5.3 Città e forme di governo urbano nell’Europa dei principati e delle monarchie

5.3 Città e forme di governo urbano nell’Europa dei principati e delle monarchie

Il movimento comunale europeo

Le peculiarità dell’Italia centrosettentrionale non devono tuttavia nascondere la ricchezza del movimento comunale europeo. Le società cittadine europee (Nord della Francia, zona del Reno, Fiandre), manifestarono infatti un grado di iniziativa politica in forme diverse rispetto a quelle sinora esaminate, ma non per questo meno efficace, legato alla presenza di ampie signorie territoriali. L’iniziativa politica fu caratterizzata da quattro punti:

  • presenza di un dibattito pubblico;
  • contestazione della legittimità delle autorità tradizionali;
  • autogestione;
  • presenza di una lotta per l’affrancamento dei servi.

Quest’ultimo aspetto, in particolare, si spiega con il fatto che, a differenza di quanto accadeva in Italia, nel resto d’Europa una quota rilevante di popolazione urbana non era di condizione giuridica libera e non si differenziava dagli abitanti delle campagne.

È tuttavia attraverso la contrattazione con i poteri sovraordinati che si espresse nel modo più efficace l’iniziativa politica delle città e in questo consiste la differenza fondamentale rispetto all’Italia centrosettentrionale: mentre qui era la comunità che diventava signore collettivo e, come potere concorrente rispetto agli altri poteri signorili, rivendicava piena autonomia politica, il gioco politico europeo si svolgeva secondo regole non molto diverse da quelle proprie di un normale rapporto tra signori e comunità.

A Soissons (a nord-est di Parigi), per esempio, nel 1136 un movimento associativo urbano di resistenza contro i molteplici oneri che gravavano sugli abitanti, imposti sia dal conte che dal vescovo, richiese l’intervento del re, Luigi VI, per ottenere il consenso a riunirsi in “comune” e superare così la frammentazione di poteri che caratterizzava la città. Allo stesso modo si comportarono Luigi VII e Filippo Augusto, che specie nelle aree al di fuori del proprio dominio diretto favorirono la nascita dei comuni e lo sviluppo sul piano politico di ceti mercantili a danno delle forze signorili. Varie combinazioni di forze sociali diedero così luogo a forme di associazione cittadina in funzione antivescovile o antisignorile a Le Mans, Cambrai, Laon, St. Quentin, Noyon, innescando conflitti pluridecennali. La situazione in Francia era peraltro complicata dal fatto che ampi territori si trovavano sotto controllo della dinastia inglese dei Plantageneti. In questi territori, in Normandia e sulle coste atlantiche, il comune infatti sorse tardi, agli inizi del XIII secolo, secondo modalità tipiche inglesi: il re sceglieva un sindaco all’interno di una lista presentata da notabili locali, che formavano un consiglio con funzioni amministrative. Nel Sud della Francia, invece, il contesto di crisi dei poteri tradizionali fu più favorevole all’affermazione di forme comunali simili a quelle italiane, sia nelle magistrature, sia nella proiezione territoriale nelle campagne circostanti.

Il ruolo del sovrano nel controllo delle città era ben presente nella situazione inglese: Enrico I, per esempio, favorì la fondazione di nuove città o luoghi di mercato, così come facevano molti signori fondiari, ma allo stesso tempo ne limitò la crescita sul piano politico, almeno sino a tutto il XII secolo, mentre invece nel secolo successivo molte comunità, in primo luogo Londra, riuscirono a destreggiarsi nel conflitto tra baroni e re ricevendone privilegi: si ricordi qui la funzione riconosciuta alla comunità di Londra nella Magna Charta libertatum [▶ cap. 4.3].

