8.1 La Guerra dei Cent’anni

Per riprendere il filo…

Tra l’XI e il XIII secolo, lo sviluppo di sistemi amministrativi sempre più complessi nelle monarchie europee andò di pari passo con l’impiego degli strumenti propri del diritto feudale, al fine di raccordare alla corona i numerosi poteri signorili che esercitavano quote significative di diritti pubblici sul territorio. Questi processi avvennero non senza aspri conflitti, sia all’interno delle compagini monarchiche (si ricordi il confronto tra re e aristocrazia inglese ai primi del Duecento), sia tra monarchie concorrenti (per esempio la concorrenza tra i regni di Inghilterra e Francia per il controllo di territori strategici in terra francese). Un caso diverso fu quello dell’area compresa nell’Impero germanico, dove la fine della dinastia sveva comportò un lungo e difficile interregno.                                   

8.1 La Guerra dei Cent’anni

Conflitti di regalità

I processi di consolidamento delle monarchie europee avvennero in un contesto internazionale segnato da conflitti. Il più noto, e quello che maggiormente segnò gli sviluppi futuri delle monarchie inglese e francese, fu la cosiddetta Guerra dei Cent’anni (1337-1453). Come si è visto in precedenza, il confronto tra le due corone risaliva, se non già alla conquista normanna del Regno anglosassone, almeno a Enrico II Plantageneto, re d’Inghilterra e vassallo del sovrano francese in virtù del possesso di ampi territori sul continente, e alla successiva iniziativa francese, coronata dal successo ottenuto da Filippo Augusto nella battaglia di Bouvines (1214) [▶ cap. 4.3]. Tra la fine del XIII e i primi del XIV secolo, inoltre, i rapporti tra le due corone si erano inaspriti a causa dell’appoggio che i sovrani francesi fornivano a una parte dell’aristocrazia scozzese, desiderosa di affrancarsi dalla corona inglese per dar vita a un regno autonomo. L’ambiguità del legame feudale, tuttavia, che legittimava gli interessi inglesi nel controllo di territori strategici (la zona fiamminga, l’Aquitania), fu la causa principale del lungo conflitto.

La prima fase del conflitto

Causa scatenante del lungo conflitto fu lo scontro per la successione al trono francese quando la discendenza diretta della dinastia capetingia si estinse. Nel 1328 Carlo IV morì senza eredi e fu fatto valere il principio dell’illegittimità di una successione femminile: i pretendenti legati appunto per via femminile ai Capetingi, Edoardo III (1327-77) re d’Inghilterra e Filippo III re di Navarra, furono dunque esclusi e la corona passò al cugino Filippo VI, primo della casata dei Valois. Nel 1337, tuttavia, approfittando del conflitto che opponeva le città fiamminghe e la monarchia francese, Edoardo rispolverò le vecchie pretese al trono di Francia: sbarcò in forze nei Paesi Bassi e diede inizio alla guerra. L’intervento militare fu coronato dal successo: la vittoria navale a l’Écluse nel 1340 e una grande vittoria campale a Crécy nel 1346 consentirono agli inglesi di conquistare, l’anno successivo, lo strategico porto di Calais; in seguito a un’altra vittoria, a Poitiers nel 1356, il nuovo sovrano francese, Giovanni II (1350-64), fu addirittura preso prigioniero [ 1].

In queste battaglie si scontravano due diverse concezioni della guerra e dell’organizzazione militare: dal lato francese, il perno dell’esercito era costituito dalla cavalleria pesante corazzata, reclutata secondo i meccanismi propri della leva feudale, ispirata da modelli di gloria guerriera e di spirito cavalleresco; da parte inglese, l’esercito era composto da una disciplinata élite di professionisti assoldata dalla corona e guidata da capitani con i quali venivano stipulati dettagliati contratti, cui si aggiungevano contingenti di ▶ coscritti provenienti da ciascuna contea del regno, addestrati all’uso dell’arco lungo (longbow), arma che si era rivelata micidiale contro le cavallerie nelle guerre contro gallesi e scozzesi.

