6.1 La Chiesa teocratica di Innocenzo III

Per riprendere il filo…

Il patto concordato a Worms (1122) aveva definito i rapporti di forza reciproci tra papato e Impero: sostanzialmente il papato ne era uscito rafforzato e i vescovi stessi, pur assoggettati a un più rigido controllo pontificio, conservavano prerogative di natura pubblica; la missione universalistica dell’Impero, propria dei Carolingi e degli Ottoni, era stata invece indebolita. A questo avevano contribuito anche il primo consolidamento delle monarchie territoriali e lo sviluppo delle autonomie cittadine, per quanto la dinastia Hohenstaufen, con Federico I Barbarossa e con Federico II, si impegnasse a fondo per cercare di costruire un nuovo ruolo politico per l’Impero.

6.1 La Chiesa teocratica di Innocenzo III

La quarta crociata

Il progetto teocratico della Chiesa riformata trionfò durante il pontificato di Innocenzo III (1198-1216). Lotario dei conti di Segni (questo il nome secolare del papa), proveniente da una potente famiglia romana, aveva ricevuto una solida preparazione giuridica e teologica e su questa base articolò una politica di intervento su molti fronti, sia in Italia che in Europa.

Innocenzo assunse un’energica direzione dell’iniziativa crociata. I territori oggi compresi tra Estonia e Lettonia, sul Mar Baltico, furono investiti da una spedizione condotta da un nuovo Ordine religioso-cavalleresco, quello dei Portaspada (poco dopo ricompreso nell’Ordine teutonico), che fece entrare quei paesi nell’orbita dell’Impero [▶ cap. 4.5]. Anche nel Mezzogiorno d’Italia fu proclamata una crociata, condotta contro un avventuriero tedesco ed ex funzionario imperiale, Marcovaldo di Annweiler, che aveva cercato di ritagliarsi una signoria personale. L’obiettivo primario era però aiutare il Regno di Gerusalemme a recuperare i territori persi nel 1187 dopo la battaglia di Hittin [▶ cap. 4.7]. La sconfitta era stata disastrosa, ma non tutte le speranze erano perse poiché la morte di Saladino, nel 1193, aveva innescato feroci lotte intestine tra i suoi eredi, indebolendo lo Stato ayyubide.

Per la crociata in Terrasanta, Innocenzo tese a coinvolgere sin da subito l’imperatore bizantino Alessio III, ma le trattative diplomatiche non andarono in porto: Innocenzo pretendeva il riconoscimento dell’autorità papale e Alessio a sua volta chiedeva la restituzione di Cipro, conquistata da Riccardo Cuor di Leone durante la terza crociata (1189-92). Nello stesso tempo, la rivalità tra Genova e Pisa, che in quell’occasione avevano svolto un ruolo fondamentale, rendeva impossibile organizzare il trasporto degli armati in Terrasanta. Innocenzo si rivolse dunque al doge veneziano, Enrico Dandolo, così come fecero i capi crociati francesi. Con il ▶ doge, nel 1201, si giunse a un accordo, valido per un anno, in base al quale Venezia avrebbe fornito navi, equipaggi e viveri a oltre 30 000 uomini e in cambio avrebbe ricevuto una considerevole somma in denaro e una quota dei territori conquistati. Una scommessa azzardata per entrambe le parti, complicata dal fatto che non era stato preposto un legato papale che coordinasse le operazioni, come accadeva usualmente durante le crociate, e che sopraggiunse la morte di uno dei capi più carismatici della spedizione, Tibaldo di Champagne. Fu designato a sostituirlo, dopo molte controversie, Bonifacio, marchese di Monferrato (1150-1207).

