greca, impedì la partecipazione della Grecia al rinascimento occidentale e gettò il paese nella povertà culturale ed economica». Il clamoroso fallimento primo novecentesco della «grande idea» di riconquistare Costantinopoli fu un tremendo shock, che rese ancora più difficile una valutazione obiettiva di Bisanzio. Lo stesso vale per l’ascesa della Turchia moderna, uno stato i cui confini vennero fissati solo in seguito a una serie di conflitti svoltisi tra fine Ottocento e Novecento […]. Infine, considerare Bisanzio in rapporto all’Europa solleva il problema dell’orientalismo4. È vero che il dibattito sull’orientalismo si basa, in fondo, su un’opposizione binaria tra Oriente e Occidente, e in particolare tra Occidente e islam, mentre l’“Altro” nell’Europa sudorientale può anche essere un cristiano di una diversa confessione. Nel caso di Bisanzio, però, abbiamo a che fare con un’entità che, anche se considerata solo dal punto di vista geografico, fece parte sia della storia dell’Oriente, sia di quella dell’Europa. L’Impero bizantino, pertanto, si inserisce nei dibattiti sull’Europa e nel contempo è vittima delle interpretazioni orientaliste che lo accusano di arretratezza, esotismo e autocrazia […].

Una delle principali cause del lento sviluppo degli studi bizantini come disciplina accademica è la posizione di prestigio occupata dagli studi classici nella maggior parte dei paesi dell’Europa occidentale, posizione rafforzata dal classicismo e dall’ellenismo romantico settecentesco. La parola Bisanzio poteva evocare rovine misteriose ma non un’immagine di civiltà. Solo negli ultimi decenni dell’Ottocento gli studi bizantini emersero come disciplina accademica, e ancora oggi hanno una tradizione meno consolidata rispetto agli studi sull’antichità classica.


tratto da I bizantini, Il Mulino, Bologna 2008

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Il LINGUAGGIO della storiografia

Riconduci ciascuna delle seguenti espressioni proposta allo storico che l’ha utilizzata e contestualizzala rispetto alla tesi sostenuta nei testi che hai letto (massimo 5 righe).


a) L’Impero bizantino […] è vittima delle interpretazioni orientaliste che lo accusano di arretratezza, esotismo e autocrazia.

b) L’influsso di Bisanzio non terminò con la caduta di Costantinopoli.

c) L’ascesa dei Paleologhi al trono bizantino rappresentò una vittoria dell’alta nobiltà bizantina.

d) La rimozione di Bisanzio a favore del passato classico, però, lasciò un inquietante vuoto nella storia greca.

Storie A CONFRONTO

Individua la tesi di fondo dei due testi proposti aiutandoti con lo schema di inizio sezione e compila la seguente scheda di sintesi e comparazione dei documenti.


  I fattori di crisi dell’Impero bizantino (XIII-XV secolo)
Le eredità di Costantinopoli 
TESI    
ARGOMENTAZIONI    
PAROLE CHIAVE    
Cooperative Learning

Nel testo di Cameron compare la categoria storiografica di “orientalismo”, elaborata nel 1978 da E. Said nel saggio omonimo. «Il dibattito sull’orientalismo», dice Cameron, «si basa su un’opposizione binaria tra Oriente e Occidente, e in particolare tra Occidente e islam»; attraverso il termine “Oriente”, caricato di valenze negative e stereotipate, la cultura occidentale avrebbe definito se stessa in opposizione a quella orientale, diversa, arretrata e illiberale.

Cercate online, con l’aiuto dell’insegnante, la definizione di “orientalismo” per come è stato proposto da Said e, in gruppi di massimo 5 persone, raccogliete, in una presentazione digitale, immagini, articoli di giornale, film o fiction che richiamino alla mente qualche elemento dell’orientalismo, inteso come un modo di rappresentare, nell’immaginario occidentale, l’Oriente e l’islam.                      

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percorso 3

Potere e mercati nel Mediterraneo tardomedievale: il caso della Sicilia

Il dibattito sull’arretratezza del Mezzogiorno rispetto al resto d’Italia e all’Europa ruota da decenni intorno allo svantaggio produttivo e commerciale che Sicilia e Regno di Napoli avrebbero accumulato nel corso del basso Medioevo a causa di scelte politiche ed economiche, di intrinseche debolezze istituzionali e sociali e del protagonismo dei ceti mercantili e finanziari dell’Italia centrosettentrionale e catalani. Attualmente il dibattito, che costituisce un punto di riferimento per una più generale analisi della congiuntura quattrocentesca europea, si è fatto molto più complesso rispetto al passato: nuove ricerche hanno puntato l’attenzione sul fatto che il Mezzogiorno e la Sicilia mostrano vitalità economica, ricchezza dei commerci interni e favorevoli innovazioni istituzionali sino a questo momento trascurate.