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Una grande rivolta contadina scoppiata nel 1358 (la jacquerie, che studieremo in dettaglio nel prossimo capitolo) aggravò la situazione per la monarchia francese, costretta nel 1360 a sottoscrivere una pace a Brétigny: con essa il figlio del re prigioniero, Carlo, riconosceva agli inglesi il controllo di ampi territori, mentre Edoardo rinunciava alla corona francese.

La seconda fase

Nel 1369 il conflitto riprese, stavolta con esiti più favorevoli agli eserciti francesi, che riuscirono a contenere la superiorità militare inglese adottando una tattica di logoramento, con rapide incursioni e senza affrontare il nemico in battaglia campale. Nel 1380, quando morì Carlo V, molte posizioni erano state riconquistate e i possedimenti inglesi si erano ridotti a poche roccaforti in Aquitania (o Guienna) e nel Nord. Negli ultimi anni del secolo si giunse a un riavvicinamento tra gli avversari: fu concordata una tregua nel 1389 e nel 1396 il re inglese Riccardo II sposò la figlia del re di Francia. I problemi maggiori per la corona francese vennero tuttavia da due fattori:

  • la debolezza del nuovo re, Carlo VI (1380-1422), che rese il paese ingovernabile e preda delle ambizioni dell’alta aristocrazia;
  • l’ambiguità politica dei grandi principi, alcuni dei quali vedevano nella presenza inglese un’occasione per accrescere i propri poteri sottraendosi a quel processo di accentramento del potere regio che, come abbiamo visto [▶ cap. 4.2], era in corso da oltre un secolo.
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Prima la minorità anagrafica del sovrano, salito al trono nemmeno dodicenne, poi – a partire dal 1392 – la sua conclamata follia diedero occasione a due principi irriducibilmente nemici, Luigi I duca d’Orléans, fratello di Carlo, e Filippo II l’Ardito duca di Borgogna e conte di Fiandra [ 2], zio di Carlo e di Luigi, di disputarsi il controllo effettivo della corona. Attorno a loro si formarono due fazioni: gli Orleanisti, detti anche Armagnacchi per un legame familiare di Luigi con i conti di Armagnac (regione della Francia sudoccidentale), e i Borgognoni. Quando, nel 1407, Luigi d’Orléans fu assassinato in seguito a una trama ordita dal figlio di Filippo, Giovanni Senza Paura, scoppiò un aspro conflitto, durante il quale la fazione dei Borgognoni, per sopraffare gli avversari, cercò l’alleanza con la corona inglese, che nel frattempo, in seguito a complesse vicende dinastiche, era passata sotto il controllo della potente casata dei Lancaster.

La fase finale

Con l’ascesa al trono di Enrico V di Lancaster (1413-22) l’Inghilterra riprese le ostilità contro la debole corona francese, sul piano sia diplomatico che militare. Dopo aver trattato la neutralità dei Borgognoni, nel 1414 Enrico rivendicò ufficialmente il trono francese chiedendo in sposa Caterina, figlia di Carlo VI. Naufragato questo tentativo, nel 1415 il sovrano inglese intavolò una dura trattativa per ritornare all’equilibrio territoriale stabilito a Brétigny, con l’aggiunta della Provenza. Si trattava di condizioni inaccettabili e a una controproposta francese Enrico rispose con l’invasione.

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Presso il villaggio di Azincourt, nel 1415, la fanteria e gli arcieri inglesi sbaragliarono ancora una volta il più numeroso e pesantemente armato esercito francese, che lasciò sul campo migliaia di caduti [ 3]. Preso prigioniero il duca Carlo d’Orléans, capo della fazione antinglese, Enrico rinsaldò la propria posizione attraverso un’ampia azione diplomatica, volta a garantirsi l’appoggio sia dei Borgognoni, sia dell’imperatore Sigismondo. La morte del ▶ Delfino di Francia, Giovanni di Valois, e la giovane età del nuovo principe ereditario, Carlo (futuro VII), l’annientamento dell’esercito, il controllo di Parigi da parte dei Borgognoni e l’isolamento diplomatico permisero a Enrico di rivendicare direttamente per sé la corona francese.

