per riprendere il filo

Roma e le sue eredità nell’alto Medioevo

   1. Le eredità di Roma in Occidente


   2. Roma in Oriente e l’ascesa dell’islam


   3. I regni dell’Occidente altomedievale


   4. Il mondo carolingio


   5. Crisi e mutamenti dell’ordinamento carolingio


   6. L’affermazione dei poteri locali

1. Le eredità di Roma in Occidente

L’incontro latino-barbarico

Sino al V secolo, la frontiera settentrionale dell’Impero romano segnava molte differenze tra la civiltà romano-ellenistica e la civiltà barbarica [▶ Barbari/Germani]. Sebbene fossero entrambe disomogenee al loro interno, e nonostante da secoli vi fossero interferenze e scambi, il mondo romano si caratterizzava per essere costituito, generalmente, da una rete di città, dotate di edifici pubblici in pietra e collegate da strade; in queste città, attraversate da grandi disuguaglianze sociali, governava un’élite la cui cultura era basata sulla conoscenza della letteratura latina e greca e sulla capacità di scrittura; al vertice, l’aristocrazia senatoria e imperiale governava una struttura statale complessa e fondata sull’efficacia del sistema fiscale. Inoltre, già dal IV secolo l’Impero romano era un impero cristiano: di conseguenza, cresceva sempre più l’influenza sociale dei vescovi. Meno complesse erano invece l’economia e la cultura materiale dei popoli barbarici, per i quali le identità politico-istituzionali e sociali erano poco definite e spesso mutevoli, legate principalmente all’ascesa al potere di clan e gruppi famigliari.

Durante i secoli V-VII vi furono profonde trasformazioni. Nel V secolo, la tradizionale strategia imperiale nei confronti dei barbari che periodicamente forzavano la frontiera – sconfiggerli militarmente, insediarli in territori periferici e utilizzarli come reclute per l’esercito – fallì, probabilmente per diverse ragioni concomitanti: l’instabilità politica dell’Occidente; la rapida e violenta successione di imperatori senza effettivo potere; il conflitto tra capi militari; la difficoltà in cui si trovarono le élite di elaborare valide soluzioni alternative. Sfuggì dunque al ceto dirigente romano occidentale il governo del processo di assimilazione dei clan barbarici; e quando, negli anni Trenta del secolo, i vandali si insediarono stabilmente nella ricca Africa settentrionale, le entrate fiscali diminuirono e l’impero, a corto di denaro, dovette ricorrere sempre più a eserciti barbari alleati, difficilmente controllabili e che andavano remunerati con grandi estensioni di terra. La divisione tra capi militari di Italia e Gallia condusse infine, nel 476, alla deposizione dell’ultimo imperatore, Romolo Augustolo, al riconoscimento formale del solo impera [ 1].

Quello che seguì non fu un collasso del sistema politico romano. Molti barbari condividevano aspetti della cultura romana, i loro capi erano inquadrati nell’amministrazione e nell’esercito imperiali, conoscevano il latino e in buona parte erano di religione cristiana (sebbene ariani). Tuttavia vi furono importanti cambiamenti. Nonostante le continuità sul piano religioso e culturale, garantite dalla rete episcopale e monastica [▶ Monachesimo], le società romano-barbariche erano infatti caratterizzate dalla predominanza degli aspetti militari ed erano connotate da una minore integrazione commerciale e da una riduzione della produzione artigianale su larga scala. L’unità dell’Occidente, dal Mare del Nord al Sahara, era persa per sempre e la domanda aristocratica di beni di lusso era crollata. Soprattutto, le tasse pubbliche non costituirono più il fondamento della ricchezza dello Stato, sostituite progressivamente da canoni stabiliti sulla coltivazione della proprietà terriera privata. Questo fu un cambiamento di grandissima portata: per secoli in Occidente la forza di uno Stato si sarebbe misurata non più sull’efficacia dell’imposizione fiscale, ma sul possesso della terra.