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Anche nel contesto iberico il sovrano ebbe un ruolo predominante nel favorire la crescita politica delle comunità urbane. Durante il processo di conquista della penisola [▶ cap. 4.6] i re concessero infatti privilegi ed esenzioni fiscali (fueros) a signori e comunità cittadine e rurali al fine di favorire la crescita economica e demografica nelle zone di frontiera, man mano che venivano conquistate. Nella Castiglia-León i ceti urbani preminenti risultarono quelli costituiti da possessori fondiari che accedevano al rango nobiliare assicurando la difesa delle città e la prosecuzione delle guerre contro i musulmani, mentre le attività mercantili e creditizie erano in gran parte esercitate da ebrei e stranieri; in Catalogna, invece, il patriziato urbano di città come Valencia, Maiorca e Barcellona [ 8] era composto da membri molto attivi nei commerci mediterranei e furono proprio i profitti ottenuti nelle attività mercantili a essere talvolta impiegati nell’acquisizione di patrimoni fondiari. L’importanza del porto in queste città fu tale che esso diventò un territorio dotato di giurisdizione autonoma rispetto al resto del tessuto urbano: un “consolato del mare” regolava infatti tutte le attività mercantili e legate alla marineria.

Nel regno tedesco i centri urbani si caratterizzarono per essere dipendenti o direttamente dal re-imperatore (Reichstadt, “città imperiale”) oppure da un signore laico o ecclesiastico (freie Stadt, “città libera”). In alcuni casi, la lotta affinché fossero riconosciuti dal signore cittadino diritti alle associazioni giurate di cittadini e borghesi fu molto aspra: così in particolare in Renania e in Lotaringia. Altrove invece autonomie cittadine emersero grazie all’alleanza tra famiglie di tradizione militare e potenti famiglie appartenenti alle clientele vescovili (ministeriales): un tratto, quello della forte presenza ecclesiastica, comune a molte altre città tedesche, da Magonza a Worms, da Strasburgo a Norimberga. In alcuni casi, come a Colonia, i ministeriales furono impegnati nelle attività mercantili e finanziarie, costituendo un elemento portante dello sviluppo economico: le collettività urbane si dotarono dapprima di organi di governo dipendenti dalle magistrature vescovili, poi, tra il XIII e il XIV secolo, il governo cittadino passò a forme consiliari, eliminando del tutto la presenza vescovile a favore del ceto mercantile e dei ricchi proprietari terrieri. Sul modello consiliare di Colonia e di Lubecca [ 9], sul Baltico, si svilupparono poi analoghe magistrature in Danimarca, Norvegia e Svezia, dove le città erano molto più piccole di quelle europee occidentali e si caratterizzavano per essere principalmente luoghi di mercato.

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In Polonia, Boemia e Moravia, così come anche in Slovacchia, Ungheria e Slavonia (la Croazia orientale), la progressiva affermazione del diritto tedesco consentì, alla metà del XIII secolo, l’emergere di una borghesia legata al commercio e allo sfruttamento delle risorse minerarie. Un certo grado di autonomia riuscirono a raggiungere le città adriatiche di Croazia e Dalmazia, per esempio Ragusa (oggi Dubrovnik), che pur sotto controllo veneziano riuscì a esprimere una politica consiliare e un’espansione commerciale estesa a tutto l’Adriatico sudorientale. In Russia emergeva invece Novgorod, che sino al XIV-XV secolo, quando entrò nella sfera di influenza di Mosca, costituì un’ampia dominazione territoriale coordinata da una complessa realtà sociale urbana. I boiari, grandi proprietari terrieri dotati di ingenti rendite, e i mercanti esprimevano i membri delle assemblee e contrattavano direttamente con il principe aspetti legati al governo della città e del territorio.

Gilde, leghe e hanse

Tra il XIII e il XIV secolo, anche grazie allo sviluppo economico che interessò Inghilterra orientale, Fiandre, Nord della Francia e costa tedesca, alle magistrature comunali si affiancarono, talvolta sostituendole, le gilde [▶ cap. 1.7], consigli reclutati tra i componenti delle associazioni di mestiere formate da artigiani e mercanti. Questo protagonismo dei ceti non nobili delle città dovette tuttavia fare i conti con la presenza di poteri più vicini e ingombranti rispetto a quelli con cui dovettero confrontarsi i comuni italiani: i sovrani e le grandi signorie territoriali. Con le molte variazioni dovute alla contingenza politica, a lungo andare il rapporto tra città e principe/sovrano si stabilizzò secondo uno scambio negoziato: le città fornivano capitali attraverso l’organizzazione della tassazione; da parte loro, i principi garantivano l’esercizio della giustizia. Per giungere a questo, le città si riunirono spesso in alleanze politico-militari (leghe), così come era accaduto in Italia già nel XII secolo. Così facendo, impararono a stabilire strategie comuni e a rivendicare autonomia, cosa che tornò utile quando, alla morte di Federico II (1250), strenuo oppositore di queste leghe, si aprì un lunghissimo periodo di interregno, con il concreto rischio di anarchia.

