PERCORSI STORIOGRAFICI

percorsi storiografici

PERCORSO

TESTI

TEMI

1 L’Illuminismo perduto sulla via della seta

p. 332


 

P. Frankopan, Prosperità e crisi tra Cina e Asia centrale (XIV-XV secolo) tratto da Le vie della seta

– Crisi finanziaria in Asia centrale dopo Tamerlano

– Politica economica della Cina Ming

S. Frederick Starr, Conservatorismo culturale e decadenza economica tratto da L’Illuminismo perduto

– Caratteristiche comuni degli imperi eredi di Tamerlano

– Progressiva chiusura culturale

2 Il declino dell’impero e l’eredità della civiltà bizantina

p. 336


 

G. Ostrogorsky, I fattori di crisi dell’Impero bizantino (XIII-XV secolo) tratto da Storia dell’Impero bizantino

– Le contraddizioni dell’epoca paleologa

– La forza delle aristocrazie

A. Cameron, Le eredità di Costantinopoli tratto da I bizantini

– L’eredità politica, religiosa e culturale dell’impero

– Modelli storiografici e ideologie contemporanee

3 Potere e mercati nel Mediterraneo tardomedievale: il caso della Sicilia

p. 341


 

H. Bresc, I ritardi della Sicilia tratto da Sicilia del tardo Medioevo: parallelismi e divergenze

– I ritardi del settore manifatturiero

– La struttura della bilancia commerciale siciliana

Stephan R. Epstein, Una diversa modalità di sviluppo tratto da Potere e mercati in Sicilia

– Carattere rurale della manifattura siciliana

– Specializzazione, integrazione tra aree economiche complementari, ruolo del mercato interno

percorso 1

L’Illuminismo perduto sulla via della seta

Per millenni la regione compresa tra coste orientali del Mediterraneo e l’Himalaya è stata il crocevia della civiltà. La fitta rete di comunicazioni e le istituzioni politico-economiche che ne controllavano i segmenti, chiamate complessivamente, nel corso dell’Ottocento, “via della seta”, hanno giocato un ruolo fondamentale nella trasmissione delle scienze, della filosofia e della tecnologia, delle ricchezze e delle religioni. Il XV e il XVI secolo sembrano essere un momento di svolta per l’Asia centrale a causa di difficoltà politico-economiche e, soprattutto, di atteggiamenti conservatori sul piano culturale.

testo 1
Peter Frankopan

Prosperità e crisi tra Cina e Asia centrale (XIV-XV secolo)

Nel brano qui riportato, lo storico inglese Peter Frankopan rivolge la propria attenzione al contesto asiatico e alle relazioni tra affermazione del dominio timuride e fase di prosperità economica della Cina Ming. A questa fase espansiva seguì poi una contrazione globale della congiuntura economica, in concomitanza con le divisioni politiche tra gli eredi di Tamerlano, dalla quale l’Europa uscì con un significativo vantaggio rispetto alle altre aree economiche in Asia e in Africa.

Queste missioni1 facevano parte di un insieme di misure sempre più ambiziose adottate dalla dinastia Ming, che aveva rimpiazzato la dinastia mongola dei sovrani Yüan alla metà del XIV secolo. Somme enormi vennero spese per Pechino, dove furono costruite infrastrutture commerciali e militari. Furono investite notevoli risorse anche per mettere in sicurezza la frontiera settentrionale con la steppa e per competere con una Corea che si era nuovamente affacciata in Manciuria. Nel frattempo venne rafforzata la presenza militare a Sud, con il risultato che dalla Cambogia e dal Siam (Thailandia) iniziarono ad arrivare regolarmente missioni che venivano a rendere omaggio portando specialità locali e beni di lusso in quantità considerevoli, in cambio di una promessa di pace […].