Il Trattato di Troyes del 21 maggio 1420 riconobbe a Enrico la reggenza del Regno di Francia e il diritto di successione, mentre pochi giorni dopo si celebrò il matrimonio tra il re inglese e Caterina di Valois, figlia di Carlo VI. Entrambi i sovrani, Enrico e Carlo, morirono nel 1422: nuovo re d’Inghilterra e di Francia divenne dunque Enrico VI, di soli nove mesi. Tutto il Nord e l’Ovest della Francia erano in mano inglese, con l’appoggio dei duchi di Borgogna. Nel 1429 ormai sembrava che la guerra fosse prossima alla fine: Orléans, ultima roccaforte del Delfino Carlo, era assediata.

Giovanna d’Arco e la conclusione della guerra

Qui tuttavia l’intervento di una giovane contadina analfabeta, Giovanna d’Arco (Jeanne d’Arc, 1412-31), fu decisivo per le sorti del conflitto. Giovanna, che ottenne l’appoggio di un’influente intellettuale come Christine de Pizan [▶ protagonisti], convinse il Delfino di essere inviata da Dio per sconfiggere gli usurpatori inglesi e riuscì, con il suo carisma, a rimotivare l’esercito francese, consentendogli di rompere l’assedio. Una successiva grande vittoria francese a Patay permise a Carlo di raggiungere Reims, dove fu incoronato re come Carlo VII, e di consolidare le proprie posizioni nella valle della Loira. Gli inglesi, per ragione di propaganda e legittimazione ideologica, risposero allestendo due cerimonie di incoronazione per Enrico VI, nel 1429 in Inghilterra come re inglese e nel 1431 a Parigi come re francese; ma soprattutto catturarono, processarono e condannarono al rogo per eresia e stregoneria Giovanna d’Arco (1431) [▶ FONTI, p. 254]. Nel 1435, tuttavia, l’azione politico-militare inglese subì due duri colpi: morì il duca di Bedford, reggente per il re e vero artefice della politica sul continente, e si sciolse l’alleanza con i Borgognoni, che si riavvicinarono ai Valois consentendo il ritorno di Parigi in mano francese. Nonostante alcune trattative e alleanze matrimoniali tentate da Enrico VI per ridurre gli esiti negativi di queste vicende, in breve tempo si tornò a uno stato di guerra. Rispetto al passato, ora l’esercito francese poteva contare su un’organizzazione più efficiente e su un reclutamento molto più ampio: Maine, Normandia e Guascogna tornarono in mano francese tra il 1448 e il 1450. Quando anche l’Aquitania, possedimento inglese sin dal XII secolo e molto legato economicamente e ideologicamente alla corona inglese, cadde nel 1453, la guerra si concluse con la definitiva vittoria della Francia. Dell’originario dominio plantageneto sul continente rimaneva solo la città di Calais, che sarebbe stata perduta nel 1558. I sovrani inglesi continuarono tuttavia a fregiarsi – in modo puramente nominale – anche del titolo francese sino ai primi del XIX secolo.

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  protagonisti

Christine de Pizan: la donna intellettuale

Il nome è una francesizzazione di Cristina da Pizzano, luogo dell’Appennino bolognese. Era infatti figlia di Tommaso da Pizzano, professore di medicina e astrologia all’Università di Bologna, e nipote per parte materna di un consigliere della Repubblica di Venezia. Nel 1357 Tommaso lasciò Bologna per insegnare a Venezia; qui Cristina nacque, nel 1365. In seguito Tommaso fu chiamato alla corte di Carlo V di Francia e si trasferì a Parigi, dove la famiglia lo seguì qualche anno dopo.

Una scrittrice di professione e di successo

Cristina, sebbene abbia avuto la normale vita che tutti si attendevano avesse una donna (si sposò, ebbe dei figli, si occupò delle faccende domestiche e patrimoniali della famiglia quando rimase vedova), è una figura straordinaria perché è stata la prima donna a concepirsi come scrittrice di professione, che ha guadagnato molto ed è diventata famosa scrivendo libri. Ne ha scritti molti, sia in poesia che in prosa, nel difficilissimo contesto della Francia dilaniata tra Armagnacchi, inglesi e Borgognoni, senza trascurare alcun aspetto del dibattito politico.