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Diverso fu il caso del Nord della Germania. Qui già dalla metà del XII secolo, si formarono patti tra associazioni mercantili di diverse città (hanse) [▶ cap. 1.6]. Intorno a un nucleo originario delle città di Lubecca, Brema e Amburgo si costituì poi, a partire dalla metà del XIV secolo, una vera a propria Lega anseatica, formata da queste tre città e da molte altre sul Baltico e sul Mare del Nord [ 10] e caratterizzata dall’ampiezza dei territori sottoposti alla sua giurisdizione, dal carattere permanente dei patti di alleanza e dal notevole peso politico nel governo urbano.

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Città e monarchie

Nel corso del XIII secolo si assisté, nell’Europa delle monarchie, a una regressione del movimento comunale. La crescita degli apparati burocratici regi e la necessità di denaro obbligarono i sovrani a richiedere capitali alle élite cittadine che si erano costituite in comune. La turbolenza delle popolazioni urbane e le difficili situazioni finanziarie dei comuni, che non consentivano di soddisfare le esigenze regie, fece orientare le monarchie verso un restringimento delle libertà comunali. I consigli cittadini non scomparvero, ma furono presieduti da un rappresentante del re e mutarono i propri compiti: da organismi deliberativi divennero luoghi di redazione di petizioni e richieste ai sovrani. Inoltre, la rete di ufficiali regi si rafforzò e le funzioni tipiche delle magistrature urbane, prime tra tutte quelle giudiziarie, furono unificate, lasciando pochissimi margini al gioco politico-sociale interno alle città.

Il Regno di Sicilia

Un processo analogo a quello descritto per l’Europa del Nord avvenne nell’Italia meridionale, già dalla prima metà del XII secolo inquadrata in una forma di governo monarchica e unitaria [▶ cap. 4.4]. Qui fermenti autonomistici in ambito urbano (Napoli, Amalfi, Salerno, Bari, Messina, Troia) si erano già manifestati per tutta la secolare fase di insediamento dei nuclei normanni, approfittando del fatto che, con il progressivo indebolimento dei ducati longobardi e delle circoscrizioni territoriali bizantine, il Mezzogiorno continentale prima, e la Sicilia subito dopo, erano divenuti un’area di frontiera tra la cultura politica occidentale e quella di lunga tradizione orientale. Così come altrove in Europa, l’instaurarsi di un regno che tendeva a stabilire il proprio controllo su ogni potere concorrente modificò gli ambiti di autonomia delle comunità urbane, le cui istituzioni di governo erano comprese nel concetto di universitas, termine che indicava l’unità collettiva, soggetto giuridico e fiscale all’interno della città e nel territorio.

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L’inquadramento di questi poteri, compresi quelli urbani, in distretti territoriali più ampi avvenne compiutamente, peraltro, solo nella prima metà del XIII secolo con Federico II, che smantellò le grandi contee normanne e limitò le ambizioni delle città più dinamiche a crearsi un proprio contado  [ 11]. Come vedremo, le successive vicende in età angioina, tra la metà del XIII e la metà del XV secolo, favorirono invece alcune comunità urbane che ebbero modo di stabilire anche sui villaggi da loro dipendenti la propria giurisdizione su alcuni punti:

  • la partecipazione alle imposte regie gravanti sulla città, ai dazi cittadini, alle spese per edifici pubblici, strade e opere di difesa;
  • la giurisdizione civile e penale del capitano cittadino, di nomina regia;
  • l’osservanza degli statuti cittadini, presentati all’autorità regia e da essa formalmente “concessi”;
  • la regolamentazione dei mercati, dei pesi, delle misure e del calendario dei lavori agricoli.

5.4 Città e nuovi movimenti culturali: scuole e università

Le eredità dell’alto Medioevo

Nel corso dei secoli altomedievali, entrato in crisi il sistema scolastico tardoantico, si affermò faticosamente una rete di centri di insegnamento posti presso grandi monasteri, vescovati e pievi. Un impulso alla riorganizzazione delle sedi e dei contenuti dell’insegnamento, basati sulle discipline del trivio (grammatica, retorica e dialettica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, musica, astronomia) oltre allo studio della Bibbia e dei testi sacri, fu dato dai Carolingi come elemento di una più ampia riforma dell’apparato ecclesiastico e amministrativo.