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Quando, nel 1202, i crociati giunsero a Venezia con l’obiettivo di attaccare i domini ayyubidi in Egitto, ci si rese conto che la spedizione rischiava il fallimento, perché il denaro raccolto raggiungeva a malapena la metà dell’importo dovuto. Il doge propose dunque un accantonamento del debito, che sarebbe stato ripagato con le conquiste future; in cambio, i crociati avrebbero aiutato i veneziani a conquistare il porto dalmata di Zara. Caduta Zara, nella spedizione crociata si insinuarono dubbi sulla liceità dell’operazione, poiché Innocenzo III aveva proibito di attaccare città cristiane e scomunicò la spedizione. Un buon pretesto per proseguire verso Oriente fu però fornito da uno dei pretendenti al trono bizantino, Alessio Angelo (1182-1204) [ 1], imparentato con il duca di Svevia Filippo, di cui Bonifacio di Monferrato era saldo sostenitore nella lotta per il trono di Germania contro Ottone di Brunswick. Il principe bizantino propose ai crociati di aiutarlo a salire sul trono di Costantinopoli; in cambio avrebbero ottenuto una consistente quantità di denaro e soldati da impiegare nel prosieguo della spedizione e questo convinse definitivamente i capi crociati a deviare verso Costantinopoli.

La situazione a Costantinopoli

Dopo la crisi dell’XI secolo l’Impero bizantino era riuscito a consolidare le proprie posizioni e Costantinopoli era ancora la più grande metropoli cristiana (350-400 000 abitanti, sei o sette volte Parigi). Tuttavia, il controllo dei territori di frontiera risultava ancora molto difficile: nei Balcani si formò un impero in Bulgaria e nacquero entità politiche autonome in Serbia e in Grecia; a Oriente, l’Anatolia fu quasi del tutto perduta dopo una rovinosa sconfitta subita a Miriocefalo nel 1176 per mano dei Selgiuchidi [ 2]. Le perdite territoriali minarono la vita economica dell’impero, poiché la riduzione delle fonti di tassazione non consentiva di tenere in piedi il costoso apparato militare e burocratico. Dinanzi a queste difficoltà, la lotta tra fazioni all’interno delle famiglie aristocratiche bizantine non faceva che aumentare il caos.

L’esito della crociata

 Giunti alle porte di Costantinopoli nel 1203, i crociati si resero conto che il “loro” candidato imperiale non aveva alcun seguito. Si trovarono così invischiati, per oltre un anno, nei confusi rivolgimenti politici della città: l’imperatore Alessio III fuggì, mentre Alessio Angelo si fece proclamare coimperatore, insieme al padre Isacco II, con il nome di Alessio IV. Tra assedi, battaglie e cambiamenti repentini di regime cresceva tuttavia in città una fazione fortemente ostile agli occidentali, capitanata da Alessio Ducas. Alessio IV fu ucciso e Ducas si proclamò imperatore come Alessio V, dichiarando nullo l’accordo stipulato dal predecessore. A quel punto i capi crociati valutarono che l’unica possibilità di sopravvivenza per la spedizione risiedeva nell’occupazione della città, e dunque anche dell’impero, e diedero l’ordine di attacco.

Nella primavera del 1204 l’assedio ebbe successo, dando l’avvio alla strage e al saccheggio. In tre giorni furono ammassati beni e ricchezze, sottratti a luoghi di culto, case e palazzi, e il racconto di testimoni oculari greci, come Niceta Coniata  [▶ FONTI, p. 188], dà conto della ferocia con cui la razzia fu condotta. Le perdite artistiche e librarie furono incalcolabili e molte reliquie furono depredate e portate in Occidente, dove fecero la fortuna di numerose chiese e monasteri.

L’Impero latino che ne sorse, capeggiato da Baldovino di Fiandra quale imperatore e dal veneziano Tommaso Morosini, nuovo patriarca, fu contrastato da un impero greco in Asia minore, sorto intorno alle città di Smirne e Nicea mentre anche in Epiro e a Trebisonda si costituirono centri di resistenza greca in mano a famiglie imperiali bizantine  [ 3]. L’Impero Latino d’Oriente ebbe vita breve, non riuscendo in alcun modo a costituire uno Stato solido in grado di sostenere la Terrasanta crociata. Già nel 1261, infatti, Michele VIII Paleologo, imperatore di Nicea, con l’aiuto della flotta genovese riportò le insegne imperiali a Costantinopoli.