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Henri Bresc

I ritardi della Sicilia

Questa lezione dello storico francese Henri Bresc riassume alcuni punti centrali di una sua ampia monografia sulla Sicilia tra il XIV e il XV secolo, in cui sostanzialmente individua nel tardo Medioevo l’inizio del rallentamento economico dell’isola rispetto ad altre realtà europee. Tre sono gli aspetti su cui si concentra la sua indagine: dipendenza commerciale e finanziaria (risalente a suo parere già dal XII secolo), ritardo tecnologico, difficoltà di collegamento all’interno dell’isola. In questo brano Bresc si sofferma sul secondo aspetto, il ritardo nel settore manifatturiero, che obbliga l’isola a importare beni ad alto valore aggiunto esportando grandi quantità di derrate alimentari, in primo luogo cereali e zucchero.

Alla fine del XIV secolo le tecniche sono stagnanti o in regressione: l’industria del lusso messinese è ridotta alla fabbricazione di nastri, mentre era testimoniata nel Duecento e in probabile continuità con le fabbricazioni citate dalla Geniza1 nel secolo XI, mandili2, tappeti, turbanti, veli e vestiti. La presenza del quartiere dei setaioli e la precocità della legislazione sulla moda sono degli indici sufficienti: Messina chiede nel 1272 a Carlo d’Angiò di approvare un severo regolamento municipale sul consumo della seta, uno dei primi tra le leggi suntuarie3 pubblicate, prima di quelle di Siena, di Bologna e di Firenze. Gli inventari del Duecento, in ambienti di giuristi, di canonici, di sergenti, vicini ma non troppo all’aristocrazia, manifestano l’abbondanza del consumo della seta, i nomi arabi dei vestiti, degli altri pezzi tessili e dei colori. Si tratta dunque di un’industria locale e non solo messinese. La regressione tecnica è notevole a Palermo: si conoscono almeno venticinque setaioli prima del 1358, finanziati da mercanti di Messina, di Pisa e di Lucca, poi l’arte della seta scompare dalla documentazione, mentre si mantiene una modesta attività a Messina. L’industria del vetro è scomparsa, non esiste un vetraio nell’isola, e gli inventari specificano che gli oggetti di vetro, caraffe, provengono per lo più da Montpellier; la prima finestra a vetrate è testimoniata a Palermo solo nel 1476, all’arcivescovato, mentre è presente a Bologna dal 1335 e a Firenze alla fine del Trecento. Il palazzo vicereale, lo Steri, riceve la luce da tele cerate fissare su dei quadri. L’importazione è descritta con precisione dai contratti notarili e confermata dagli inventari (trecento di loro sono stati sfruttati) che identificano frequentemente l’origine geografica degli oggetti, in particolare gli inventari delle botteghe di merciai. Essa non si limita agli oggetti di lusso: tutti i prodotti industriali vengono portati nell’isola, l’integralità dei pannilani colorati, di lusso (Malines, Bruxelles, Lille, Firenze) o di media qualità (Wervicq, Beauvais, Montivilliers, catalani, inglesi, di Linguadoca), una grande varietà di tele di lino, dalla Borgogna e dall’Olanda, e di tele di cotone, tovaglie napoletane, pisane e genovesi. L’assenza nell’isola di miniere in attività spiega l’importazione del ferro in verghe, pisano (dall’Elba) e biscaino4, mentre la debolezza tecnica dell’artigianato dei fabbri, in gran parte ebrei, è confermata dal flusso di oggetti di ferro pisano, vomeri, focolai, candelieri, pignatte, e di ferro genovese, serrature, striglie, di armi da Milano, di coltelli fiamminghi, di spade tedesche, catalane, di scudi catalani, di catenacci catalani, genovesi e tedeschi, di pignatte catalane. Lo stesso vale per gli oggetti di rame, dinanderie5, bacini e candelabri fiamminghi, giunti con le galee veneziane. I prodotti ceramici, anche ad uso di cucina, sono trasportati in grandi giare: ceramica pisana e catalana (cannate6, caraffe), ceramica di lusso di Murcia e Malaga a riflessi metallici (scodelle e piatti), infine ceramica delle Marche e di Romagna esportata tramite Ancona alla fine del Quattrocento, e anche mattonelle invetriate di Roma, di Pisa e di Genova per il lastrico dei nuovi palazzi palermitani […]. I prodotti artigianali sono descritti e identificati negli inventari delle case: mobili di legno, cassapanche dipinte pisane, scrigni napoletani e messinesi, sedie catalane e napoletane, gabbie napoletane, oreficeria da Montpellier (coppe, cucchiai) nel Trecento, poi da Barcellona, infine da Napoli nella seconda metà del Quattrocento, quando la corte aragonese ha stabilito un punto di consumo e fabbricazione di prodotti di lusso. Possiamo notare i numerosi oggetti dell’artigianato maghrebino, vestiti (burnùs7, barracani8, giubbe), altri tessuti (tappeti, coltre di Tripoli, tovaglie), oggetti vari (catenacci, coffe9, stuoie) e rari (gabbie) che apportano un tocco d’esotismo, come anche i tappeti turchi e greci di Romània […]. L’immigrazione di tecnici, orafi, ceramisti, muratori e scultori compensa in una certa misura la mancanza di trasmissione delle tecniche, rispondendo ai bisogni dell’aristocrazia. La circolazione di specialisti si fa più intensa nel Quattrocento quando l’aristocrazia si inurba definitivamente. Limitata nel Trecento a mestieri molto specializzati legati all’origine geografica dei migranti, armaioli milanesi, bottai amalfitani, essa si sviluppa e l’area di reclutamento si allarga: orafi e ricamatori catalani, argentieri del Delfinato, fabbri, fabbricanti di daghe francesi e tedeschi, cimatori di panni d’Arras, fabbricanti di scrigni di Napoli, cappellai e ciabattini tedeschi, sarti catalani, muratori infine e tagliatori di pietra lombardi.