Ampliare gli orizzonti in questo modo, tuttavia, aveva i suoi costi. La prima spedizione di Zheng He impiegò una sessantina di navi di grandi dimensioni, diverse centinaia di piccole imbarcazioni e quasi 30 000 marinai, con un costo elevatissimo in termini di paghe, equipaggiamenti e ricchi doni, che l’ammiraglio portava con sé per impiegarli come armi diplomatiche. Questa e altre iniziative furono finanziate tramite un netto incremento dell’emissione di carta moneta, ma anche con un aumento delle quote minerarie, il che fece sì che dopo il 1390, in poco più di un decennio, i ricavi in questo settore triplicassero. Anche i progressi nel campo dell’economia agricola e nella riscossione delle imposte produssero un repentino innalzamento delle entrate per il governo centrale e stimolarono quella che un commentatore moderno ha descritto come la creazione di un’«economia pianificata2».

Le fortune della Cina furono propiziate dagli accadimenti occorsi in Asia centrale, dove un signore della guerra di oscure origini riuscì a diventare il personaggio più famoso del tardo Medioevo: […] Timūr, o Tamerlano […]. Fondando nelle terre mongole, a partire dagli anni Sessanta del XIV secolo, un grande impero che si estendeva dall’Asia minore fino all’Himalaya, Tamerlano attuò un ambizioso programma di costruzione di moschee e residenze reali in tutto il suo regno […]. Dopo il saccheggio di Damasco, racconta un autore contemporaneo, vennero deportati carpentieri, pittori, tessitori, sarti, tagliatori di gemme, «in breve, artigiani di ogni genere», per abbellire le città dell’Oriente […]. Presso il Palazzo Ak Saray3, vicino a Samarcanda, il portale d’ingresso era «splendidamente decorato con un magnifico mosaico in piastrelle blu e oro, e il soffitto tutto dorato» […]. E questo non era nulla in confronto alla stessa Samarcanda e alla corte di Tamerlano, ornata con alberi d’oro «dai tronchi grossi come la gamba di un uomo». Tra le foglie auree si nascondevano «frutti» che a un più attento esame si rivelavano essere rubini, smeraldi, turchesi e zaffiri, insieme a enormi perle, perfettamente rotonde. Tamerlano non esitava a spendere il denaro ricavato dai popoli che aveva soggiogato. Comprava dalla Cina sete che erano «le più belle del mondo», così come muschio, rubini, diamanti, rabarbaro e altre spezie […]».

I problemi non tardarono ad affiorare. Divisioni e rivolte si diffusero nelle province persiane mentre gli eredi di Tamerlano rivaleggiavano per prendere il controllo del suo impero. Ma ulteriori difficoltà strutturali vennero create da una crisi finanziaria globale che colpì l’Europa e l’Asia nel XV secolo. A causarla furono una serie di fattori che oggi, a seicento anni di distanza, suonano familiari: eccessiva saturazione dei mercati, svalutazione della moneta e bilancia dei pagamenti, già squilibrata, che va fuori controllo. Malgrado la crescita della domanda di seta e di altri prodotti di lusso, le capacità di assorbirli erano limitate. Non che gli appetiti fossero sazi o i gusti fossero cambiati, era il meccanismo degli scambi che si era guastato: l’Europa, in particolare, aveva ben poco da offrire in cambio di prodotti tanto apprezzati come tessuti, ceramiche e spezie. Con la Cina che produceva più di quanto riuscisse ad esportare, quando la capacità di acquisto si esaurì accadde ciò che era facilmente prevedibile ed è stato spesso descritto come una «carestia d’oro», e che oggi chiameremmo stretta creditizia4 […] i contribuenti non erano in grado di tenere il passo dell’irrazionale esuberanza di un governo entusiasta di spendere denaro in grandiosi progetti, in base all’assunto che le entrate avrebbero continuato sempre e comunque a crescere. Non era così […]. La bolla doveva scoppiare, e di lì a poco scoppiò. Gli imperatori Ming si affrettarono a tagliare i costi, fermando gli abbellimenti in atto a Pechino, sospendendo costose spedizioni navali e progetti come quello del Grande Canale: al culmine dei lavori, decine se non centinaia di migliaia di uomini erano impiegati nella costruzione di una rete navigabile che collegasse la capitale con Hangzhou5 […]. Quel che è certo, comunque, è che l’insieme delle riserve monetarie si ridusse ovunque, dalla Corea al Giappone, dal Vietnam a Giava, dall’India all’Impero ottomano, dal Nord Africa all’Europa continentale […] detto in parole semplici, la disponibilità di metallo prezioso, che aveva fornito una valuta comune in grado di collegare una parte del mondo conosciuto all’altra […] si ridusse e venne meno: non c’era abbastanza denaro per tutti.


