7.1 La conquista mongola dell’Asia

Per riprendere il filo…

Il confronto tra formazioni politiche sedentarie e nomadi delle steppe e dei deserti aveva condotto tra l’XI e il XII secolo a notevoli mutamenti sia in Asia, con l’affermazione dei Selgiuchidi turchi all’interno del Califfato abbaside e sunnita di Baghdad, sia nella penisola iberica e in Nord Africa, dove erano nati altri califfati. Questi fenomeni cruciali per il continente asiatico e per l’area mediterranea avevano avuto conseguenze dirette e profonde anche sull’Europa cristiana occidentale, sia sul piano militare che su quello culturale ed economico.

7.1 La conquista mongola dell’Asia

L’impero di Genghiz Khan

Tra il XIII e il XV secolo, nell’enorme territorio compreso tra Europa orientale e Cina, si sviluppò il dominio dei mongoli, popolo nomade stanziato a sud-est del lago Bajkal. Il termine “mongolo” (meng-wu in cinese, mongol nella loro lingua) designava in origine una piccola tribù, mentre il raggruppamento principale di clan era definito, nelle iscrizioni turche e cinesi, come “tatari” e come tali sono conosciuti non solo nelle lingue europee coeve, ma anche in cinese e arabo.

Un primo tentativo di confederare varie tribù fu compiuto nella prima metà del XII secolo da Khabul Khan, condottiero della tribù mongola cristiana dei Kiyad [ 1], ma fu ucciso dai tatari, in quel momento alleati della dinastia Jin che controllava il Nord della Cina e che aspirava a coordinare politicamente le confederazioni mongole. Alle continue guerre tra clan pose fine un pronipote di Khabul Khan, Temujin (“fabbro”, 1167 ca.-1227), che alleandosi con i Jin riuscì a sconfiggere duramente per due volte i tatari, riunificando così i popoli delle steppe orientali. Proclamato Chinghiz Khan (o, nella forma occidentalizzata, Genghiz Khan, “Signore oceanico”) nel 1206, in seguito a una grande assemblea di capi tribali mongoli, Temujin combatté o giunse ad accordi diplomatici con le formazioni politiche che circondavano geograficamente le steppe mongole.

 >> pagina 228 

Muovendo verso la Cina, le armate mongole attaccarono i Jin, sino a conquistare nel 1215 la loro capitale centrale, Pechino; negli stessi anni, verso ovest, Temujin sottomise l’Impero Kara Khitai, che si estendeva dall’odierno Xinjiang sino a Bukhara e Khiva, importante città carovaniera  [ 2]. La strada verso l’Asia centrale era ormai aperta, ma l’espansione era ostacolata dal potente Stato dei corasmi, che nel XII secolo aveva preso il controllo di amplissimi territori in Transoxiana e Persia ai danni dei Grandi Selgiuchidi [▶ cap. 3.2]. Dopo alcuni incontri diplomatici, la situazione tra corasmi e mongoli precipitò. Tra il 1218 e il 1223 tre imponenti armate mongole ebbero infine ragione dell’altrettanto numeroso esercito corasmio: dopo saccheggi e stragi indicibili, che costarono la vita o la deportazione a centinaia di migliaia di abitanti di città come Bukhara, Samarcanda, Nishapur, Merv, Herat, Balkh, l’intero territorio venne sottoposto al controllo di governatori locali e di agenti mongoli. L’ultima campagna di Genghiz fu contro l’Impero cinese Xi Xia, che sconfisse trovandovi però la morte (1227).

L’Impero mongolo andava dalla Siberia al Tibet, dal Mar Caspio al Mar del Giappone. Genghiz Khan aveva compiuto genocidi, deportazioni, distrutto e fondato città, ma aveva anche dato vita a un organismo politico multietnico, in cui convivevano decine di popoli diversi per stirpe, religione e lingua, e dove mercanti e viaggiatori stranieri potevano sentirsi al sicuro: questo nuovo ordine continentale fu definito pax mongolica.

I successori

 Il figlio di Temujin, Ogodei (1227-41), gli successe come gran ▶ khan e continuò nelle conquiste contro la dinastia Jin, mentre sotto la guida nominale di Batu, nipote di Temujin, le armate mongole avanzarono verso ovest. Nel 1236 attaccarono le popolazioni stanziate lungo il corso del Volga, giungendo nel 1238 a conquistare Vladimir (a est di Mosca) e nel 1240 a distruggere Kiev, metropoli religiosa del mondo russo. Dimostrando una straordinaria capacità di coordinamento strategico, i mongoli, sotto l’alto comando di Subedei, il loro più brillante generale, si spinsero a devastare la Polonia, la Boemia e la Moravia, annientando nel 1241 a Liegnitzun esercito polacco-tedesco rafforzato dal meglio della cavalleria cristiana, i Cavalieri teutonici [▶ cap. 6.1]; in seguito, procedettero verso il Regno d’Ungheria sino all’Adriatico, dove saccheggiarono Spalato e Cattaro.

