8.6 L’Europa centrorientale

8.6 L’Europa centrorientale

Caratteri generali

A parte il caso boemo, anche in altri contesti politici centroeuropei si assisté a processi di rafforzamento delle istituzioni monarchiche analoghi a quanto avveniva in Occidente, ma con alcune peculiarità relative ai rapporti tra sovrano e aristocrazia e alla presenza dell’ingombrante minaccia turco ottomana. Un elemento in comune fu senz’altro il tentativo di elaborare redazioni scritte del diritto consuetudinario e di codici legislativi validi per l’intero territorio, la cui applicazione fu demandata alle leve di giuristi formatisi nelle università di nuova fondazione (Praga, Cracovia, Pécs): gli statuti di Casimiro il Grande in Polonia (1346-62), di Carlo IV in Boemia (1350) e di Stefano Dušan in Serbia (1349). Fondamentale fu anche lo stretto rapporto tra monarchia e istituzioni ecclesiastiche: al tradizionale ruolo del clero nelle cancellerie e nei consigli regi si affiancò l’altrettanto tradizionale funzione di legittimazione del potere regio attraverso figure eminenti di re-santi, tanto in Ungheria quanto in Serbia e in Boemia. Inoltre, i poteri monarchici vissero una fase di consolidamento e ricchezza anche grazie a processi di accentramento delle risorse fiscali, facilitati da ampie risorse minerarie, e alla costituzione di una rete di ufficiali (starosta) dipendenti direttamente dal sovrano con competenze giudiziarie e militari.

Tuttavia, quest’ultimo aspetto della politica regia a lungo andare subì un forte rallentamento a causa dell’ostilità dei ceti cavallereschi e nobiliari, sui quali si fondava un’altra funzione decisiva di queste formazioni politiche: la lotta contro gli ottomani. Se dunque ancora agli inizi del XIV secolo grandi sovrani carismatici, come Casimiro il Grande o Carlo IV, avevano tenuto a freno le tendenze centrifughe della nobiltà nei loro regni, in seguito la tendenza si invertì e solo occasionalmente alcuni re, come l’ungherese Mattia Corvino (1458-90), riuscirono a esercitare un efficace controllo sociale. Questa preminenza sociale aristocratica si manifestò in tre modi evidenti:

  • attraverso la centralità delle assemblee nobiliari, che avevano voce in capitolo in tutte le decisioni fiscalmente e politicamente significative e che si costituirono come rappresentanza “nazionale” dinanzi a sovrani che provenivano spesso da dinastie straniere;
  • attraverso un ordinamento militare che garantiva all’aristocrazia il controllo dei meccanismi di mobilitazione dell’esercito;
  • attraverso un ampio controllo delle rendite fondiarie, cui erano collegati anche diritti di tipo signorile, e dei ceti contadini.

Vi è da aggiungere inoltre che l’Europa centrorientale era un territorio a scarsa urbanizzazione, in cui le poche città di una qualche rilevanza (Cracovia, Breslavia, Danzica, Stettino in Polonia, Praga in Boemia, alcuni centri sul Baltico) avevano ridotta consistenza demografica e un’articolazione sociale semplice, dominata, anche nei centri commerciali più vivaci, da capitali e mercanti tedeschi ed ebrei: tutto ciò rendeva deboli le borghesie locali dinanzi all’egemonia aristocratica e limitava fortemente la loro influenza nei processi di decisione politica.

Il Regno d’Ungheria

Un notevole fermento politico caratterizzò nel XIV-XV secolo i Regni di Ungheria e di Polonia. In Ungheria, tra il 1308 e il 1387, estintasi la dinastia degli Árpád [▶ cap. 4.5], grazie all’appoggio del papato dominò un ramo della casa francese degli Angiò. Si trattò di una fase di grande dinamismo politico, che vide il regno ungherese, in particolare con Luigi I il Grande (1342-82), impegnarsi direttamente nella conquista o nel controllo dei territori balcanici fino alle coste adriatiche, cercando di opporsi all’espansione ottomana e intervenendo anche – come vedremo più avanti – nei conflitti interni alla corona angioina di Napoli. Dopo gli Angiò, l’Ungheria vide l’ascesa al trono di un esponente della casata di Lussemburgo, Sigismondo, che, insieme con la corona imperiale, assommò anche quelle ungherese e boema. Entrambe, insieme con quella di Polonia, passarono poi al successore di Sigismondo, Ladislao III Jagellone, che morì nel 1444 nella battaglia di Varna, sul Mar Nero, contro gli Ottomani.