tratto da Le vie della seta. Una nuova storia del mondo, Mondadori, Milano 20171

 >> pagina 334 
testo 2
Stephen Frederick Starr

Conservatorismo culturale e decadenza economica

Nel brano proposto, l’autore concentra la propria attenzione sul conservatorismo culturale che caratterizza le formazioni politiche eredi di Tamerlano: sebbene ricche e potenti, tuttavia a causa di questo fattore accumuleranno uno svantaggio relativo rispetto alle potenze europee che iniziano ad affacciarsi in Asia e che giocheranno un ruolo progressivamente egemone nell’area, sino alla costituzione di imperi coloniali.

Il lascito della dinastia di Timur si dimostrò straordinariamente ricco. Lungi dal finire nel 15061, molti aspetti della sua cultura continuarono a sopravvivere, trovando nuovi spazi nei tre grandi imperi musulmani che raggiunsero il loro zenith nei due secoli successivi: i Moghul in India, i Safavidi in Persia e gli Ottomani in Turchia […] tutti e tre erano governati da dinastie turcofone che avvertivano la forte influenza culturale di Herat, Samarcanda e Tabriz, la terza capitale di Timur […].

Tutti questi grandi imperi erano entità sostanzialmente militari […] e ciascuno costruì la propria potenza sulla solida roccia della cavalleria turca. Tutti e tre, tuttavia, si affrettarono a padroneggiare le tecnologie necessarie per fondere cannoni e fabbricare moschetti, per cui sono stati talvolta definiti «Stati della polvere da sparo». Tutti traevano grandi ricchezze dalle tasse imposte al­l’agricoltura, ma tutti incoraggiavano le loro popolazioni a impegnarsi nel commercio, da cui uno Stato ricavava normalmente cospicue entrate fiscali. Tutti e tre occuparono città che erano già grandi centri di cultura – come Delhi, Isfahan e Costantinopoli – e le trasformarono a loro immagine […]. In nessuna delle tre entità statali, tuttavia, si sviluppò una solida scuola contemporanea di filosofia o di scienza […]. Abbiamo notato che tutti e tre questi imperi appresero alla fine le tecnologie necessarie per fondere il bronzo e costruire armi moderne. Tale apertura alle nuove tecnologie si estendeva a molti altri campi, senza mai andare però in profondità. Un atteggiamento tipico fu quello del sultano ottomano Bayezid II, che commissionò a Leonardo da Vinci un progetto tecnicamente audace per un ponte sul Corno d’Oro2, ma rinunciò poi alla sua costruzione. Sia gli Ottomani che i Moghul si rivelarono provetti navigatori, e i capitani delle loro navi fornirono informazioni dettagliate ai cartografi dei rispettivi paesi. Eppure, le mappe risultanti erano tecnicamente arretrate rispetto a quelle dell’Occidente. […] In India, l’imperatore Akbar il Grande amava dilettarsi con ingranaggi, impianti di aria condizionata e armi da fuoco, ma da quella curiosità per la tecnologia non derivarono risultati degni di nota. In nessuno dei tre imperi progredirono né la molatura delle lenti né la fabbricazione di orologi, il che costrinse i rispettivi sovrani ad affidarsi agli stranieri residenti nelle loro capitali per disporre di tali tecnologie di miniaturizzazione. I parallelismi tra i tre imperi e la cultura dell’Asia centrale timuride sono particolarmente evidenti nel campo della matematica e delle scienze naturali. Gli Ottomani si affrettarono a rivendicare come loro primo scienziato il maestro di Ulugh Beg3, Qadi Zada al-Rumi […]. La scienza astronomica, in realtà, non decollò nella capitale ottomana fino al 1576, quando Taqi ad-Din, un turco nato a Damasco, erudito, matematico e astronomo di talento, persuase il sultano a finanziare un osservatorio sul modello di quello di Ulugh Beg […]. Il sultano tuttavia, istigato da un visir sospettoso, fece abbattere l’intera struttura. A Costantinopoli, pertanto, da allora in poi l’astronomia rimase lettera morta per secoli […]. Il progresso in sordina della matematica e delle scienze naturali sotto i tre imperi legati all’etnia turca esige una spiegazione [:] in tutti e tre gli imperi il mondo della conoscenza venne fortemente limitato dall’ortodossia religiosa […]. In tutti e tre gli imperi, le scuole coraniche sancivano e perpetuavano l’ortodossia religiosa. Tutti e tre avevano acquisito le loro prime madrase all’epoca di Nizam al-Mulk, che aveva usato il suo potere come visir del sultano per aprire istituzioni scolastiche destinate a debellare per sempre l’eterodossia e imporre la più rigorosa ortodossia religiosa. In mancanza di università4, queste istituzioni mantennero in tutti e tre gli imperi il loro carattere originale e lo scopo di proteggere e perpetuare l’ortodossia dominante di fronte a qualsiasi interpretazione religiosa che venisse percepita come una deviazione da parte sia dell’opposizione musulmana interna sia della scienza e della filosofia moderna […]. In altre parole, nessuno dei tre imperi che successero alla dinastia timuride sfidò i limiti alla ragione proposti da al-Ghazali5 nel XII secolo e divenuti da allora i pilastri stessi dell’ortodossia musulmana. Avendo accettato la possibilità di una comunione diretta tra il credente e Dio, al-Ghazali non aveva tanto rifiutato la ragione, ma l’aveva emarginata, accettandola come uno strumento valido per risolvere problemi pratici, ma rigettandone l’uso come mezzo per affrontare questioni esistenziali […]. Tutte queste caratteristiche si conservarono nel tempo grazie a un ulteriore fattore che ritardò significativamente la vita intellettuale dei tre grandi imperi turchi nel XVI e XVII secolo, vale a dire la loro estrema riluttanza ad accogliere la stampa a caratteri mobili.


