8.4 Monarchia, nobiltà e città nei regni di Castiglia e Aragona

8.4 Monarchia, nobiltà e città nei regni di Castiglia e Aragona

La Castiglia

La guerra permanente sulle frontiere del Regno di Castiglia-León contro gli Stati musulmani aveva garantito al potere monarchico fin dal XII-XIII secolo l’appoggio dell’aristocrazia, un ceto dai caratteri spiccatamente militari che dalla corona riceveva terre e diritti di governo locale in modo assai simile al mondo carolingio. Quando però questo potere iniziò a essere intaccato dallo sviluppo di signorie territoriali e di castello i sovrani svilupparono un sistema di governo e di esercizio della giustizia a livello locale basato su funzionari. Tale sistema, forte dell’enorme patrimonio fondiario controllato dal sovrano, di un’efficace sistema di tassazione e del ruolo ideologico centrale del re come guida della cristianità contro gli infedeli, all’indomani della vittoria contro i musulmani ottenuta da Alfonso VIII a Las Navas de Tolosa (1212) [▶ cap. 4.6] fu esportato anche nei territori centromeridionali della penisola.

Alla metà del XIV secolo questo controllo da parte della monarchia, che si avvaleva della crescita di un ceto di funzionari specializzati e giuristi universitari (i letrados), si ridusse a vantaggio dell’aristocrazia. Il processo si incrociò con una guerra civile, scoppiata già negli anni Trenta, che portò nel 1369 all’ascesa al trono di Enrico II di Trastámara (1369-79), fratello illegittimo del sovrano deposto, Pietro I il Crudele: le lotte interne infatti da un lato tendevano a generare ampie concessioni fiscali a favore di aristocratici e comunità urbane – per convincerli a schierarsi con l’una o l’altra parte –, dall’altro facevano lievitare le necessità di denaro per pagare le milizie.

L’aristocrazia approfittò di questi rivolgimenti per assumere il controllo di ampi territori (estados) comprendenti più città e per far valere i propri interessi nelle ▶ Cortes; tuttavia i sovrani erano riusciti a mantenere il controllo di alcune entrate fiscali fondamentali, come la tassa sui commerci, che resero la corona castigliana una delle più ricche d’Europa. Dagli anni Novanta del Trecento, però, la monarchia non fu più in grado di esercitare questo potere in modo stabile: alla metà del XV secolo le entrate fiscali erano molto diminuite e le varie fazioni aristocratiche si disputavano il controllo effettivo del potere.

La confederazione catalano-aragonese

Nel corso del XIII secolo il Regno di Aragona visse un momento di grande dinamismo militare ed economico, sorretto da due poli sociali e politici: da un lato la dinastia regia, dall’altro le élite catalane, in particolare barcellonesi, le cui ricchezze provenivano tanto dall’attività mercantile quanto da quella militare. Esauritasi la possibilità di estendere il proprio controllo sul Mezzogiorno francese in seguito alle vicende della crociata anticatara [▶ cap. 6.1], la monarchia aragonese si volse con vigore alla guerra contro i poteri musulmani. Partecipò alla vittoriosa battaglia di Las Navas de Tolosa e conquistò, nel corso degli anni Trenta, le isole Baleari e Valencia, impegnandosi poi nell’ulteriore espansione nel Mediterraneo. Ne risultò una confederazione di entità statuali – Aragona, Catalogna, Valencia, Maiorca – i cui ceti dirigenti negoziarono in forme diverse le loro modalità di partecipazione alla politica del regno.

Il controllo, non senza conflitti e difficoltà, della Sardegna e della Sicilia, cadute – come vedremo in seguito – in mano aragonese sul finire del XIII secolo, garantì al regno un’ampia possibilità di manovra nei traffici commerciali con il Levante e il Nord Africa, consentendogli di rivaleggiare con Pisa e Genova e i loro mercanti. Una simile politica espansionistica aveva bisogno di grandi capitali per essere finanziata, e dunque costante fu il ricorso al credito, garantito da banchieri catalani e italiani, e alla leva fiscale. Tuttavia, l’imposizione di tasse fu sempre subordinata all’approvazione da parte delle Corts di Catalogna e Valencia, che ispiravano la loro azione a una teoria del governo di tipo contrattualistico, sul modello inglese. Nel 1359 fu istituito un organo permanente di controllo fiscale e amministrativo, la Generalitat, che pose dei limiti a ulteriori forme di accentramento da parte della monarchia. Questa peraltro risultò, nella seconda metà del secolo, sempre più indebolita da una lunga guerra con la Castiglia, che vide anche il re aragonese schierarsi a favore di Enrico di Trastámara.