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In questo complicato scacchiere geopolitico solo Giovanni Hunyadi, governatore di Transilvania e poi reggente del trono ungherese, l’epirota Giorgio Castriota Skanderbeg (Gjergj Kastrioti Skënderbeu, 1403 ca.-67) e il terribile Vlad III di Valacchia (1431-76 ca.) sostenevano con successo lo scontro con i turchi [▶ protagonisti, p. 270]. Alla morte di Skanderbeg tuttavia gli ottomani dilagarono nei Balcani meridionali, mentre l’eredità politica di Hunyadi fu raccolta dal figlio, Mattia Corvino (1458-90). Appena eletto re, Corvino dovette affrontare la rivolta hussita e l’espansione turca, contro la quale cercò invano di mobilitare le potenze occidentali. Intraprese un’ampia politica espansionistica [ 10], accompagnata da un’intensa attività culturale. Alla morte senza eredi di Mattia Corvino la corona d’Ungheria fu offerta al re di Boemia Ladislao VII, nella speranza che un unico Stato boemo-ungherese, con l’appoggio della Polonia e della Lituania, potesse validamente opporsi all’espansione ottomana nella regione balcanica.

La sconfitta contro i turchi nella battaglia di Mohács nel 1526 decretò la fine dalla monarchia degli Jagelloni in Ungheria, i cui territori risultarono divisi tra Impero ottomano e domini della casata imperiale degli Asburgo, imparentata con gli Jagelloni.

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Il regni di Polonia e Lituania

Nel XIV secolo la Polonia attraversò un momento di grande fervore politico e culturale sotto la dinastia dei Piasti, in particolare con Casimiro il Grande (1333-70), ma una crisi dinastica tra gli anni Settanta e Ottanta consentì il passaggio del regno prima agli Angioini ungheresi, poi al granduca di Lituania Jogaila (in polacco Jagiełło), che governava un ampio territorio compreso tra le attuali Lituania, Bielorussia e Ucraina e che assunse la corona polacca con il nome di Ladislao II Jagellone, riunendo così i due regni (Unione di Krewo, 1386) [ 11]. Ladislao condusse vittoriosamente il confronto contro il Principato di Prussia retto dal Gran Maestro dell’Ordine teutonico, uno Stato nato in seguito alle crociate del Duecento condotte nel XIII secolo per costringere alla conversione i lituani e gli altri popoli pagani del Nord Europa e del Baltico [▶ cap. 4.5]. Nel 1410 l’esercito polacco sconfisse duramente i Cavalieri teutonici nella battaglia di Tannenberg (Grünwald per i polacchi) e la conquista di Danzica, strappata agli stessi teutonici nel 1466, completò l’annessione di gran parte del territorio prussiano (salvo la Livonia, coincidente all’incirca con l’attuale Estonia), ponendo le basi per il rafforzamento dell’egemonia della famiglia degli Jagelloni sul grande Regno polacco-lituano sino alla seconda metà del Cinquecento.

Il Granducato di Mosca

All’apogeo della propria potenza, il Regno polacco-lituano confinava a est con alcune formazioni politiche slave e slavo-mongole dipendenti o derivate dal Khanato dell’Orda d’oro, che aveva sconfitto il più antico Principato di Kiev [▶ cap. 7.1]. La costante presenza mongola favorì, all’interno delle società slave coordinate sul piano istituzionale dai granducati di Novgorod e Mosca, il consolidamento dell’aristocrazia militare e del cristianesimo ortodosso di matrice costantinopolitana: nel 1326, infatti, la sede del metropolita ortodosso fu spostata da Kiev a Vladimir, nei pressi di Mosca, e poco dopo il duca Ivan I ricevette dai mongoli ampie prerogative fiscali. Questi due elementi, il controllo delle entrate fiscali e la centralità dell’aspetto religioso, insieme con la favorevole congiuntura geopolitica (la sconfitta dei mongoli del Khanato dell’Orda d’oro da parte di Tamerlano [▶ cap. 7.2]), favorirono tra la fine del XIV e il XV secolo l’ascesa del Granducato moscovita, così denominato dopo l’annessione del Granducato di Vladimir.

