Nulla sembrava poterli fermare [▶ FONTI, p. 230]. L’invasione mongola avveniva infatti in un momento di crisi delle due autorità tradizionali dell’Europa occidentale, papato e Impero: Federico II, scomunicato, era impegnato contro le città dell’Italia settentrionale e il soglio pontificio, d’altro canto, rimase vacante per due anni, dal 1241 al 1243. La stessa Gerusalemme venne coinvolta in questi eventi; fu infatti definitivamente persa nel 1244 per mano di mercenari corasmi, sospinti dall’avanzata mongola in Asia centrale.
Sul finire del 1241, inaspettatamente, i mongoli si ritirarono, carichi di bottino e prigionieri. La morte di Ogodei rese infatti necessario partecipare alla grande assemblea tribale (kuryltai) - convocata nella nuova capitale fondata dallo stesso Ogodei, Karakorum (“Pietre nere”, nell’attuale Mongolia) - per nominare il nuovo khan supremo. La lotta per il potere ebbe termine con l’elezione di Mongke, nipote di Temujin, che intraprese una massiccia campagna di consolidamento della presenza mongola in Asia centrale e nel Vicino Oriente. Il fratello di Mongke, Hulegu, nel 1256 distrusse Alamut, la base operativa della setta ismailita degli Assassini, e annientò un esercito selgiuchide ad Aksaray, riducendo il Sultanato di Rum [▶ cap. 3.2] a uno Stato vassallo; nel 1258, con grande scandalo del mondo musulmano, conquistò Baghdad, la capitale del Califfato abbaside, uccidendo lo stesso califfo e migliaia di abitanti [ 3].