tratto da Sicilia del tardo Medioevo: parallelismi e divergenze, in Alle origini del dualismo italiano. Regno di Sicilia e Italia centro-settentrionale dagli Altavilla agli Angiò (1100-1350), Atti del Convegno internazionale di studi (Ariano Irpino, 12-14 settembre 2011), a cura di G. Galasso, Rubbettino, Soveria Mannelli 2014

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Stephan R. Epstein

Una diversa modalità di sviluppo

Alla tesi di Bresc si oppose quella dello storico anglosassone Stephan R. Epstein che, sulla base degli stessi dati utilizzati dal collega francese, dedusse notevoli elementi di dinamismo economico, demografico e sociale, in linea con quanto avveniva nel resto d’Europa. La via allo sviluppo siciliana fu diversa rispetto ad altre, ma non meno efficace e ritagliò per l’isola un ruolo non marginale nella specializzazione e nell’integrazione delle varie regioni economiche, che sono i fenomeni caratterizzanti, per Epstein, della vicenda economica europea nel tardo Medioevo.

Abbiamo visto […] che la tesi che sostiene una condizione “coloniale” o dipendente della Sicilia medievale poggia fondamentalmente sull’assunto della debolezza della base manifatturiera dell’isola. In particolare, è stata analizzata a fondo la manifattura tessile, in quanto settore più sviluppato in tempi medievali. È opinione corrente che la Sicilia, non essendo in grado di produrre al proprio interno tessuti di qualità, fosse costretta a importarli dall’estero, pagando prevalentemente con le proprie esportazioni di cereali. Mancando dunque la base manifatturiera domestica, la Sicilia non poté che specializzarsi nell’esportazione di prodotti alimentari di base […]. In linea di massima, nel Medioevo il mercato internazionale dei tessuti serviva a rifornire di prodotti di lusso la fascia alta della popolazione, giacché anche all’estremo più basso della loro gamma di prezzi tali beni erano inaccessibili alla grande maggioranza della popolazione. I tessuti d’esportazione non poterono mai contare su un vero mercato di massa. Nella sua disamina del mercato tessile internazionale dopo la Peste Nera, Miskimin1 sostiene […] che in tutta Europa si verificò un passaggio verso la produzione di tessuti di qualità superiore: si sarebbe trattato di una «risposta creativa» alla maggiore concentrazione di ricchezza […] e al «modello di consumo edonistico» che a suo avviso fecero seguito agli anni delle grandi epidemie […] in realtà sembra che in questo settore l’effetto più significativo delle epidemie sia stata l’incentivazione della produzione di tessuti economici (spesso non di lana) su scala locale e regionale, per far fronte alla domanda dei consumatori a più basso reddito […]. Una caratteristica importante di questi cambiamenti è che in genere avvennero in contesto rurale o semirurale […]. Di solito si interpreta questa nuova opzione come un trasferimento in località più prossime alle fonti di materie prime – compresa l’acqua, che forniva la forza motrice alle follatrici – e dotate di maggior disponibilità di manodopera più economica e meno rigidamente organizzata. Questi sviluppi andarono a beneficio della quantità e, forse, della varietà della produzione, piuttosto che di elevati standard qualitativi: proprio quel che occorreva per un nascente mercato di massa. È comunque praticamente impossibile stimare il valore commerciale dei tessuti smerciati a livello locale [;] è possibile tuttavia affermare che la manifattura per il mercato interno abbia avuto sull’economia effetti moltiplicatori più forti rispetto alle industrie che lavoravano per l’esportazione. In altre parole, lo sviluppo e la crescita di lungo periodo della manifattura poggiavano su questi prodotti popolari e non sui tessuti di lana o di seta destinati al consumo di lusso. In quale misura si sviluppò la manifattura di tessuti economici nella Sicilia tardomedievale? […] Mentre non disponiamo di informazioni dettagliate sulle attività manifatturiere locali (in particolare dei tessuti di lino), vi sono numerose prove indiziarie di una loro espansione nel corso dei secoli XIV e XV in risposta a una crescita della domanda interna. I