9.1 Rendite signorili e profitti: l’avvio della crisi a fine XIII secolo

Per riprendere il filo…

L’espansione economica aveva interessato, con ritmi e forme diverse, l’Europa occidentale tra il X-XI e il XIII secolo. Si è visto come, per varie ragioni concomitanti, in questa lunga fase del ciclo tutti gli indicatori economici delle società europee avessero una tendenza positiva e questa crescita è stata messa in relazione con le profonde novità che hanno interessato anche le forme degli insediamenti o le strutture familiari. La congiuntura favorevole aveva inoltre posto alcune realtà politiche ed economiche europee in diretta competizione con gli imperi orientali, erodendone la secolare egemonia nel Mediterraneo. Tuttavia, alcuni elementi sui quali l’espansione economica si era fondata mostrarono, a lungo andare, alcune importanti debolezze, che misero in crisi l’intero sistema.

9.1 Rendite signorili e profitti: l’avvio della crisi a fine XIII secolo

Uno sguardo complessivo sulla crisi

Le società europee, che pur in modo non omogeneo avevano vissuto una fase di crescita lunga circa tre secoli, alla fine del XIII secolo iniziarono a manifestare i primi segni di difficoltà, sia sul piano demografico che su quello economico. La crescita demografica si indebolì, per poi bloccarsi del tutto già nei primi anni del XIV secolo; la messa a coltura di nuove terre rallentò; le attività commerciali e bancarie risentirono della minore disponibilità di merci, a causa di una produzione artigianale sempre più in difficoltà e della scarsità di moneta. Questi fenomeni provocarono una riduzione dei redditi, sia in campagna che in città, da cui derivarono una diffusa miseria e numerosi conflitti sociali.

A questi processi, interni al ciclo economico europeo, si aggiunsero alcuni fattori esterni: epidemie – con altissimi tassi di mortalità – e un peggioramento delle condizioni climatiche, caratterizzate da un’alternanza di stagioni più fredde e piovose rispetto ai secoli IX-XII, che contribuirono a ridurre talvolta drasticamente l’entità dei raccolti.

Le campagne

Si è visto come la fase di crescita fosse stata determinata, nella fase espansiva, da un incremento di tutti i fattori propri del sistema produttivo (terra, capitale e lavoro), causato a sua volta da mutamenti nei sistemi giuridici, istituzionali e culturali, e dal dinamismo dei ceti signorili, desiderosi di incrementare le proprie rendite. L’aspettativa di un aumento della rendita aveva permesso ai ceti signorili di sostenere la crescita demografica mettendo a coltura terre nuove, destinate alla cerealicoltura, e investendo capitali in alcune innovazioni tecnologiche [▶ cap. 1].

La crisi giunse quando la messa a coltura di nuove terre, sempre più marginali in rapporto alle rese, divenne sempre meno conveniente. La scarsa fertilità di terre strappate a territori boschivi e incolti in collina o in montagna non riusciva infatti a essere compensata dalla tecnologia disponibile e inoltre produceva forti squilibri nella gestione delle risorse territoriali, sia sul piano ecologico, sia su quello sociale. Da un lato, infatti, eccessivi diboscamenti effettuati in aree collinari o montuose accentuavano i danni causati da eventi meteorologici eccezionali, come per esempio piogge di forte intensità; dall’altro, più frequentemente che in passato, le terre comuni – su cui cioè le comunità rurali esercitavano diritti collettivi di far legna, di prelevare acqua e di condurre le bestie al pascolo – divennero oggetto di ripartizioni interne alle singole comunità e di accesa disputa con le comunità confinanti. Ancora, la marginalità si misurava anche considerando la distanza rispetto ai mercati: distanze sempre più grandi dai luoghi di scambio incrementavano i costi di trasporto e dunque i prezzi: in ogni caso, i costi di produzione aumentavano e si riducevano i margini di rendita.

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Quando questi fenomeni di caduta della rendita comparvero, come conseguenza non furono più messe a coltura nuove terre e dove fu possibile i proprietari terrieri adottarono alcune strategie di recupero:

  • intensificando colture a più alto valore aggiunto, in particolare in area mediterranea (vigneti, oliveti, alberi da frutto, piante industriali – gelsi, cotone, lino –, zafferano, riso, canna da zucchero, erbe tintorie);
  • destinando quote sempre più ampie di terra all’allevamento, redditizio e non bisognoso di grandi investimenti o di manodopera.