tratto da L’Illuminismo perduto. L’età d’oro dell’Asia centrale dalla conquista araba a Tamerlano, Einaudi, Torino 2017

 >> pagina 336 
Il LINGUAGGIO della storiografia

Riconduci ciascuna delle seguenti espressioni allo storico che l’ha utilizzata e contestualizzala rispetto alla tesi sostenuta nei testi che hai letto (massimo 5 righe).


a) Stati della polvere da sparo.

b) La disponibilità di metallo prezioso […] si ridusse e venne meno: non c’era abbastanza denaro per tutti.

c) In tutti e tre gli imperi il mondo della conoscenza venne fortemente limitato dall’ortodossia religiosa.

d) La bolla doveva scoppiare, e di lì a poco scoppiò.

Storie A CONFRONTO

Individua la tesi di fondo dei due testi proposti aiutandoti con lo schema di inizio sezione e compila la seguente scheda di sintesi e comparazione dei documenti.


  Prosperità e crisi tra Cina e Asia centrale (XIV-XV secolo) Conservatorismo culturale e decadenza economica
TESI    
ARGOMENTAZIONI    
PAROLE CHIAVE    
Cooperative Learning

Nell’ultimo decennio la Cina ha cercato nuove strade per sviluppare il suo ruolo nel commercio mondiale. Nel 2013 il presidente cinese Xi Jinping ha lanciato infatti un progetto da mille miliardi di dollari di investimenti (Belt and Road Initiative, BRI, o Nuova Via della Seta) per integrare con una serie di infrastrutture terresti e marittime Asia, Africa ed Europa. In gruppi di massimo 5 persone provate a stabilire un confronto tra nuova e vecchia via della seta rispondendo alle seguenti domande: quali sono i mezzi di trasporto di oggi e di ieri? Quali merci vengono oggi scambiate tra Oriente e Occidente? I tragitti delle due vie sono sovrapponibili? Come sono cambiati i rapporti di forza tra gli Stati coinvolti?