 >> pagina 229 

Nulla sembrava poterli fermare [▶ FONTI, p. 230]. L’invasione mongola avveniva infatti in un momento di crisi delle due autorità tradizionali dell’Europa occidentale, papato e Impero: Federico II, scomunicato, era impegnato contro le città dell’Italia settentrionale e il soglio pontificio, d’altro canto, rimase vacante per due anni, dal 1241 al 1243. La stessa Gerusalemme venne coinvolta in questi eventi; fu infatti definitivamente persa nel 1244 per mano di mercenari corasmi, sospinti dall’avanzata mongola in Asia centrale.

Sul finire del 1241, inaspettatamente, i mongoli si ritirarono, carichi di bottino e prigionieri. La morte di Ogodei rese infatti necessario partecipare alla grande assemblea tribale (kuryltai) - convocata nella nuova capitale fondata dallo stesso Ogodei, Karakorum (“Pietre nere”, nell’attuale Mongolia) - per nominare il nuovo khan supremo. La lotta per il potere ebbe termine con l’elezione di Mongke, nipote di Temujin, che intraprese una massiccia campagna di consolidamento della presenza mongola in Asia centrale e nel Vicino Oriente. Il fratello di Mongke, Hulegu, nel 1256 distrusse Alamut, la base operativa della setta ismailita degli Assassini, e annientò un esercito selgiuchide ad Aksaray, riducendo il Sultanato di Rum [▶ cap. 3.2] a uno Stato vassallo; nel 1258, con grande scandalo del mondo musulmano, conquistò Baghdad, la capitale del Califfato abbaside, uccidendo lo stesso califfo e migliaia di abitanti [ 3].

La morte di Mongke nel 1259 costrinse il grosso delle truppe a tornare nelle steppe e il Sultanato ▶ mamelucco, che controllava Siria ed Egitto, per la prima volta riuscì a sconfiggere in battaglia i contingenti mongoli (Ayn Jalut, 1260). Tuttavia, poco dopo Hulegu consolidò le proprie posizioni in Iran, Iraq e gran parte dell’Asia centrale, dando vita a un il-khanato, subordinato, così come il Khanato dell’Orda d’oro (Russia tra i fiumi Ob e Volga, parte del Kazakistan, Ucraina e Romania) e quello di Chaghatai [ 4] (Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan e Afghanistan settentrionale), al Gran Khan Kubilai (1260-94), che era succeduto al fratello Mongke e che controllava direttamente i territori compresi tra Russia sudorientale, Mongolia, Cina e Corea [ 5].

 >> pagina 230 

FONTI

L’«odiato popolo di Satana»: i mongoli secondo Matteo Paris

Le caratteristiche barbariche dei mongoli sono riassunte in questo brano del benedettino Matteo Paris, tratto dai suoi Chronica majora: tutto fa di questi popoli un pericolo “altro” rispetto alla civiltà, dai tratti somatici alla lingua, dalle pratiche di guerra alla ferocia, sino alle orrende pratiche alimentari. Forse sono giunti, teme Matteo, i tempi ultimi dell’avvento dell’Anticristo?

In quell’anno [il 1241] l’odiato popolo di Satana, lo sterminato esercito dei Tartari, uscì dalla sua terra circondata dai monti, perforò quelle rocce che parevano di durezza insuperabile, tracimò come una schiera di demoni liberati dal Tartaro (è da questo che prendono il nome). Essi coprirono la superficie della terra come locuste e devastarono le regioni dell’Oriente con miserandi saccheggi, tutto bruciando e ovunque facendo strage […] loro stessi sono esseri bestiali, piuttosto mostri che uomini. Hanno sete di sangue e se lo bevono; sbranano e divorano carne di cane e di uomo; vestono pelli di bue, si armano con corazze di ferro, sono bassi ma tarchiati, di costituzione robusta, invincibili in guerra, incuranti della fatica; non si coprono con l’armatura la parte posteriore del corpo, ma solo quella anteriore. La loro bevanda preferita è il sangue filtrato delle loro pecore; hanno cavalli grandi e forti […] sui quali salgono con una piccola scala, visto che hanno le gambe corte. Non possiedono leggi e non conoscono la clemenza; sono più feroci di orsi e leoni. Hanno imbarcazioni di cuoio di bue […] sono abili a nuotare e navigare, e passano dunque rapidamente e senza difficoltà i fiumi più grandi e impetuosi. […] Hanno spade e pugnali affilati da una sola parte; sono arcieri provetti, che non risparmiano nessuno, quale che sia il sesso, l’età o la condizione. Conoscono solo la loro lingua, che nessun altro parla.


Matteo Paris, Chronica majora, cit. in Guglielmo di Rubruk, Viaggio in Mongolia, a cura di P. Chiesa, Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori, Roma-Milano 2011

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715