Tuttavia, in linea generale, la riduzione delle rendite bloccò l’espansione dei coltivi e i ceti proprietari cercarono di accrescere i prezzi dei prodotti agricoli per mantenere alti i profitti, mentre gli strati di popolazione di più recente inurbamento e i più socialmente emarginati, che vivevano di assistenza pubblica e privata, ebbero grandissima difficoltà a garantirsi l’accesso ai beni essenziali, sempre più costosi, cui tuttavia non potevano rinunciare [ 1]. Le ripetute carestie, ossia il susseguirsi di rincari dei beni agricoli, e le difficoltà che questi beni incontravano nel raggiungere le zone di maggior fabbisogno (crisi di distribuzione) costituirono il segnale dell’inceppamento del sistema.

Gravi carestie si registrarono già negli anni Settanta del XIII secolo, raggiungendo picchi drammatici nel 1271-72 e 1275-77 in Italia, nel 1315-17 in tutta l’Europa nordoccidentale e in Inghilterra, nel 1333 nella penisola iberica, nel 1339-40 e nel 1346-47 in particolare ancora in Italia. Denutrizione e malnutrizione, dovute alla minore disponibilità di cibo e a un’alimentazione povera di apporti proteici, oltre a uccidere direttamente esponevano gli organismi indeboliti alla diffusione di molteplici malattie. L’aumento del tasso di mortalità è verosimilmente la causa principale del declino demografico che iniziò a interessare varie aree d’Europa, prima tra tutte l’Italia, già prima della catastrofica epidemia di metà Trecento.

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Credito, commercio e lavoro

Segnali di un’inversione di tendenza si moltiplicarono anche nel sistema europeo degli scambi commerciali. Si verificarono infatti numerosi fallimenti di aziende mercantili e bancarie, sia per ragioni strutturali – incremento della concorrenza dovuta al moltiplicarsi degli operatori economici, crescita dei costi, perdita di mercati – sia per motivi contingenti: mancati pagamenti di merci, mancate restituzioni di capitali prestati a causa dell’insolvenza dei debitori, primi tra tutti le grandi monarchie e signorie

La condizione di stato di guerra permanente in cui gran parte dell’Europa del Trecento si trovava comportava infatti costi molto alti in termini sia economici che di vite umane. La prassi delle compagnie di ventura [▶ protagonisti], milizie mercenarie assoldate a caro prezzo per integrare gli eserciti cittadini o regi, era infatti quella di distruggere e saccheggiare le campagne, dove si trovava gran parte degli apparati produttivi del nemico – campi, vigne, bestiame, villaggi rurali, mulini, frantoi, forni – infliggendo danni materiali molto superiori rispetto al passato.

Monarchie, comuni e signorie fronteggiavano dunque la crescente necessità di denaro attraverso due strategie: da un lato, svalutavano o rivalutavano arbitrariamente, a seconda della loro condizione di debitori o creditori, il valore delle monete emesse dalle zecche, modificando la quantità di metallo prezioso presente; dall’altro, ricorrevano largamente al prestito di grandi compagnie bancarie, specialmente toscane. L’inadempienza da parte delle monarchie a rispettare gli impegni di restituzione dei capitali ricevuti comportò il fallimento di gran parte di queste compagnie: tra 1297 e 1308 la Gran Tavola dei Bonsignori, banchieri senesi, fece ▶ bancarotta, e così i Ricciardi lucchesi; poco dopo, anche le grandi famiglie fiorentine dei Bardi e dei Peruzzi furono colpite duramente dalla crisi dei meccanismi di credito.