dati sui consumi individuali che si ricavano dagli inventari e da altre fonti rivelano l’esistenza di un’ampia gamma di prodotti, in grado di soddisfare quasi ogni livello di esigenze personali, compreso l’importante aspetto della varietà dei colori. I dati sulle importazioni di tessuti indicano che queste erano circoscritte ai filati di lana pregiati […]. Combinando questi due ordini di informazioni, vediamo che in Sicilia la manifattura tessile non era né tecnicamente primitiva né sottosviluppata. In Sicilia, come nell’Italia meridionale e nel Nordafrica, i tessuti di lana erano meno diffusi di quelli di lino e cotone. La manifattura della lana non si limitava però al solo orbace2, e il principale centro di produzione tessile, Noto, nel Cinquecento divenne un importante centro per la produzione industriale di tessuti di lana per l’esportazione. L’assenza di un’industria laniera di alta qualità fu probabilmente dovuta tanto a caratteristiche istituzionali interne3, quanto alla concorrenza estera. Così, in Sicilia la manifattura della lana si sviluppò in un contesto pesantemente condizionato dalle industrie del lino e del cotone, che dominavano una quota più ampia del mercato. Per ragioni tecniche e sociali […] le strutture corporative non si rivelarono necessarie – o fu troppo difficile istituirle – per la produzione non laniera; questa debolezza corporativa finì forse per condizionare anche l’industria della lana. Anche un altro fattore, probabilmente più significativo, incise sull’intera industria tessile: il costo dell’imposizione del controllo da parte delle corporazioni sugli standard qualitativi della produzione risultava troppo alto nel contesto di un mercato relativamente poco specializzato (tecnicamente non sofisticato), disperso, ma anche in rapida espansione, e caratterizzato da un’elevata mobilità della manodopera. La virtuale assenza della concorrenza internazionale nel settore dei tessuti a basso prezzo […] in un mercato interno in espansione ridusse (anche se non escluse) l’appetibilità dei monopoli corporativi. Di fatto, potrebbe essere stata proprio la mancanza di standardizzazione dei prodotti l’aspetto più gradito ai consumatori; essa avrebbe inoltre garantito i produttori da incontrollabili fluttuazioni della moda connesse a segmenti particolari della popolazione. Questa conclusione parrebbe comprovata dal fatto che in quei settori – anzitutto l’industria del fustagno – in cui questi stessi fattori istituzionali (produzione attestata in località prossime alle fonti di materie prime, energia e manodopera, ed evidente assenza di corporazioni) erano favorevoli, la manifattura siciliana fu in grado di resistere a una forte concorrenza estera.


tratto da Potere e mercati in Sicilia. Secoli XIII-XVI, Einaudi, Torino 1996

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Il LINGUAGGIO della storiografia

Riconduci ciascuna delle seguenti espressioni proposta allo storico che l’ha utilizzata e contestualizzala rispetto alla tesi sostenuta nei testi che hai letto (massimo 5 righe).


a) Assenza della concorrenza internazionale nel settore dei tessuti a basso prezzo.

b) La manifattura tessile non era né tecnicamente primitiva né sottosviluppata.

c) L’immigrazione di tecnici, orafi, ceramisti, muratori e scultori compensa in una certa misura la mancanza di trasmissione delle tecniche.

d) Regressione tecnica.

Storie A CONFRONTO

Individua la tesi di fondo dei due testi proposti aiutandoti con lo schema di inizio sezione e compila la seguente scheda di sintesi e comparazione dei documenti.


  I ritardi della Sicilia Una diversa modalità di sviluppo
TESI    
ARGOMENTAZIONI    
PAROLE CHIAVE    
RIASSUMERE un testo argomentativo

Dopo aver schematizzato i testi con l’aiuto della tabella sopra, suddividili due testi in paragrafi e assegna a ciascun paragrafo un titolo. A partire da questi paragrafi sviluppa un testo di mezza pagina di quaderno che riassuma le argomentazioni dei brani proposti.


  I ritardi della Sicilia Una diversa modalità di sviluppo
PARAGRAFO 1    
PARAGRAFO 2    
PARAGRAFO 3    

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715