2. Roma in Oriente e l’ascesa dell’islam

2. Roma in Oriente e l’ascesa dell’islam

L’Impero romano d’Oriente

Nel VI secolo, mentre l’Occidente era in preda all’incertezza, l’Impero romano d’Oriente era in pieno sviluppo economico. Al tempo di Giustiniano (527-65) un solido apparato fiscale sosteneva un esteso circuito di traffici commerciali che collegava stabilmente la capitale, Costantinopoli, con la Siria-Palestina, l’Anatolia, l’Egitto e il Nord Africa, l’Egeo, la Sicilia e l’Italia meridionale. Grandi realizzazioni architettoniche – come la Basilica di Santa Sofia – e culturali – il Corpus iuris civilis – segnarono gli anni di regno dell’imperatore, connotati da riforme nell’amministrazione e dall’espansione militare, sia in Occidente, contro vandali e ostrogoti, sia in Oriente contro i persiani, storico nemico di Roma in Mesopotamia.

Un elemento chiave della politica imperiale fu la ricerca dell’unità religiosa, minacciata da un lato da roventi dispute teologiche, dall’altro dalla varietà di esperienze con le quali i fedeli cercavano di mettere in pratica la più corretta forma di vita cristiana. Il cristianesimo dei primi secoli dovette infatti imporsi con un enorme sforzo di chiarificazione intellettuale ed etica: in particolare, il nodo attorno al quale ruotava gran parte delle controversie riguardava le due nature di Gesù, umana e divina, e in quale rapporto fossero tra loro, nonché i rapporti tra Dio e Verbo incarnato. I concili di Nicea (325) e Calcedonia (451) avevano condannato l’arianesimo, che riteneva vi fosse una differenza di sostanza tra Dio e Gesù, sostenendo di conseguenza la subordinazione del Figlio al Padre. Nel VI secolo si era poi affermata un’altra corrente secondo la quale non vi era alcuna separazione tra natura umana e divina di Cristo ed era perciò chiamata monofisita (dal greco mónos, “unico”, e physis, “natura”). Poiché l’autorità imperiale era legata anche alla capacità di garantire l’unità della comunità cristiana, vari furono i tentativi di conciliazione tra queste posizioni e l’ortodossia niceno-calcedoniana. Nel 553 un importante concilio a Costantinopoli cercò di mediare tra le varie posizioni, ma fallì: ne derivò una secessione delle comunità cristiane monofisite (le Chiese di Armenia, Libano ed Egitto sono ancora oggi monofisite) che complicò il quadro religioso e sociale dell’Oriente romano [▶ Romano/Bizantino].

Qui, nel corso del secolo, ripresero inoltre con vigore le guerre persiane, con il rafforzamento della dinastia sasanide, e solo una lotta di potere tra regnanti (shah) rivali consentì all’imperatore Maurizio di stabilire una pace nel 591. Nel frattempo entrarono in fermento i Balcani, dove si erano stanziate tribù di lingua slava con il supporto degli avari, popolazioni turcofone provenienti dalle steppe dell’Asia centrale. La crisi del potere imperiale innescata dal colpo di Stato di un sottufficiale semibarbaro, Foca (602-610), consentì allo shah Cosroe II di riaprire le ostilità: Siria, Palestina ed Egitto, il cuore economico dell’impero, caddero in mano persiana e nel 626 la stessa Costantinopoli fu assediata. L’imperatore romano Eraclio (610-41) riuscì tuttavia a rovesciare la situazione: attaccò direttamente la Mesopotamia annientando quasi completamente la potenza persiana, mentre i territori perduti vennero riconquistati. Solo pochi anni dopo però romani e persiani dovettero confrontarsi con un nemico devastante: gli arabi.