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FONTI

Il saccheggio di Costantinopoli

Niceta Coniata, nato a Cone (Asia minore) tra il 1150 e il 1155 e morto esule nel 1217 a Nicea, ricoprì incarichi di grande responsabilità nella burocrazia bizantina, sino a diventare logoteta dei Sekreta, ossia capo dell’amministrazione imperiale. Nella sua acuta e tragica opera storica, la Narrazione cronologica, che copre gli anni tra il 1118 e il 1206, Niceta individua i mali profondi dell’Impero Romano d’Oriente – egoismo, individualismo, avidità, codardia – che consentono ai barbari analfabeti latini lo scandaloso saccheggio di Costantinopoli. Qui sono riportati passi tratti dal XVIII libro.

XVIII, 5, 2 Ahimè quanto fu indegno che gettassero al suolo icone venerande e che scagliassero in luoghi impuri le reliquie di chi aveva sofferto in nome di Cristo. Ma cosa orrenda anche solo a sentirla, si videro il sangue e il corpo divino di Cristo versati e gettati per terra: quelli arraffarono i loro preziosi contenitori, ne spaccarono alcuni intascando gli ornamenti che vi si trovavano […] quei precursori dell’Anticristo, primi artefici e premonitori delle empissime azioni che si attendono da costui […].

5, 3 Poiché dovevano essere portati via come fossero bottino i santissimi arredi e i sacri veli, incomparabili per abilità tecnica e per grazia e rarissimi per i materiali […] vennero introdotti fin nei penetrali della chiesa1 muli e animali da soma con il basto, alcuni dei quali, scivolati a terra e non riuscendo a stare sulle zampe a causa della levigatezza dei marmi del pavimento, furono trafitti con dei coltelli, cosicché il pavimento divino fu contaminato dallo sterco degli intestini e dal sangue versato […].

6, 1 Questo fecero il collo bronzeo, la mente superba, il cipiglio ritto, la guancia sempre rasata che dà un aspetto giovanile, la destra assetata di sangue, il naso irascibile, l’occhio levato in alto, la mascella insaziabile, l’animo incapace di amore, la parlata squillante, rapida e quasi danzante sulle labbra, o meglio lo fecero quelli che presso di loro erano saggi e sapienti, rispettosi dei giuramenti, amanti del vero e odiatori dei malvagi […] e più ancora coloro che si erano presa la croce sulle spalle2 e più volte avevano giurato in nome di quella e delle Sacre Scritture che avrebbero attraversato la terre dei cristiani senza spargimento di sangue […].

6, 2 Si rivelarono dei contafrottole: inseguendo la vendetta del Santo Sepolcro infuriarono apertamente contro Cristo e, con la croce, perpetrarono la distruzione della croce che recavano sul dorso, non temendo di gettarsela ai piedi per un po’ d’oro e di argento […] Gli Ismaeliti3 non fecero così, se non altro si comportarono con pietà e mitezza nei confronti dei connazionali di costoro quando espugnarono Sion4.


Niceta Coniata, Grandezza e catastrofe di Bisanzio (Narrazione cronologica), vol. III, trad. A. e F. Pontani, Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori, Roma-Milano 2014

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La crociata contro i catari

 Un altro fronte di intervento di Innocenzo III fu la lotta contro i movimenti ereticali. Come si ricorderà, l’affermazione dell’assoluta supremazia dottrinale e giuridica della Chiesa aveva provocato la nascita di movimenti di contestazione di tipo pauperistico, che avevano in Arnaldo da Brescia e in Valdo di Lione i maggiori punti di riferimento  [▶ cap. 2.6]. La Chiesa reagì alla predicazione arnaldista e valdese in modi diversi: la prima fu repressa con il concorso dell’autorità imperiale, poiché se ne intuiva la forte carica di contestazione politica dell’autorità pontificia; la seconda fu condannata come eretica, nonostante Valdo avesse ricercato la legittimazione papale, ma alla morte del suo ispiratore (intorno al 1205-07) una parte del movimento rifluì nella comunità ecclesiale. Diversa da questi movimenti pauperistico-evangelici era la corrente dei catari, che proponeva una dottrina e una struttura ecclesiastica del tutto alternativa rispetto a quella romana, riscuotendo successo soprattutto tra le famiglie nobili della Francia meridionale.

