La “morte nera”
Alcuni cronisti in epoca medievale indicavano la peste come atra mors, “morte atroce, terribile”. In latino però atrus significa anche “oscuro, cupo” ed è con questo significato che l’espressione venne usata nell’Ottocento dal medico tedesco Justus Hecker, il primo a studiare la storia delle epidemie.
Che cosa è la peste
Alla fine del XIX secolo, in occasione dell’ultima grande pandemia mondiale, venne scoperto a Hong Kong l’agente infettante della malattia: un batterio, chiamato Yersinia pestis dal nome dello svizzero francese Alexandre Yersin che, contemporaneamente al giapponese Kitasato Shibasaburo, riuscì a isolarlo. La peste è un’infezione dei roditori selvatici (oltre ai più comuni topi e ratti, anche scoiattoli, lepri, conigli, marmotte e cammelli), è endemica nelle steppe e negli altopiani asiatici e può trasmettersi anche ai roditori che vivono a contatto con l’uomo. Quando – per le cause più disparate, come per esempio lievi variazioni di temperatura o di precipitazioni – la mortalità tra questi animali diventa molto alta, le pulci ospitate abitualmente nella loro pelliccia possono migrare sull’uomo, contagiandolo con la loro puntura.
Il morbo si può presentare in diversi modi. La forma polmonare si sviluppa in climi più freddi ed è l’unica passibile di contagio diretto da uomo a uomo; quella bubbonica, così detta perché attacca le ghiandole linfatiche facendole gonfiare, trova invece condizioni ottimali in ambienti umidi, caldi e bui e questo spiega perché in luoghi come cantine o stive di navi il batterio possa mantenersi attivo a lungo: la grande pestilenza europea iniziata nel 1347 venne dall’Oriente, ma una volta esaurita si ripresentò per secoli, con una certa regolarità, in zone differenti del continente.