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L’unificazione delle corone castigliana e aragonese

Una crisi dinastica in Aragona condusse, nel 1412, all’avvento del principe castigliano Ferdinando di Trastámara (1412-16), nipote di Enrico, sotto il quale il Regno aragonese riprese l’iniziativa politica nel Mediterraneo. Nel 1442 il figlio di Ferdinando, Alfonso il Magnanimo (1416-58), giunse a conquistare Napoli, stabilendo un’egemonia commerciale e culturale sul Mediterraneo occidentale

[ 6]. Alla sua morte, tuttavia, la situazione degenerò in una guerra civile decennale che di nuovo coinvolse anche la Castiglia. Il conflitto fu risolto soltanto nel 1469, quando Isabella, erede al trono castigliano, sposò Ferdinando, erede al trono aragonese: la definitiva unificazione avvenne poi nelle mani di Ferdinando detto “il Cattolico”, nel 1479.

Il processo di integrazione tra i due regni, dalla composizione sociale e dagli interessi commerciali e strategici molto diversi, fu molto lento e contrastato, sebbene entrambi si dotassero di strutture amministrative e istituzionali simili, in grado di mediare fra tendenze accentratrici sempre più forti da parte dei sovrani e ruolo politico delle élite signorili e urbane. Un elemento unificante e legittimante del potere regio iberico fu dato dalla religione: nel 1481 fu lanciata l’ultima campagna militare della cosiddetta reconquista contro Granada, emirato musulmano governato dalla dinastia nasride sin dal 1231, ascesa al trono in seguito alla crisi degli Almohadi [▶ cap. 4.6]. La città fu conquistata nel 1492, anno in cui, oltre all’avvio dell’impresa atlantica di Cristoforo Colombo, la monarchia promosse l’espulsione degli ebrei dal regno [ 7]: la corona puntava decisamente sulla cristianizzazione delle comunità iberiche, con l’aiuto determinante e inflessibile del tribunale dell’Inquisizione, guidato dal domenicano Tommaso di Torquemada (1420-98).

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8.5 Il Regno di Germania e l’Impero

Una monarchia elettiva

A differenza di quanto accadeva in Francia e Inghilterra, la successione al Regno di Germania fu sempre caratterizzata dall’elezione e non dall’ereditarietà, nonostante i tentativi di importanti famiglie che, nel corso del tempo, cercarono di imporre un principio dinastico, come gli Svevi o, fra Tre e Quattrocento, la casata dei Lussemburgo. La debolezza del potere regio, che non poteva disporre di un sistema fiscale nemmeno lontanamente simile a quello delle grandi monarchie europee, ebbe notevoli conseguenze anche per l’Impero. Anche quando il lungo interregno seguito alla morte di Federico II di Svevia si concluse con l’elezione e l’incoronazione di Rodolfo d’Asburgo nel 1273, le basi materiali del potere regio e imperiale furono molto scarse, poggiando sostanzialmente solo sui patrimoni della famiglia da cui proveniva l’imperatore. Dominavano la scena politica, invece, i grandi principi territoriali tedeschi (insieme con la Borgogna, a ovest) e alcune città settentrionali (Lubecca, Colonia) e meridionali (Norimberga, Augusta).

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Nel 1356 l’imperatore Carlo IV di Lussemburgo emanò la Bolla d’oro, un documento che, oltre a stabilire norme fondamentali relative all’indivisibilità dei principati e alla cessione ai principi di diritti di natura pubblica (zecca, miniere, giurisdizione di ultima istanza), regolava l’elezione imperiale, assegnandone l’incarico a sette Grandi principi elettori, quattro laici – il duca di Sassonia, il marchese di Brandeburgo, il conte del Palatinato e il re di Boemia – e tre ecclesiastici, gli arcivescovi di Magonza, Treviri e Colonia [▶ FONTI].