Una forte crisi investì inoltre il settore tessile, il più sviluppato dell’artigianato medievale. L’aumento della popolazione inglese, infatti, finì per assorbire una quantità sempre maggiore di lana grezza prodotta nel regno, all’epoca il maggior produttore europeo, facendone così diminuire le esportazioni e di conseguenza aumentare il prezzo. Agli effetti della crescita demografica si sommavano inoltre deliberate politiche delle monarchie: all’inizio della Guerra dei Cent’anni [ cap. 8.1], per esempio, il re d’Inghilterra, per danneggiare la produzione laniera delle città fiamminghe schierate con il re francese, dapprima aumentò il prezzo della lana inglese, poi ne vietò l’esportazione. Molte aziende furono costrette a chiudere, lasciando nella disperazione lavoratori che difficilmente avrebbero potuto essere impiegati altrove.

  protagonisti

Compagnie di ventura

Le compagnie di ventura venivano ingaggiate mediante un vero e proprio contratto, detto “condotta”, da cui il termine di “condottieri” con cui si indicavano i loro capi. Le spese che gli Stati sostenevano per assicurarsi le migliori truppe erano enormi, tanto da incidere in modo significativo sulle casse pubbliche e sul prelievo fiscale necessario a sostenerle. Il XIV e il XV secolo furono i momenti di massima fortuna delle compagnie mercenarie, che sfruttavano l’efficacia del combattimento a cavallo con lunghe lance e pesanti armature combinato con fanterie di balestrieri.

In Italia ne operarono molte, tra cui la Grande compagnia di Fra Moriale (Jean Montréal du Bar, 1303 ca.-54), ex frate ospedaliere della Provenza, e la Compagnia Bianca, guidata dall’inglese John Hawkwood, italianizzato in Giovanni Acuto (1320 ca.-94), ma furono ugualmente attive in tutti gli scacchieri europei e anche nell’Impero bizantino, dove agì la Compagnia Catalana guidata da Roger da Flor (1267-1305). Tra i più celebri capitani di compagnie di ventura italiani si ricordano Braccio da Montone (1368-1424), Erasmo da Narni detto il Gattamelata (1370 ca.-1443), Francesco Bussone detto il Carmagnola (1385 ca.-1432), Bartolomeo Colleoni (1400-75), Francesco Sforza (1401-66), Federico da Montefeltro (1422-82), Giovanni de’ Medici (1498-1526).

9.2 La peste

Il ritorno dell’epidemia

Nelle fonti medievali “peste” è un termine utilizzato per definire diverse malattie, tutte caratterizzate dalla loro elevata contagiosità e mortalità: deriva infatti dal latino peius, “(la malattia) peggiore”. La peste vera e propria, dopo una prima ▶ epidemia tra il VI e l’VIII secolo, dilagò nuovamente in tutta Europa tra la fine del 1347 e il 1348 [▶ fenomeni].

La grande epidemia europea della metà del Trecento ebbe probabilmente origine nell’altopiano del Qinghai, una regione tra il Tibet settentrionale e la Cina centromeridionale, confinante con l’Impero di Xia [ 2]. Per la sua rilevanza strategica, nei primi anni del XIII secolo questo Stato venne annientato nel 1227 da Genghiz Khan [ cap. 7.1] e si suppone che attraverso le pellicce delle marmotte, molto apprezzate dai mongoli, il bacillo della peste si sia propagato per decenni attraverso le steppe asiatiche, raggiungendo la Cina interna, l’Iran, l’Egitto, la Siria e la penisola arabica.

Dal Mar Nero al Mediterraneo e all’Italia l’itinerario della malattia è abbastanza ben illustrato nelle fonti: nel 1347 i mongoli, ritirandosi dall’assedio della colonia genovese di Caffa (oggi Feodosia, nella penisola di Crimea), vi catapultarono i cadaveri di alcuni appestati. Le galee genovesi che salparono dalla città alla volta del Mediterraneo portarono con sé la malattia, che si diffuse rapidamente lungo tutti i porti di scalo: le rotte commerciali divennero così letali vie di trasmissione del contagio. La prima città italiana a esserne colpita fu Messina, alla fine del 1347; successivamente la peste raggiunse Genova, Marsiglia, Pisa, Venezia, Ragusa (oggi Dubrovnik) e dai centri costieri si estese alle località dell’entroterra. Tra il marzo e il giugno del 1348 il contagio era ormai diffuso a Firenze, Siena, Perugia e in tutto il Nord Italia (a parte Milano, interessata solo marginalmente), così come in buona parte della Francia e della penisola iberica. Entro la fine dello stesso anno toccò l’Inghilterra e tra il 1349 e il 1350 le Fiandre, i Paesi Bassi, la Scandinavia e alcune regioni dell’Europa centrorientale.