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Successivamente Ivan III il Grande (1462-1505) seppe abilmente porsi come erede politico e religioso dell’Impero bizantino ormai caduto: sposò Sofia, nipote dell’ultimo imperatore Paleologo, Costantino XI, e si proclamò difensore della fede ortodossa, ritagliando per Mosca il ruolo di erede di Roma, dopo Costantinopoli. Un’efficace iniziativa militare e diplomatica consentì a Ivan, da un lato, di stabilire la propria egemonia su Novgorod, sino a conquistarla nel 1478, e su altri principati russi indipendenti [ 12]; dall’altro, di approfittare delle divisioni e delle debolezze dei khanati mongoli per respingere l’attacco del khan dell’Orda d’oro, Achmat, nel 1480 [ 13]. Sebbene già con il padre di Ivan, Basilio II (1425-62), Mosca si fosse resa sostanzialmente autonoma dai mongoli, questa data viene ricordata dalla storiografia russa come la liberazione dal “giogo tataro”. Questa politica espansionistica si diresse poi verso occidente, avendo necessità di limitare l’influenza del Granducato lituano: furono stabilite relazioni diplomatiche con l’Ungheria e l’Impero, con la Danimarca, per via dell’accesso al Baltico che la conquista di Novgorod aveva comportato, e con la Lituania stessa, con la quale si giunse nel 1494 a un trattato che riconosceva a Ivan l’egemonia sulle terre russe dello Stato lituano.

La supremazia militare e ideologica del principe di Mosca si tradusse anche in una accentuata centralizzazione politica e amministrativa all’interno del principato: per esempio, nel 1497 fu promossa un’ampia raccolta legislativa che limitava i poteri dell’alta nobiltà fondiaria (i boiari), i cui interessi erano espressi da un organismo collegiale, la Duma.


  protagonisti

Dracula: alle origini della leggenda nera

La ferocia del conflitto nei Balcani tra forze cristiane e ottomane spiega la nascita di leggende spaventose, come quelle che circondarono le imprese di Vlad II e soprattutto del figlio, Vlad III Tepes˛ (“l’impalatore”), principi rumeni e governatori di Valacchia.

L’origine del nome Dracula deriva da Vlad II, che faceva parte di un ordine cavalleresco chiamato “Sacro Ordine del Drago”, fon­dato nel 1408 dall’imperatore Sigismondo IV in funzione anti­ottomana. Come in altre lingue europee, in romeno Drac, “drago”, significa anche “diavolo”: per le sue atrocità in battaglia, il nome Vlad II Dragonul (Vlad il Drago) venne quindi mutato in Dracul (il Diavolo). Il termine Draculea, “Figlio del Diavolo”, identificò così il principe Vlad III.

Un sanguinario difensore della fede

Dopo la sconfitta di Varna nel 1444, il giovane Vlad fu inviato – appena tredicenne – in ostaggio a Edirne, presso la corte del sultano Murad II X, dove ricevette un’educazione religiosa e militare. Nel 1456, morto il padre per mano degli ungheresi, i turchi gli concessero di riconquistare il controllo della Valacchia. L’obiettivo degli Ottomani era controllare la politica del nuovo governatore, ma questi si rese presto autonomo. La sua “leggenda nera” nacque dall’abitudine di far impalare i propri nemici, un vero e proprio strumento di tortura e di terrore propagandistico. Salutato da Roma e dalle altre potenze europee come salvatore della cristianità, alla fine fu sconfitto dai turchi.

Al termine della guerra Vlad trascorse alcuni anni (1462-74) come prigioniero alla corte del sovrano ungherese Mattia Corvino, che lo voleva tenere con sé per evitare altri conflitti con la potenza ottomana.

Dal racconto delle gesta di entrambi i Vlad, narrate per la prima volta in un’opera russa della seconda metà del XV secolo, trasse spunto lo scrittore irlandese Bram Stoker per il suo Dracula, pubblicato nel 1897. Facendo ricerche sulla Valacchia, nelle cui leggende era presente la figura del vampyr, il non-morto che si nutre del sangue dei vivi, Stoker si imbatté in Vlad e il vampiro si trasformò in conte Dracula.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715