Alla metà del XV secolo non rimaneva più nulla di terre e diritti imperiali e nemmeno i tentativi degli imperatori della casa d’Asburgo Federico III e Massimiliano I di imporre una tassa generale su tutti i territori ebbero successo. L’Impero si trovava sostanzialmente a essere un’entità priva di spessore concreto, ma che tuttavia rivestiva un alto ruolo cerimoniale e di legittimazione ideologica dei poteri che concretamente operavano sul territorio. La definizione assunta a partire dal 1474, Sacro Romano Impero di nazione germanica, segnò inoltre il completo distacco dall’intervento pontificio (l’ultima incoronazione papale di un imperatore avvenne nel 1452) e dal mondo mediterraneo, nel quale più volte era stato costretto a intervenire nel corso dei secoli.

Länder, Stati territoriali e parlamenti

L’articolazione territoriale nell’area imperiale era costituita dai Länder: si trattava di territori generalmente compatti sul piano topografico, retti da un signore sulla base di un comune diritto consuetudinario e comprendenti istituzioni diverse (città, signorie fondiarie) tra le quali vigevano patti di pace territoriale (Landfriede). Tra il XIV e il XV secolo la geografia di questi territori si consolidò secondo questo schema:

  • a est e a sud, soprattutto nell’area alpina e in Baviera, si trovavano Stati territoriali molto ampi, in cui si svilupparono esperienze di governo centralizzato e che costruirono una propria identità “nazionale” sulla base di tradizioni risalenti all’epoca carolingia;
  • nella zona del Reno, area di maggiore urbanizzazione, le formazioni territoriali erano molto più frazionate;
  • a nord, lo sviluppo di sistemi territoriali omogenei arrivò solo nel tardo Quattrocento, dopo una lunga fase di frazionamento territoriale.

È in questa varia compagine territoriale che giunsero a costruirsi poteri di tipo statale, sia in ambito laico che ecclesiastico, capaci di intervenire efficacemente in merito all’articolazione burocratica, giudiziaria, fiscale e militare. La mediazione tra i vari ceti e formazioni sociali – nobili, clero, città, più tardi anche comunità rurali – si strutturò progressivamente, tra il XIV e il XV secolo, in istituzioni locali di tipo parlamentare (Landtag), analogamente a quanto avveniva a livello imperiale con la creazione di un ▶ Reichstag in cui si riunivano i principi dell’Impero e i rappresentanti delle maggiori città.

FONTI

La Bolla d’oro di Carlo IV (1356)

Carlo IV di Lussenburgo fu incoronato imperatore a Roma il 5 aprile 1355, un anno dopo la morte di Cola di Renzo per opera dell'aristocrazia romana. Nel 1356 Carlo emanò un decreto per stabilire le norme de elezione dell'imperatore, norme che rimasero valide sino al 1806. Promulgata in due fasi, la Bolla stabilì che l'imperatore sarebbe stato scelto dai sette Grandi elettori tedeschi e che sarebbe stato incoronato in Germania. Il legame fortissimo che il titolo imperiale aveva sempre avuto, sin dall'età carolingia, con Roma e il papato venne meno e così anche l'Italia fuoruscì, sostanzialmente, dall'orizzonte politico imperiale. Qui di seguito una parte del dispositivo relativa alle prime frasi dell'elezione.

Dopo che gli elettori o i loro delegati saranno entrati nella città di Francoforte, immediatamente il giorno dopo, all’alba, facciano cantare una messa dello Spirito santo alla presenza di tutti loro, nella chiesa di San Bartolomeo apostolo, affinché lo Spirito santo illumini i loro cuori e infonda ai loro sensi il lume della sua virtù, cosicché essi, sostenuti dal suo aiuto, abbiano la capacità di eleggere un uomo giusto, buono e adatto come re dei Romani e futuro Cesare, per la salvezza del popolo cristiano. Svoltasi in tal modo la messa, tutti gli elettori o i loro delegati accedano all’altare sul quale è stata celebrata la messa. Lì i principi elettori ecclesiastici, davanti al Vangelo di san Giovanni «In principio erat verbum»1, che deve essere posto dinanzi a loro, portino le mani al petto in segno di devozione; invece i principi elettori laici tocchino materialmente il Vangelo con le loro mani; tutti, insieme al loro seguito, dovranno assistere disarmati. L’arcivescovo di Magonza darà loro il formulario del giuramento ed assieme a lui tutti gli elettori o i rappresentanti degli elettori assenti presteranno giuramento in lingua volgare2 secondo la seguente formula: «Io … arcivescovo di Magonza, arcicancelliere del Sacro Impero per la Germania e principe elettore, giuro per i santi Vangeli di Dio posti qui davanti a me che io per la fede, con la quale mi sono obbligato a Dio e al Sacro Romano Impero, secondo ogni mia capacità di giudizio e intelletto, con l’aiuto di Dio voglio eleggere a capo temporale del popolo cristiano, cioè a re dei Romani, che dovrà essere promosso Cesare, chi sia idoneo, secondo quanto la mia ragione e coscienza mi indirizzano, e secondo la fede; darò il mio voto e la mia voce, ovvero l’elezione, senza alcun patto, stipendio, ricompensa o promessa o qualsiasi altro nome abbia tale genere di favori. Così mi assistano Dio e tutti i santi».