La ▶ pandemia ebbe diffusione non omogenea. Operando una sintesi delle disparità regionali e dei dati a disposizione, e considerando che la peste colpiva in modo maggiore poveri, bambini e verosimilmente le donne, è stato calcolato che in pochi anni quasi un terzo della popolazione europea nel suo complesso, circa 30 milioni di persone, abbia perso la vita e le decine di ondate epidemiche successive contribuirono ad aggravare ulteriormente un bilancio già pesantissimo, cui l’Italia e le regioni mediterranee della Francia contribuirono in modo molto elevato.

L’altissima mortalità stravolse quasi ovunque schemi e stili di vita [ 3]. La mancanza di conoscenze sulle cause della malattia, e dunque sui rimedi più efficaci, provocò le reazioni più varie. Il collegio dei medici di Parigi indicò la causa della pestilenza in una nebbia fetida proveniente dall’India, che aveva oscurato il sole e ucciso i pesci nelle acque, mentre le cronache sono piene di notazioni astrologiche nefaste, di avvistamenti di vermi piovuti dal cielo, folgori e draghi, flagelli inviati da Dio per punire i peccati degli uomini [▶ FONTI]. Chi ne aveva la possibilità fuggiva in campagna, chi rimaneva nelle città ingannava il terrore della morte con feste e banchetti. Molti presero a percorrere le strade in processione, ostentando reliquie, spogliandosi e flagellandosi con violenza, cantando e digiunando.

L’isteria collettiva attribuì la colpa ai musulmani, presso le cui terre si riteneva fosse sorto il morbo, e alle minoranze sociali e religiose, in particolare agli ebrei. Questi ultimi, portatori di una diversità culturale sospetta in tempi di crisi, furono accusati di avvelenare pozzi e di spargere polveri nell’aria e nel corso di violente persecuzioni in Germania, in Francia e in Catalogna molti furono linciati, squartati o arsi vivi. In Inghilterra come capro espiatorio furono talvolta indicate alcune donne, accusate di stregoneria, e nei paesi di lingua tedesca nacque la leggenda della “ragazza della peste” (Pest Jungfrau), che fuorusciva come un fuoco dalla bocca dei morti e propagava il contagio al cenno della mano.

Talvolta le autorità pubbliche cercarono di frenare il contagio prendendo provvedimenti di buon senso: controllarono gli accessi alle città, organizzarono quarantene nei porti e vietarono assembramenti in occasione di funerali e cerimonie religiose. Inoltre, intervennero per impedire l’esplodere degli odi sociali e razziali, ma non ebbero grande efficacia.

  fenomeni

La “morte nera”

Alcuni cronisti in epoca medievale indicavano la peste come atra mors, “morte atroce, terribile”. In latino però atrus significa anche “oscuro, cupo” ed è con questo significato che l’espressione venne usata nell’Ottocento dal medico tedesco Justus Hecker, il primo a studiare la storia delle epidemie.

Che cosa è la peste

Alla fine del XIX secolo, in occasione dell’ultima grande pandemia mondiale, venne scoperto a Hong Kong l’agente infettante della malattia: un batterio, chiamato Yersinia pestis dal nome dello svizzero francese Alexandre Yersin che, contemporaneamente al giapponese Kitasato Shibasaburo, riuscì a isolarlo. La peste è un’infezione dei roditori selvatici (oltre ai più comuni topi e ratti, anche scoiattoli, lepri, conigli, marmotte e cammelli), è endemica nelle steppe e negli altopiani asiatici e può trasmettersi anche ai roditori che vivono a contatto con l’uomo. Quando – per le cause più disparate, come per esempio lievi variazioni di temperatura o di precipitazioni – la mortalità tra questi animali diventa molto alta, le pulci ospitate abitualmente nella loro pelliccia possono migrare sull’uomo, contagiandolo con la loro puntura.

Il morbo si può presentare in diversi modi. La forma polmonare si sviluppa in climi più freddi ed è l’unica passibile di contagio diretto da uomo a uomo; quella bubbonica, così detta perché attacca le ghiandole linfatiche facendole gonfiare, trova invece condizioni ottimali in ambienti umidi, caldi e bui e questo spiega perché in luoghi come cantine o stive di navi il batterio possa mantenersi attivo a lungo: la grande pestilenza europea iniziata nel 1347 venne dall’Oriente, ma una volta esaurita si ripresentò per secoli, con una certa regolarità, in zone differenti del continente.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
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Dal 1000 al 1715