La contestazione dell’autorità delle gerarchie ecclesiastiche era stata percepita, non a torto, come contestazione anche dell’autorità laica: a Verona, nel 1184, si era giunti così a un’alleanza per la repressione delle eresie tra Federico I Barbarossa e papa Lucio III (1181-85), che aveva condotto all’emanazione di un’importante bolla, la Ad abolendam diversarum haeresium pravitatem (“Per sopprimere la malvagità delle diverse eresie”). Questo documento, oltre alla condanna di catari, patarini, valdesi, arnaldisti e altri movimenti minori, affidava ai vescovi il compito di inquisire i sospetti di eresia, allestendo speciali commissioni diocesane, mentre alle autorità laiche era stato assegnato il compito di applicare le sentenze, facendo scontare le pene ed eseguendo le eventuali condanne a morte.

Il salto di qualità nella lotta all’eresia fu compiuto proprio da Innocenzo III. Quando un suo legato, il cistercense Pietro di Castelnau, fu ucciso in Linguadoca nel 1208, il papa bandì contro gli eretici una vera e propria crociata: coloro che vi avrebbero partecipato, infatti, avrebbero beneficiato degli stessi benefici materiali e spirituali accordati ai combattenti in Terrasanta [ 4]. La crociata, la prima su vasta scala ad avere un valore politico oltre che antiereticale, si protrasse per anni ed ebbe l’appoggio della monarchia capetingia, che esercitava sulle signorie del Mezzogiorno francese un’autorità solo nominale e che desiderava invece non solo un accesso diretto al Mediterraneo, ma anche bloccare i tentativi di espansione della corona d’Aragona, dalla quale dipendevano alcune contee meridionali. Capeggiata da Simone di Monfort (1165 ca.-1218), la guerra ebbe come obiettivo in primo luogo Albi, centro della Signoria dei Trencavel, e poi la potente Contea di Tolosa e le altre contee pirenaiche, sino alla completa conquista avvenuta nel 1244 [ 5].

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Il IV concilio lateranense

Nel 1215 Innocenzo III indisse il IV concilio lateranense, uno dei più importanti della cristianità medievale, per realizzare il suo vasto programma di lotta all’eresia, di riforma della Chiesa dinanzi al sentimento di crisi spirituale incombente in Europa e di nuova crociata per la riconquista della Terrasanta. A esso parteciparono anche rappresentanti delle autorità laiche e della Chiesa orientale, ora sottoposta politicamente all’Impero latino.

Innocenzo, all’apice della propria potenza religiosa e politica – si ricordi che grazie al suo intervento era asceso al trono di Germania Federico II [▶ cap. 4.5] –, presentò all’assemblea una grande quantità di temi. Tra le altre cose, furono affrontati problemi legati ai costumi di vita del clero e all’elezione dei vescovi, nonché questioni relative al culto dei santi e delle reliquie. Fu imposto l’obbligo della confessione annuale e della comunione e agli ebrei che vivevano tra i cristiani l’uso di un segno distintivo sugli abiti. I tribunali preposti all’indagine sugli eretici furono sottratti all’autorità dei vescovi e furono posti alle dirette dipendenze del pontefice: era il primo passo per la creazione di un unico tribunale dell’Inquisizione, che fu poi formalmente fondato da Gregorio IX nel 1231-35. Il pontefice bandì inoltre una nuova crociata, la quinta nel computo tradizionale, che sarebbe stata indirizzata verso l’Egitto ayyubide, e infine cercò di disciplinare i diversi movimenti pauperistico-evangelici laici. Per far questo, furono favorite nuove esperienze e sensibilità religiose che fornissero ai fedeli un esempio di vita nuova, ma comunque interno alle strutture ecclesiastiche.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715