Anche le società barbariche vissero processi di mutamento. Pur dotate di specifiche tradizioni e credenze (relativamente ai consumi alimentari, per esempio, o, sul piano politico, al ruolo fondamentale che rivestiva l’assemblea pubblica popolare), esse erano tuttavia influenzate da secolari rapporti con il mondo romano-ellenistico e dunque assunsero identità e fisionomie diverse a seconda del successo dell’insediamento sulle terre imperiali, della capacità di distinguersi, o di fondersi, con altri gruppi di famiglie o clan.

Barbari/Germani

La parola “barbaro”, di origine indoeuropea (traslitterata in latino dal greco bàrbaros), indicava inizialmente tutti coloro che non erano greci: è infatti un’onomatopea derivata da bar bar, il suono sgradevole di una lingua straniera agli orecchi di un greco.

A partire dal I secolo a.C. designò tutti coloro che non fossero greci e romani e ricomprese il concetto di “incolto” e “selvaggio”. Con la cristianizzazione, “barbari” furono designati coloro che non condividevano la cultura romano-ellenistica e la religione cristiana.

Il termine “germani”, invece, usato per indicare le popolazioni insediate oltre il confine romano attestato sul Reno, fu introdotto da Giulio Cesare, che li differenziava da altri popoli come celti e sciti. Lo spazio occupato da queste popolazioni, compreso tra i fiumi Reno e Vistola, dal Mar Baltico all’alto Danubio, fu così definito Germania, escludendo popolazioni come per esempio i goti, stanziati tra Mar Nero e basso Danubio.

Ciò che emerge è, in ogni caso, il fatto che queste definizioni non solo non appartengono al mondo “barbarico”, ma anche che sono prive di una base etnica o identitaria: le identità delle società barbariche sono infatti il prodotto di un complesso processo di autoidentificazione, che si realizzerà solo molto più tardi. Oggi, per evitare ogni allusione a presunti rapporti di filiazione diretta tra antichi germani e Germania moderna, si preferisce usare “barbaro/barbarico”, che rispetto a “germano” ha anche il vantaggio di escludere ogni rimando etnico o razziale.

Monachesimo

Le origini del monachesimo risalgono al III-IV secolo d.C. in Egitto e in Siria, dove alcuni cristiani, in violento contrasto con il sistema di valori romano-ellenistico, abbandonarono le città per rifugiarsi nel deserto e condurre vita eremitica. Secondo la tradizione, il primo di questi eremiti fu Antonio (m. 356 ca.). Successivamente alcuni eremiti sperimentarono forme di vita comunitaria in cenobi (dal greco koinòs, “comune” e bìos, “vita”) guidati da un abate (dall’aramaico abbà, “padre”). Il primo a sperimentare questa forma di vita spirituale sembra sia stato Pacomio (m. 346), che scrisse la prima regola monastica.

Il monachesimo, originariamente avversato dalle gerarchie ecclesiastiche (poiché sfuggiva alla guida pastorale dei vescovi), si diffuse rapidamente in Palestina e in Asia minore. Qui, grazie all’attività di Basilio di Cesarea (m. 379), divenne un elemento cardine della vita non solo religiosa, ma anche economica e politica dell’Impero d’Oriente, giocando un ruolo fondamentale quando, nell’VIII secolo, si accese la contesa sul culto delle immagini sacre. Anche in Occidente, per impulso di Martino di Tours (m. 397) le esperienze monastiche conobbero grande diffusione e svolsero un attivo ruolo contro i culti romano-ellenistici, che furono violentemente contrastati. Nella prima metà del VI secolo Benedetto da Norcia (m. 560 ca.) redasse una celebre regola che fu apprezzata da papa Gregorio I Magno e che esercitò un enorme influsso sullo sviluppo del cristianesimo occidentale. Una particolare espressione del monachesimo in Occidente fu quello irlandese, il cui massimo esponente fu Colombano (m. 615): i monaci, la cui vita era improntata a un rigido ascetismo e a una severa preparazione culturale, si insediarono nelle isole britanniche, in Borgogna e in Italia, e furono i protagonisti del processo di evangelizzazione dell’Europa centrale e orientale, accanto alle conquiste franche.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715