Le opere poetiche generalmente ruotano intorno al rimpianto per la morte del marito e per la felice gioventù trascorsa, ma vi è anche occasione di scrivere un poemetto in onore di Giovanna d’Arco, incarnazione della concezione forte e autorevole della donna che Cristina sviluppa nelle opere in prosa. Tra queste, la più famosa è La città delle dame, pubblicata nel 1405, dallo spiccato carattere politico e sociale: i motivi dell’oppressione delle donne (violenza, esclusione dal sapere, accuse di scarsa virtù) a causa della misoginia maschile sono analizzati e contestati punto per punto.

Ragione, Rettitudine e Giustizia, le tre “dame” che governano una città abitata solo da donne – regine, guerriere, poetesse, indovine, scienziate, martiri, sante – mostrano il fondamentale ruolo civilizzatore ricoperto dalle donne nella storia umana.

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FONTI

L’interrogatorio di Giovanna d’Arco

Il 23 maggio 1430 Giovanna d’Arco fu catturata dai Borgognoni e ceduta per 10 000 lire tornesi agli inglesi. Fu sottoposta a due processi e in entrambe le occasioni fu condannata: la prima volta come eretica, la seconda come eretica relapsa, ossia come recidiva, per essere caduta di nuovo nell’errore (si era vestita, in carcere, con abiti maschili). Il 30 maggio 1431, condannata amorte, fu arsa viva nella piazza del mercato di Rouen. Dal processo, condotto dal vescovo titolare di Beauvais, Pierre Cauchon, sono tratti due brani relativi al primo e secondo giorno di interrogatorio (21 e 22 febbraio 1431): si tenne in lingua francese, ma la redazione è scritta in latino. 25 anni dopo, un nuovo processo annullò il precedente e riabilitò Giovanna. Fu proclamata santa nel 1920 da Benedetto XV.


E dunque, avendo prestato giuramento in questo modo, Giovanna fu interrogata da noi sul suo nome e cognome. Al che rispose che dalle sue parti era chiamata Jeannette, e che, dopo essere venuta in Francia1, viene chiamata Jeanne. Il suo cognome, invece, diceva di non saperlo. Di seguito interrogata sul luogo di origine rispose che era nata nel villaggio di Domrémy, che è unito con il villaggio di Greux, e che a Greux si trova la chiesa principale. Interrogata allo stesso modo sul nome del padre e della madre, rispose che suo padre era chiamato Jacques Darc e sua madre Isabella. […] Ancora, interrogata sulla propria età, rispose che, per quanto le sembrava, doveva avere quasi diciannove anni. Disse inoltre che sua madre le aveva insegnato il Pater noster, l’Ave e il Credo, e che non aveva imparato la fede da nessun altro che da sua madre. […] Terminate queste cose, noi vescovo predetto2 proibimmo alla predetta Giovanna di lasciare senza nostra licenza il carcere a lei assegnato nel Castello di Rouen, sotto pena di essere accusata del crimine di eresia. Lei invero rispose che non accettava questa proibizione […].