Romano/Bizantino

L’Impero d’Oriente si è sempre definito “romano” sino alla fine, nel 1453. L’uso dell’aggettivo “bizantino” – che recupera il nome della città (Bisanzio) ricostruita da Costantino e ribattezzata Costantinopoli nel 330 d.C. – è invece moderno e vorrebbe indicare una compagine politica, militare, economica e religiosa autonoma rispetto all’eredità tardoantica dell’Impero romano ancora unitario. La data a partire dalla quale si potrebbe legittimamente parlare di Impero bizantino è oggetto di ampie discussioni storiografiche. Fermo restando, dunque, che si sta parlando di un Impero romano e cristiano, i cui imperatori si sentivano eredi dei Cesari della Roma antica, che i suoi abitanti si definirono Rhomàioi e che i loro stessi avversari musulmani li chiamarono Rum (ossia sempre Romani), una nuova realtà istituzionale, diversa dall’impero tardoantico, è probabilmente ravvisabile tra il VII e l’VIII secolo, quando l’impero perse le grandi province orientali di Siria-Palestina ed Egitto: la riorganizzazione che ne seguì, sul piano amministrativo, militare ed economico, fu molto profonda ed ebbe anche effetti di ordine linguistico (uno su tutti, l’egemonia assoluta del greco), culturale e religioso.

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L’Impero arabo-islamico

L’unificazione delle tribù della penisola arabica sotto i ves­silli della nuova religione predicata dal profeta Muhammad (italianizzato in Maometto, morto nel 632) costituì un fattore di successo militare. La progressiva codificazione dei principi dell’ islam permetteva infatti a tribù storicamente separate e in lotta tra loro un’unità che ne rafforzava l’azione [▶ I pilastri dell’islam].

Nonostante sin dalla morte del profeta la comunità musulmana si fosse divisa sul problema della successione, se spettasse a un esponente dell’aristocrazia della Mecca (sunniti) o a un suo diretto familiare (sciiti), e sebbene gli scontri interni avessero portato all’uccisione di ben due califfi (capi politici militari successori di Maometto) Othman e Ali – rispettivamente cugino e genero di Maometto–, l’espansione militare procedette con rapidità impressionante. I primi a cadere sotto i colpi delle armate arabe furono i persiani: entro gli anni Quaranta del VII secolo tutto l’Impero sasanide fu conquistato stabilmente e Iraq e Iran costituirono la base per l’ulteriore espansione verso il Turkestan cinese e l’Indo [ 2].

Nello stesso brevissimo torno d’anni, anche le regioni più ricche dell’Impero romano, Siria, Palestina, Egitto, appena riprese dai bizantini e in preda a forti controversie religiose, furono conquistate: nel 637, anno in cui fu occupata la capitale persiana, Ctesifonte, cadde anche la Siria e tra il 642 e il 645 gli eserciti arabi erano già in Tripolitania. L’Impero romano, conscio che si trattava di una lotta per la sopravvivenza, resistette, modificando le strutture provinciali e la dislocazione degli eserciti e riuscendo inoltre a mantenere una sostanziale coesione sul piano fiscale, sufficiente per sostenere l’urto arabo e, in seguito, per risorgere su una base territoriale più limitata, gravitante sull’Egeo.

La vittoria riportata da un aristocratico della Mecca, Muawiya (661-80), membro della famiglia degli Omayyadi, sugli altri concorrenti alla carica di califfo consentì il costituirsi di una vera dinastia, con base a Damasco in Siria, capace di coordinare le direttrici dell’espansione militare secondo un piano organico (sino alla penisola iberica e al cuore dell’Asia centrale, entrando in concorrenza con il potente Impero cinese Tang) e di stabilire un principio di governo monarchico, fortemente debitore, in particolare, del modello romano. Gli eserciti e le élite arabe, a differenza di quelle barbariche in Occidente, scelsero di stabilirsi non nelle campagne, ma nelle città, sfruttando il sofisticato sistema di tassazione monetaria che già romani e persiani adottavano, e questo permise loro di gestire grandi ricchezze e di mantenersi separati dalle più numerose società locali non arabe e non musulmane dei territori che conquistavano (con l’eccezione dell’Iraq, l’islam rimase religione minoritaria almeno sino al X secolo nei territori governati dai califfi). Dall’VIII secolo in poi una nuova sintesi culturale, favorita dalle élite musulmane e arabe, dominò le città del mondo islamico dal Mediterraneo all’Asia centrale: letteratura, filosofia e scienza della Grecia classica erano ricomprese in una sintesi originale che produsse una grande quantità di testi letterari, storici, teologici, fisico-matematici; l’Occidente latino li avrebbe tradotti a partire dal XII secolo, traendone grande beneficio.