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La riforma della Chiesa nell’XI secolo ridiede poi slancio alle scuole stabilite presso le chiese e i vescovadi, con una maggiore attenzione all’istruzione ai laici, che come si è visto giocarono un ruolo fondamentale durante la riforma [▶ cap. 2.2]. Il controllo delle attività di insegnamento, che si erano diffuse in modo autonomo in ambito urbano, fu infatti uno degli obiettivi della Chiesa riformata. Nel 1179 il III concilio lateranense emanò importanti canoni in materia di istruzione, disponendo in particolare che gli studiosi idonei, dopo averne fatto richiesta, potessero ottenere una licentia docendi, un permesso di insegnamento rilasciato dal responsabile della scuola cattedrale e valido nell’ambito di una diocesi. Allo stesso modo, consapevole degli strumenti che la scuola e la cultura potevano fornire alla legittimazione delle proprie rivendicazioni, anche l’Impero prese a organizzare una propria politica scolastica e altrettanto fecero i comuni.

A partire dal XII secolo le città divennero sedi di nuove istituzioni scolastiche laiche, che svolgevano le proprie attività parallelamente alle scuole ecclesiastiche. Lo slancio della cultura laica si accompagnò ad altri fenomeni nuovi. Da un lato, l’uso nella scrittura dei ▶ volgari romanzi, che erosero progressivamente l’egemonia del latino e assunsero dignità letteraria in particolar modo nella produzione epica, dalla Chanson de Roland al Cantar del mio Cid, dai Nibelungenlied tedeschi al Beowulf, e nella produzione poetico-lirica siciliana. Dall’altro, una nuova sensibilità architettonica che, combinando in vario modo influssi culturali islamici e bizantini con la tradizione romana, costituì il trionfo della pietra come elemento costruttivo dando origine allo stile “romanico”, come è stato definito nel XIX secolo  [ 12].

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Anche sul piano dei contenuti dell’insegnamento si avvertì un processo di profondo rinnovamento: opere di autori greci ancora poco conosciuti in Occidente, come Aristotele, Platone ed Euclide vennero tradotte in latino grazie all’opera di mediazione di traduttori, copisti e filosofi ebrei e musulmani [▶ fenomeni , p. 180]. Tra questi spiccano l’ebreo Mosheh ben Maimon (Maimonide), autore anche di una originale Guida dei perplessi; il persiano Ibn Sina (Avicenna), autore di un Canone medico, in cui compendiava la scienza medica di Galeno e la biologia aristotelica, e di una enciclopedica opera filosofica (La guarigione dall’errore); il persiano al-Khwarizmi, autore della fondamentale Algebra; il commentatore per eccellenza di Aristotele, il cordovano Ibn Rušd (Averroè). La penisola iberica e il Regno di Sicilia costituirono i due più importanti tramiti della cultura classica e delle opere originali di ogni ramo del sapere prodotte nei grandi centri di cultura islamica del Mediterraneo e d’Asia.

Le nuove conoscenze e la necessità, per le amministrazioni regie e comunali, di uomini giuridicamente preparati favorirono la nascita di associazioni di maestri e studenti analoghe a quelle degli appartenenti ad altre organizzazioni professionali, le universitates; il luogo e l’istituzione universitaria così come la intendiamo oggi erano invece designati con il termine di studium. Tradizionalmente si fa risalire al 1088 la nascita del primo studium a Bologna, grazie all’opera di associazioni di maestri laici di diritto, ma numerosi altri studia furono fondati tra il XII e il XIII secolo: Parigi, per volontà di professori di teologia, chierici, desiderosi di sottrarsi al controllo della scuola episcopale, Montpellier, Oxford, Padova, Cambridge, Napoli (per impulso di Federico II), Vercelli, Salamanca, Tolosa e altri ancora [ 13]. Alcune scuole, come quella medica salernitana, erano già attestate nel XII secolo ma ricevettero una formalizzazione in quello successivo.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
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Dal 1000 al 1715