Interrogata se in gioventù aveva imparato qualche mestiere, disse di sì: cucire i panni di tela e filare, e non temeva il confronto con nessuna donna di Rouen nel filare e cucire […]. Ancora, interrogata se si confessava dei suoi peccati ogni anno, rispose di sì, dal proprio parroco […]. E riceveva il sacramento dell’Eucarestia alla festa di Pasqua […]. E inoltre dichiarò che, quando aveva tredici anni, ella ebbe una voce da Dio per aiutarla a governarsi. E la prima volta ebbe una gran paura. E quella voce venne quasi a mezzogiorno, d’estate, nell’orto di suo padre, e Giovanna non aveva digiunato il giorno prima3. Sentì la voce sul lato destro, verso la chiesa, e la sente di rado senza che vi sia anche un chiarore. E quando Giovanna veniva in Francia, sentiva spesso quella voce. Interrogata su come faceva a vedere questo chiarore che diceva esserci, se questo chiarore si trovava su un lato, non rispose nulla ma passò ad altro. Disse invece che se lei si trovava in un bosco, udiva bene le voci che venivano da lei. Disse anche che le sembrava una voce degna, e che credeva che questa voce fosse stata inviata da Dio, e che dopo aver udito la voce per tre volte, aveva capito che era la voce di un angelo. Disse anche che quella voce l’aveva sempre custodita bene e che lei quella voce la capiva bene4. Interrogata su quale insegnamento le dava quella voce per la salvezza dell’anima, rispose che le aveva insegnato a comportarsi bene, a frequentare la chiesa, e che aveva detto a Giovanna che era necessario che la stessa Giovanna venisse in Francia. La predetta Giovanna aggiunse che chi la stava interrogando non avrebbe saputo da lei, per quella volta, sotto quale forma le era apparsa quella voce. Inoltre dichiarò che quella voce le diceva due o tre volte a settimana che era necessario che Giovanna partisse e venisse in Francia, e che suo padre non aveva mai saputo della sua partenza. Disse anche che quella voce le diceva di venire in Francia, e che non poteva più rimanere là dove si trovava, e quella voce le diceva anche che lei avrebbe fatto togliere l’assedio posto alla città di Orléans.


Procès de condamnation de Jeanne d’Arc, I, II, a cura di P. Tisset, Y. Lanhers, Parigi 1960-1971, trad. T. di Carpegna Falconieri.

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8.2 Monarchia, parlamento e aristocrazie nel Regno inglese

L’affermazione del modello parlamentare

Come abbiamo visto in precedenza, i rapporti di forza stabiliti nel Regno d’Inghilterra all’indomani dell’emanazione della Magna Charta favorivano la nobiltà, che aveva ottenuto il diritto di imporre il proprio assenso alle richieste fiscali decise dalla corona [▶ cap. 4.3]. Tuttavia, l’amministrazione e la giustizia erano saldamente in mano alla burocrazia regia. Una serie di importanti norme emanate da Edoardo I Plantageneto (1272-1307), che insieme con le costituzioni di Clarendon (1164) e la stessa Magna Charta diventarono il fondamento della common law inglese, integrarono il sistema delle assemblee nobiliari, dette parlamenti, nell’ordinamento del regno, rendendole istituzioni stabili di governo. Tale ordinamento poi venne imposto anche nei territori conquistati da Edoardo: in modo permanente in Galles e temporaneamente anche in Scozia.

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Nel 1264 venne convocato a Londra un parlamento rappresentativo dell’intero regno. I lords (alta aristocrazia) ne dominarono a lungo la politica, ma dalla fine del XIV secolo a loro si affiancarono i commons (“comuni”), rappresentanti della piccola e media aristocrazia di contea e delle élite urbane. I componenti del parlamento partecipavano al governo, dando la propria approvazione al finanziamento delle attività belliche nei vari teatri di guerra in cui la corona era impegnata. Il ruolo delle aristocrazie, che si esercitava in primo luogo nell’attività giudiziaria a livello locale, e l’azione parlamentare costituivano le maggiori originalità del sistema politico inglese.

Un nuovo equilibrio politico e sociale

La divisione del parlamento tra Camera alta (dei lords) e Camera bassa (dei commons) corrispose a un nuovo equilibrio tra le varie componenti della società inglese: da un lato, ai vertici del regno si collocarono poche famiglie di antica tradizione nobiliare ereditaria, il cui ruolo era rafforzato dai titoli conferiti dal sovrano (conte, duca); dall’altro, le restanti élite rurali e urbane, sulle quali spiccavano quelle londinesi, che spesso facevano parte di ampie clientele al servizio dell’alta nobiltà e del re.

Tuttavia, la disponibilità di queste clientele non consentì mai ai grandi aristocratici di diventare principi territoriali, in primo luogo perché non disponevano di strutture amministrative efficaci, poi perché il loro potere era limitato, dal basso, dalle stesse élite locali e infine perché il demanio regio rimaneva ancora molto più esteso dei territori di cui essi potevano disporre. Si realizzava dunque un’integrazione tra poteri aristocratici e borghesi e amministrazione centrale senza possibilità di generare spinte autonomistiche: ogni concorrenza di giurisdizione e ogni conflitto politico teoricamente avrebbero trovato composizione in ambito parlamentare.