L’affermazione del principio dinastico provocò rivolte nel mondo musulmano e a queste gli Omayyadi cercarono di ovviare rafforzando l’impronta religiosa del califfato e basando la propria egemonia sui territori di Siria, Palestina ed Egitto. L’opposizione sciita in Iraq portò tuttavia a una rivolta (747) di cui approfittò un nuovo clan, quello degli Abbasidi, discendenti di Abbas, zio paterno di Maometto, che in pochi anni ebbero ragione degli Omayyadi: questi furono tutti sterminati tranne un esponente, Abd al-Rahman I, che si rifugiò nella penisola iberica dando vita all’emirato indipendente di al-Andalus. Gli Abbasidi posero il centro del proprio potere in Iraq, fondando Baghdad, e promossero una duratura fioritura culturale; detennero il titolo di califfi sino alle soglie dell’età moderna, anche se furono in grado di esercitare un dominio effettivo sull’Impero arabo-musulmano solo fino alla metà del X secolo: con le infrastrutture e la logistica dell’epoca era infatti impossibile controllare politicamente a lungo e in modo efficace un territorio che andava dall’Atlantico ai confini cinesi.

I pilastri dell’islam

Le pratiche di culto obbligatorie per ogni buon musulmano sono cinque, dette arkhan, “pilastri”:

– la professione di fede, ossia la testimonianza che non c’è divinità all’infuori di Allah e che Maometto è il suo profeta (shahada);

– l’esecuzione dell’adorazione quotidiana (salah), secondo determinate condizioni di purezza e decoro, in direzione (quibla) della Mecca e per cinque volte al giorno;

– il pagamento di un’imposta (zakah), i cui proventi sono utilizzati a beneficio di poveri e altre categorie di bisognosi (prigionieri, viandanti, debitori inadempienti);

– il digiuno diurno nel mese di Ramadan (sawm);

– il pellegrinaggio (hajj) alla Mecca.

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3. I regni dell’Occidente altomedievale

I vandali
 Tra il V e il VI secolo l’incontro tra la popolazione romana e i più ristretti nuclei barbarici ebbe vari esiti. Secondo le fonti romane ed ecclesiastiche, l’esperienza più ne­gativa fu costituita dal Regno dei vandali in Africa settentrionale, poiché la caduta della ricca provincia africana fu un duro colpo per l’economia dell’Occidente romano e l’aristocrazia senatoria perse grandissima parte delle sue proprietà fondiarie. Questo elemento, insieme con il fatto che i vandali avevano abbracciato l’ eresia ariana e con il saccheggio di Roma del 455, spiegano come, pur durato poco più di un secolo (sino al 533), il dominio vandalo sia diventato per secoli il paradigma della bar­barie e del­l’inciviltà.


I visigoti

I regni in cui, a partire dalla seconda metà del V secolo, l’integrazione romano-barbarica fu invece più efficace furono quelli goti. Nella penisola iberica, fortemente romanizzata, con molte difficoltà si consolidò il Regno dei visigoti (goti occidentali), tra primi del V e la metà del VI secolo. A partire dalla seconda metà del VI secolo, con il re Leovigildo (m. 586) i visigoti procedettero a consolidare il proprio controllo sul territorio (esclusa la fascia costiera a Sud e le province a cavallo dei Pirenei a Nord) della penisola attraverso una serie di campagne militari e a dare unità religiosa allo Stato, abbandonando definitivamente l’arianesimo per abbracciare l’ortodossia nicena.