percorso 2

Il declino dell’impero e l’eredità della civiltà bizantina

 A lungo trascurata e ritenuta marginale rispetto alle vicende occidentali, la civiltà bizantina è oggi riconosciuta invece come fondamentale per comprendere le radici di alcune delicate questioni contemporanee, in primo luogo la definizione geografica, culturale e religiosa dell’Europa e i rapporti con l’Oriente musulmano. La millenaria storia dell’impero non è affatto quella di un lunghissimo declino verso una fine annunciata: persino i due secoli finali sono caratterizzati da ambizione politica e intensa attività culturale e costituiscono un momento decisivo per la trasmissione dell’eredità bizantina in Europa, contribuendo in modo decisivo anche all’Umanesimo e al Rinascimento italiani.

 >> pagina 337 
testo 1
Georg Ostrogorsky

I fattori di crisi dell’Impero bizantino (XIII-XV secolo)

Georg Ostrogorsky, storico russo naturalizzato iugoslavo, è stato un maestro della bizantinistica novecentesca e la sua Storia è un imprescindibile punto di riferimento storiografico. Nel testo proposto, l’autore mette in rilievo alcuni aspetti cruciali della vita politica e sociale sotto gli imperatori Paleologhi, compresi alcuni elementi disgregatori che condurranno a vanificare qualsiasi ambizione di fronteggiare con successo la minaccia ottomana.

Michele VIII uscì vincitore dalla guerra difensiva contro l’aggressione occidentale, ma, nonostante tutti gli sforzi, non riuscì che a conseguire successi assai limitati nei suoi tentativi di riprendere l’offensiva e di riconquistare le antiche province bizantine […]. Intanto le continue guerre sui Balcani e l’estenuante lotta difensiva contro il pericolo angioino avevano completamente esaurito le forze dell’Impero bizantino. La politica di Michele VIII aveva qualcosa in comune con quella di Manuele1 […]. Era una politica imperiale di grande stile, che influenzava il corso degli avvenimenti mondiali dall’Egitto fino alla Spagna. Ma essa imponeva gravami intollerabili allo Stato bizantino. Così come cent’anni prima l’ambizione di Manuele Comneno di creare un impero universale aveva privato l’impero delle sue ultime forze, lo stesso avveniva ora come conseguenza del tentativo di Michele Paleologo di fare di Bisanzio una grande potenza […].

Sotto i successori di Michele VIII Bisanzio diventa un piccolo Stato e alla fine null’altro che un obiettivo della politica dei suoi confinanti. Si è soliti dare una spiegazione semplice di questa svolta: Michele VIII sarebbe stato un uomo di Stato geniale, mentre il suo successore Andronico II un sovrano debole e incapace. In realtà la rapida decadenza della potenza bizantina a partire dalla fine del secolo XIII ha cause più profonde […]. Certamente Andronico II (1282-1328) non era un uomo di Stato di grande stile, ma non era nemmeno così debole e incapace, come di solito si sostiene […]. Inoltre egli possedeva una cultura molto elevata e mostrava un profondo interesse per la scienza e la letteratura […]. Se l’età dei Paleologhi fu un’epoca di grande fioritura culturale, se Costantinopoli, nonostante la decadenza politica, restò uno dei centri intellettuali del mondo, una parte del merito va attribuita proprio al tanto disprezzato Andronico.

Già sotto il regno di suo padre, Andronico II aveva preso parte alla direzione degli affari politici come coreggente […]. Questi sono i primi passi sulla via della trasformazione dell’autocrazia centralista in un dominio della famiglia imperiale nel suo complesso sulle varie parti dell’impero con le loro tendenze separatiste. Già emerge l’idea di una divisione dell’impero, anche se all’inizio solo come un frutto di concezioni straniere, occidentali. Era la seconda moglie dell’imperatore Andronico II, Irene (Jolanda) di Monferrato2 che nell’interesse dei suoi figli voleva una spartizione dell’impero tra tutti i principi imperiali. È tuttavia significativo per questa fase di sviluppo il deciso rifiuto che il piano dell’imperatrice incontrò in quel momento […]. In questo conflitto si esprimeva l’opposizione tra la concezione romano-bizantina e quella occidentale. Alla base delle pretese dell’imperatrice c’era una mescolanza tra diritto pubblico e diritto privato […]. Tuttavia Bisanzio restò fedele all’unità dell’impero. Ma la compagine statale si disintegrava sempre più e il legame tra il centro e le province diventava sempre più debole […].