Monumenta Germaniae Historica, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, XI, trad. T. di Carpegna Falconieri (con adatt.)

La dimensione centroeuropea

Nonostante fosse ancora ben presente agli imperatori tedeschi la dimensione universalistica che l’istituzione aveva avuto sino alla metà del Duecento, l’area del loro effettivo intervento si era progressivamente ristretta all’Europa centrorientale e al controllo delle vicende che interessavano lo sviluppo del Ducato di Borgogna e della Confederazione di comunità svizzere, costituitasi autonomamente ai margini occidentali delle terre degli Asburgo austriaci tra la fine del XIII e la metà del XIV secolo [ 8].

Nell’Europa centrale, particolarmente rilevante fu l’esperienza del Regno di Boemia, poiché fu l’unica entità politica slava a entrare a far parte dell’Impero. Ciò accadde in seguito a un lungo processo che, iniziato già nel X secolo, trovò compimento nel XIII secolo e fu condotto con ancora maggior vigore con il casato di Lussemburgo, a partire dal 1310. Sotto il lungo regno di Carlo IV (1347-78) Praga divenne una vera città capitale e vi fu fondata l’università, la prima in Europa a oriente del Reno. Le grandi risorse del demanio regio e i ricchi proventi delle miniere d’argento furono impiegati in una politica di consolidamento del potere centrale sia all’interno sia all’esterno del regno, concretizzatasi anche nella temporanea conquista di altri principati, come quello di Brandeburgo. Sotto il successore, Venceslao IV (1376-1400), l’alta aristocrazia favorita da Carlo fu estromessa dalla scena politica a favore di ceti sociali borghesi o piccolo-aristocratici e questo provocò una crisi politica.

A questa si aggiunsero anche forti tensioni religiose, innescate dalla predicazione di Jan Hus (1370 ca.-1415), maestro di Arti all’Università di Praga, che, ispirato dalle idee del francescano inglese John Wycliff (1331-84), condannava la mondanità e le ricchezze degli ecclesiastici e guardava alle Sacre Scritture come all’unica autorità in materia di fede, contestando in questo modo i fondamenti giuridico-religiosi del papato. Osteggiato dal vescovo di Praga e condannato dall’università, Hus proseguì nelle campagne la sua opera di predicazione in boemo; invitato a ritrattare le sue idee al Concilio di Costanza nel 1415, Hus rifiutò, ritenendo di non essere in contrasto con il dettato della Scrittura, per questo fu condannato al rogo.

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Dopo la sua morte si sviluppò un movimento hussita che teneva insieme sia l’aspetto “nazionale” della sua predicazione (legato in particolare all’uso del boemo come lingua di predicazione e come lingua colta), sia quelli più direttamente teologici e religiosi: Hus, pur mantenendo alcuni punti fondamentali della dottrina cattolica, riteneva infatti che la vera Chiesa fosse la comunità dei predestinati alla salvezza, unita nella fede e nell’osservanza della legge di Dio, e non la corrotta istituzione ecclesiastica, di cui ripudiava il principio gerarchico. Il nuovo re boemo, Sigismondo, che era anche imperatore, re d’Ungheria e di Germania, tentò di reprimere la rivolta dei sostenitori dell’hussitismo, tra i quali vi era un’ala radicale denominata ▶ taborita, finché nel 1434 si giunse a un accordo: Sigismondo accolse le istanze più moderate, come la concessione della libertà religiosa e l’accesso degli hussiti alle cariche pubbliche. La situazione si compose definitivamente e in modo più stabile con la riconciliazione tra Chiesa hussita e papato e, sul piano politico, con l’ascesa al trono di Giorgio di Podĕbrady (1458-71), nobile hussita che ridiede vigore al sentimento nazionale boemo e ripristinò un costante afflusso di risorse finanziarie grazie al controllo delle miniere d’argento [ 9].

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715