I longobardi
Durante il Risorgimento l’interpretazione del ruolo dei longobardi nella storia della penisola ebbe un ruolo centrale nella storiografia. Alcuni, sulla scorta della riflessione di Machiavelli, facevano risalire all’invasione longobarda e al loro successivo insediamento il frazionamento politico della penisola, fonte di una debolezza che avrebbe segnato l’avvio del dominio straniero; altri, insistendo sulla barbarie longobarda, leggevano invece positivamente il ruolo avuto dal papato nel salvare l’Italia. Attualmente simili interpretazioni sono superate. In primo luogo, come per ogni altra popolazione barbarica, è errato pensare a compagini etniche ben definite e stabili: si tratta infatti sempre di agglomerati dinamici di famiglie e clan di varia provenienza e non di popoli come noi li intenderemmo oggi. Inoltre, la conquista longobarda si inserì in un quadro già sconvolto dalla guerra greco-gotica e sebbene causasse la costituzione di molteplici linee di frontiera con i territori rimasti sotto controllo imperiale, non comportò una rivoluzione né nei luoghi di insediamento, dove le città vescovili mantennero un ruolo fondamentale, né nella dotazione di infrastrutture. Il degrado del tessuto urbano era invece già in atto quando i longobardi giunsero in Italia, e semmai non ebbero i mezzi o le capacità di arrestarlo.
Il percorso di superamento della frammentazione sociale e religiosa fu molto lungo e mai del tutto compiuto e reso più complesso dalle rivalità interne tra re e duchi; al conflitto con Costantinopoli si aggiunsero poi altri attori, il papa, ma soprattutto i franchi, che con maggiore efficacia riuscirono a stabilire una duratura egemonia su gran parte della penisola, ponendosi anche come eredi dell’esperienza politica longobarda.