FONTI - Il racconto della peste

FONTI

Il racconto della peste

La Cronica del fiorentino Matteo Villani (1280 ca.-1363), avviata probabilmente qualche anno dopo il 1348, prosegue l’opera del più noto fratello Giovanni, morto di peste, innestandosi su di essa e narrando fatti contemporanei all’autore fino all’anno della sua morte. La pagina che qui si presenta è emblematica dei tentativi di interpretare le cause dell’inarrestabile epidemia, di cui si fornisce anche una plausibile geografia della propagazione. Fra le possibili ragioni vengono elencate nefaste congiunzioni astrali, il castigo divino e misteriosi fenomeni naturali riportati da mercanti e viaggiatori in paesi d’Oriente.

Videsi negli anni di Cristo, dalla sua salutevole1 incarnazione, 1346 la congiunzione di tre superiori pianeti nel segno dell’Acquario, della quale congiunzione si disse per gli astrologhi che Saturno fu signore: onde pronosticarono al mondo grandi e gravi novitadi; ma simile congiunzione per li tempi passati molte altre volte stata e mostrata, la influenzia pealtri particulari accidenti non parve cagione di questa, ma piuttosto divino giudicio secondo la disposizione dell’assoluta volontà di Dio. Cominciossi nelle parti d’Oriente, nel detto anno, inverso il Cattai2 e l’India superiore e nelle altre provincie circustanti a quelle marine dell’Oceano3, una pestilenzia tra gli uomini d’ogni condizione di catuna4 età e sesso: che cominciavano a sputare sangue e morivano chi di subito, chi in due o in tre dì, e alquanti sostenevano5 più al morire. E avveniva che chi era a servire questi malati, appiccandosi quella malattia, o infetti, di quella medesima corruzione incontanentemalavano, e morivano per somigliante modo; e a’ più ingrossava l’anguinaia7, e a molti sotto le ditella8 delle braccia a destra e a sinistra, e altri in altre parti del corpo, che quasi generalmente alcuna enfiatura9 singulare nel corpo infetto si dimostrava. […] Avvenne, perché parea che questa pestifera infezione s’appiccasse per la veduta enfiatura e per lo toccamento, che, come l’uomo o la femmina o i fanciulli si conoscevano malati di quella enfiatura, molti n’abbandonavano: e innumerabile quantità ne morirono che sarebbono campati se fossono stati aiutati delle cose bisognevoli. Tra gl’infedeli cominciò questa inumanità crudele, che le madri e’ padri abbandonavano i figliuoli, e i figliuoli le madri e’ padri, e l’uno fratello l’altro e gli altri congiunti: cosa crudele e maravigliosa e molto strana alla umana natura, detestata tra i fedeli cristiani, nei quali, seguendo le nazioni barbare, questa crudeltà si trovò. Essendo cominciata nella nostra città di Firenze, fu biasimata da’ discreti10 la sperienza veduta di molti, i quali si provvidono11 e rinchiusono in luoghi solitari e di sana aria, forniti d’ogni buona cosa da vivere, ove non era sospetto di gente infetta; in diverse contrade il divino giudicio (a cui non si può serrare le porti) gli abbatté come gli altri che non s’erano provveduti. E molti altri, i quali si dispuosero alla morte per servire i loro parenti e amici malati, camparono avendo male, e assai non l’ebbono continovando12 quello servigio; per la qual cosa ciascuno si ravvide, e cominciarono senza sospetto ad aiutare e servire l’uno l’altro: onde molti guarirono, ed erano più sicuri a servire gli altri. 

Nella nostra città cominciò generale all’entrare del mese d’aprile gli anni Domini 1348, e durò fino al cominciamento del mese di settembre del detto anno. E morì, tra nella città, contado e distretto di Firenze, d’ogni sesso e di catuna età de’ cinque i tre13 e più, compensando il minuto popolo e i mezzani e’ maggiori, perché alquanto fu più menomato, perché cominciò prima ed ebbe meno aiuto e più disagi e difetti. E nel generale per tutto il mondo mancò la generazione umana per simigliante numero e modo, secondo le novelle che avemmo di molti paesi strani e di molte provincie del mondo. Ben furono provincie nel Levante dove vie più ne moriro. Di questa pestifera infermità i medici in catuna parte del mondo, per filosofia naturale o per fisica o per arte d’astrologia, non ebbono argomento14 né vera cura. Alquanti per guadagnare andarono visitando e dando loro argomenti, li quali per la loro morte mostrarono l’arte essere fitta15 e non vera: e assai per coscienza lasciarono a ristituire i danari che di ciò aveano presi indebitamente.

Avemmo da mercatanti genovesi, uomini degni di fede, che aveano avute novelle di què paesi, che alquanto tempo innanzi a questa pestilenzia, nelle parti dell’Asia superiore uscì della terra ovvero cadde dal cielo un fuoco grandissimo, il quale stendendosi verso il ponente, arse e consumò grandissimo paese16 senza alcuno riparo. E alquanti dissono17 che del puzzo di questo fuoco si generò la materia corruttibile della generale pestilenzia: ma questo non possiamo accertare. Appresso sapemmo da uno venerabile frate minore di Firenze vescovo di ...18 del Regno19 , uomo degno di fede, che s’era trovato in quelle parti dov’è la città di Lamech20 ne’ tempi della mortalità, che tre dì e tre notti piovvono in quello paese biscie con sangue che appuzzarono e corruppono tutte le contrade: e in quella tempesta fu abbattuto parte del tempio di Maometto e alquanto della sua sepoltura.


G. Villani, Cronica. Con le continuazioni di Matteo e Filippo, a cura di G. Aquilecchia, Einaudi, Torino 1979

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715