L’ascesa dei Paleologhi al trono bizantino rappresentò una vittoria dell’alta nobiltà bizantina. Il processo di feudalizzazione riprende slancio e nel secolo XIV raggiunge il suo apogeo. I proprietari terrieri laici ed ecclesiastici accrescono le loro proprietà e il numero dei loro paroikoi3 e si assicurano privilegi sempre più ampi e ottengono spesso la completa immunità. Nella miseria generale, essi conducono, isolati, una vita splendida, e si sottraggono sempre più al potere dello Stato. Invece contemporaneamente ha luogo non solo la decadenza della proprietà contadina, ma anche della proprietà fondiaria della piccola proprietà non privilegiata, che perde le sue terre e le sue forze lavoro in favore dei grandi proprietari e questo avviene soprattutto perché soltanto i grandi latifondisti dalle grandi disponibilità di capitali erano nelle condizioni di potere resistere alle tremende devastazioni delle aggressioni nemiche. Questo processo indebolisce lo Stato non solo dal punto di vista politico, ma anche da quello finanziario nonché militare. Poiché la grande proprietà terriera si sottraeva sempre più all’obbligo tributario e poiché inoltre assorbiva la proprietà terriera dei contadini che pagavano le tasse, e quella della piccola nobiltà, le entrate dello Stato diminuiscono considerevolmente. A questo si aggiungono i sempre più gravi arbitri nell’amministrazione dei tributi. Come gli antichi grandi proprietari terrieri, così anche i pronoiari4 ottengono nuovi privilegi. Mentre all’inizio le concessioni in pronoia erano un possesso temporaneo, condizionato e non ereditabile, ora i pronoiari ottengono sempre più spesso il diritto di trasferire ai loro eredi le proprietà loro concesse e le rispettive entrate. […] Ma anche se la pronoia ereditaria non cessava di essere una proprietà inalienabile legata alla prestazione del servizio militare, la crescente ereditarietà delle concessioni in pronoia rappresentava indubbiamente una considerevole modificazione del sistema originario ed è un segno evidente della crescente debolezza del potere centrale e della sua crescente arrendevolezza di fronte alle pretese della rafforzata nobiltà feudale. L’inadeguatezza del sistema della pronoia nel periodo dei Paleologhi si mostra con tutta chiarezza anche nel fatto che ora l’esercito bizantino è composto di mercenari stranieri non solo in gran parte, come già all’epoca dei Comneni, ma in misura del tutto prevalente. Ne deriva un pesante gravame finanziario per lo Stato. La necessità del mantenimento delle numerose truppe mercenarie necessarie per l’ambiziosa politica estera di Michele VIII e per i molteplici compiti militari che ne derivavano, portò l’impero alla rovina finanziaria […]. Gli effettivi dell’esercito dovevano essere radicalmente ridimensionati, e Andronico II lo fece. Ma all’inizio lo fece in modo troppo drastico. Egli credette di potere rinunciare del tutto ad avere una flotta […] ma così non faceva che aggiungere alla dipendenza militare il peso della dipendenza economica da Genova. Ma anche l’esercito di terra venne fortemente ridimensionato e la forza militare bizantina raggiunse un livello così basso da «essere ridicolo», e anzi, «del tutto inesistente» […] questo solo fatto già spiega perché Bisanzio perdette la sua posizione di grande potenza e perché si trovò incapace di resistere alla pressione delle forze molto superiori degli Osmani5.


tratto da G. Ostrogorsky, Storia dell’Impero bizantino, Einaudi, Torino 1993

Storie. Il passato nel presente - volume 1
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Dal 1000 al 1715