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La Guerra delle Due rose

L’Inghilterra rimase una comunità coesa e ben amministrata anche quando visse la lunga fase di instabilità politica legata alla Guerra dei Cent’anni. Le tensioni interne all’alta aristocrazia inglese esplosero tuttavia con l’affermazione di Enrico IV Lancaster (1399-1413), influenzando notevolmente l’andamento della guerra con la Francia, e sfociarono in un’aperta guerra civile alla fine del conflitto. Il parlamento nominò “difensore del regno” un discendente di Edoardo III, Riccardo, duca di York (1411-60), che in contrasto con il debole sovrano, Enrico VI (1422-61), procedette subito all’allontanamento dalla corte dei membri della famiglia Lancaster. Era l’inizio di quella che nell’Ottocento fu definita “Guerra delle Due rose”, ancora oggi elemento ben presente nell’immaginario anglosassone [▶ altri LINGUAGGI, p. 272] poiché sia Lancaster che York, entrambi rami della dinastia dei Plantageneti, avevano nel loro emblema una rosa, rispettivamente rossa e bianca [ 4].

Al termine di un sanguinoso conflitto durato dal 1455 al 1485, che stremò le famiglie aristocratiche dell’isola, si impose Enrico Tudor, erede di una famiglia nobile gallese imparentata con i Lancaster. Dopo avere sconfitto Riccardo III (1483-85) a Bosworth, si proclamò re con il nome di Enrico VII (1485-1509) e suggellò definitivamente la pace sposando Elisabetta di York. Enrico riuscì a risanare le finanze inglesi, messe a dura prova da tanti anni di guerre, e a stringere patti commerciali e alleanze politiche con le città della Lega anseatica, i Paesi Bassi, Venezia e con i regni iberici; pose infine le basi per la crescita della marineria inglese, favorendo inoltre - come vedremo in seguito - le spedizioni del veneziano Giovanni Caboto in America settentrionale.

8.3 Monarchia, principati e città nel Regno francese

Amministrazione regia e nuovi principati

Abbiamo già visto [▶ cap. 4.2] come sin dal XII-XIII secolo la monarchia francese si fosse dotata di strumenti di controllo amministrativo, fiscale e militare sul territorio, cosa che aveva favorito la crescita di apparati centrali e periferici di governo e la formazione di un ceto di professionisti del diritto, spesso reclutati in ambito universitario. Con Filippo il Bello (1286-1314), vittorioso nei confronti tanto del papato quanto dell’Ordine templare [▶ cap. 6.4], questo processo conobbe un’ulteriore accelerazione, che riguardò in particolare il coordinamento dei vari istituti giuridici locali. Nel 1302 Filippo convocò infatti, per la prima volta, gli Stati generali, assemblea straordinaria composta da rappresentanti di clero, nobiltà e borghesia urbana, con il compito di deliberare e ripartire le imposte. I rappresentanti agli Stati generali sarebbero stati designati in assemblee territoriali, gli Stati provinciali, che avevano anche la funzione di votare i sussidi richiesti dal re e di ripartire le imposte secondo usanze locali.

Il XIV secolo fu tuttavia anche il periodo dello sviluppo di alcuni principati, primo tra tutti il Ducato di Borgogna, che replicavano al loro interno le strutture ideologiche, amministrative e fiscali del regno e che limitavano quindi sul piano territoriale il potere della corona. Uno dei concetti dominanti della politica di questi ampi poteri territoriali fu infatti quello di réformation, ossia un complesso di riforme che avrebbero dovuto di volta in volta limitare il potere di intervento del sovrano e dei suoi ufficiali, in particolare in materia fiscale, secondo le indicazioni provenienti dagli Stati provinciali, che in questi contesti svolgevano funzioni analoghe agli Stati generali del regno.

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Le fasi dell’affermazione del governo regio

Il consolidamento del potere regio si realizzò dunque secondo un percorso difficoltoso e non lineare, svoltosi tra la seconda metà del Duecento e tutto il Quattrocento. Durante una prima fase, all’incirca tra la metà del XIII e il primo trentennio del XIV secolo, si svilupparono gli apparati centrali.