Una serie di concili svoltisi a Toledo dettarono la linea religiosa e politica del regno e l’alleanza con l’episcopato cattolico. Accanto a gruppi sociali barbarici convissero dunque gruppi sociali romani ed élite di solida cultura [ 3]. Mentre era all’apice della sua forza, il Regno visigoto fu tuttavia distrutto, nel 711, da un esercito arabo-musulmano proveniente dall’Africa settentrionale. Mentre il Nord rimase indipendente e cristiano, tutto il resto della penisola, per cinque secoli, fu ricompreso nell’enorme comunità politico-religiosa musulmana.

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L’Italia tra ostrogoti e longobardi

Il regno costituitosi all’indomani della conquista dell’Italia e dell’Illirico per mano di Teodorico (493-526) fu a lungo l’ago della bilancia politica per gli altri regni romano-barbarici. Re degli ostrogoti (goti orientali), ma anche formalmente comandante in capo dell’esercito alle dirette dipendenze dell’imperatore di Costantinopoli, Teodorico si impegnò a suddividere rigidamente i compiti di governo: ai goti spettava la direzione politica e la difesa armata, ai romani l’amministrazione civile. In questo modo cercava di stabilizzare le genti barbariche entro il quadro di civiltà tardoantico. Questo principio di convivenza, sostenuto da un sistema fiscale che permetteva di riscuotere con regolarità le imposte, contribuì al successo dell’esperimento goto, sino all’attacco dell’Impero romano d’Oriente guidato da Giustiniano.

La guerra che ne seguì, detta “greco-gotica” (535-53), era parte del progetto giustinianeo di riconquistare il Mediterraneo occidentale, che vide infatti anche la caduta dell’Africa vandala. Al termine, la società italica ne uscì sconvolta: le élite civili e religiose – rappresentate dalle Chiese di Roma e Ravenna – si legarono sempre più al­l’Oriente romano piuttosto che tentare la via dell’integrazione, come avveniva nel resto dell’Occidente postromano. Sul piano geografico, questo corrispose a uno scollamento tra le realtà costiere, ancora vivaci sul piano commerciale e produttivo, e quelle più interne (Appennini, Alpi, occidente della Pianura padana), in cui invece la crisi economica incominciò a farsi sentire e le città si spopolarono.

I longobardi

La conquista della penisola italica da parte dei longobardi nel 568-69 confermò i divergenti processi economici e sociali che la penisola stava attraversando. Ne derivò la costituzione di un intricato mosaico territoriale tra terre longobarde, i cui poli furono Pavia e i ducati di Spoleto e di Benevento, e terre imperiali romano-orientali, centrate sull’Esarcato, l’antica provincia bizantina con capitale Ravenna, le coste adriatiche e tirreniche e il Ducato di Roma [▶ I longobardi, p. 28].

Il consolidamento del Regno longobardo tra la metà del VII e la metà dell’VIII secolo, sia sul piano giuridico (Editto di Rotari, 643), politico e sociale, sia sul piano militare, con Liutprando e Astolfo, ne fece un esempio di successo tra i regni postimperiali. Tuttavia, la monarchia longobarda non riuscì a sostenere le proprie ambizioni di controllare come via d’accesso al Mezzogiorno il Ducato bizantino di Roma, sede del papa, il più prestigioso vescovo della cristianità. Sebbene Liutprando confermasse il controllo di alcune località laziali (tra le quali Sutri) [▶ La donazione di Sutri, p. 28], la saldatura di interessi tra Roma e franchi condusse infine allo scontro con i potenti vicini d’Oltralpe: i longobardi furono da essi ripetutamente sconfitti, sino alla conquista del regno nel 774 (salvo Benevento).

Storie. Il passato nel presente - volume 1
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Dal 1000 al 1715