Il Consiglio del re (curia regis), che assisteva il sovrano nel governo e nell’amministrazione del regno, in pace e in guerra, raccoglieva gli esponenti maggiori dell’intero apparato burocratico: ▶ connestabile (capo dell’esercito), cancelliere, nobili di alto rango, alti prelati. Un ruolo sempre più importante venne assunto, all’interno di questa antica istituzione, da specialisti del diritto, di estrazione piccolo-nobiliare e borghese e di educazione universitaria, che fornivano al sovrano competenti pareri legali su varie questioni.

Dal gruppo di ufficiali addetti al palazzo (hôtel) regio si differenziarono per funzioni alcuni uffici giudiziari e finanziari (la tesoreria e la Corte dei conti), mentre il parlamento, a differenza di quello inglese, aveva la funzione di supremo organo giudiziario. Il controllo della fiscalità era un tema strategico e l’efficacia della politica regia rese la Francia lo Stato economicamente più florido dell’Europa occidentale: nel 1328 fu redatto, appunto, il primo censimento dei ▶ fuochi fiscali del regno (Stato delle parrocchie e dei fuochi) ed esattori delle imposte furono installati nelle sue circa duecento città.

Lo scoppio della Guerra dei Cent’anni, naturalmente, fu un periodo di grandi difficoltà, sia militari che sociali, durante il quale il processo di costruzione statale rallentò ma non si arrestò. Gli apparati regi si dotarono di personale stabile e sempre più laico: per esempio, dal 1345 i giuristi che componevano il parlamento di Parigi furono nominati senza limiti di tempo. Le città in cui erano presenti i rappresentanti regi (chiamati balivi nel Nord, siniscalchi nel Sud) divennero sempre più capoluoghi regionali, con un’accentuata funzione di mediazione tra le società territoriali e il potere centrale. Questa mediazione si svolgeva poi al livello più alto negli Stati provinciali e generali. Lo stesso modello politico si diffuse poi, in questo periodo, anche negli Stati principeschi di Borgogna, Bretagna, Savoia, Delfinato.

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Come si è visto, il lungo regno di Carlo VI vide la contrapposizione di due fazioni, gli Armagnacchi e i Borgognoni. Dal punto di vista della gestione dell’apparato statale e dei suoi rapporti con gli Stati principeschi, gli Armagnacchi erano favorevoli a un regolare intervento fiscale e amministrativo regio e alla supremazia ideologica e giuridica del re, mentre i Borgognoni puntavano a un ridimensionamento dell’attività degli ufficiali regi, appoggiandosi sull’aristocrazia signorile, sulle élite mercantili urbane e sulle masse popolari parigine.

Solo con le vittoriose campagne militari di Carlo VII e con lo sviluppo di un’ideologia regia e tendenzialmente nazionale, incarnata dalla figura di Giovanna d’Arco, la monarchia francese poté avviare un saldo, ancorché lungo, processo di costruzione statale:

  • nel 1438, con il consenso del clero francese, Carlo VII emanò a Bourges una Prammatica sanzione che stabiliva la superiorità dell’autorità dei concili su quella del papa, secondo i principi del conciliarismo [▶ cap. 6.4], e la libertà della Chiesa francese rispetto all’accentramento di ogni potere nelle mani del pontefice (▶ gallicanesimo);
  • nel 1445 si stabilì la costituzione di un esercito permanente e retribuito;
  • la presenza dei funzionari e giuristi regi divenne sempre più pervasiva, nonché legittimata dal punto di vista ideologico, definendo un ceto di nobiltà di servizio o di toga (noblesse de robe) distinto dalla nobiltà di sangue o di spada (noblesse d’epée) [ 5];
  • le assemblee rappresentative locali persero parte delle loro funzioni, dal momento che il controllo regio sulla società politica avvenne sempre più spesso attraverso processi di nobilitazione e di costruzione di clientele personali che legavano l’aristocrazia direttamente al sovrano.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
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Dal 1000 al 1715