FENOMENI - Le grandi questioni dell’insegnamento universitario

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Le grandi questioni dell’insegnamento universitario

Fede e ragione

La grande questione al fondo della filosofia medievale era la possibilità di coniugare fede e ragione: sino a che punto è possibile, o lecito, applicare un metodo di indagine dialettico alle Scritture? Mentre alcuni, come Pier Damiani, sostenevano che la logica non si potesse applicare al divino, altri, come Anselmo d’Aosta, aprirono la strada all’indagine logico-linguistica nella teologia. Sulla sua scia altri maestri, come Alberto Magno (1200 ca.-80) e soprattutto Tommaso d’Aquino (1225 ca. -74), professore di teologia a Parigi e teologo della sede pontificia, cercarono di costruire un sistema di interpretazione coerente del mondo, tenendo insieme verità rivelata e pensiero di Aristotele.

Tuttavia non sempre la Chiesa favorì questo atteggiamento di integrazione tra filosofia greca (aristotelismo e neoplatonismo) e religione. Già nel XII secolo Pietro Abelardo, maestro presso la scuola di Notre-Dame a Parigi, ebbe uno scontro durissimo con Bernardo di Chiaravalle in merito alle possibilità di sottoporre le verità di fede all’indagine razionale. Ancora nella seconda metà del XIII secolo, i maestri di teologia domenicani e francescani e la Chiesa rimproverarono a Boezio di Dacia e a Sigieri di Brabante, maestri di Arti a Parigi, i tentativi più estremi di applicazione del metodo scientifico ai testi sacri. I francescani inglesi, per esempio, come Roberto Grossatesta e Ruggero Bacone, accentuarono infatti il valore dell’illuminazione come fondamento della conoscenza umana, criticando l’eccessiva presenza dell’aristotelismo nella teologia.

Al di là di posizioni teologiche e filosofiche potenzialmente pericolose, il problema era il metodo. Sigieri riteneva infatti superiori le verità di fede in ambito religioso, ma sosteneva che i testi dei filosofi dovessero invece essere indagati con metodi razionali; per lui era opportuno dunque distinguere l’indagine filosofica da quella teologica, senza nascondere le conclusioni potenzialmente contraddittorie cui poteva giungere la logica umana rispetto alla rivelazione divina.

La medicina

Lo studio dei testi greci e islamici (Ippocrate, Galeno, Avicenna) tradotti in latino fu progressivamente associato all’esperienza pratica e alla dimostrazione scientifica: chirurgia e dissezione dei cadaveri furono praticate presso la scuola di medicina di Salerno, attivo centro di studi e traduzioni già nel X-XI secolo, e si diffusero poi nel corso del XIV secolo nel resto d’Europa.

Secondo Galeno e i maestri di medicina medievali, l’anatomia non doveva arrestarsi agli organi e ai tessuti visibili, ma giungere in profondità sino agli elementi primari costituenti dei corpi - aria, fuoco, acqua, terra - con le rispettive qualità: freddo, caldo, fluido, solido. Si riteneva infatti che nel corpo umano la diversa combinazione di questi elementi desse luogo ai vari “temperamenti”, associati agli “umori” propri della tradizione ippocratica (sangue, flegma, bile gialla o nera). L’equilibrio tra gli elementi era l’obiettivo della medicina medievale.

Le scienze fisiche

L’opera di traduzione dall’arabo, in Italia (Pisa, Venezia, Palermo) e nella penisola iberica (Toledo), fornì alla cultura europea la possibilità di avere a disposizione testi fondamentali per le scienze fisiche e matematiche. Presso la corte normanna di Palermo furono tradotti l’Almagesto e l’Ottica di Tolomeo, la Meteorologia di Aristotele; a Toledo furono tradotte numerose opere matematiche, tra cui l’Algebra di al-Khwarizmi, che integrava le conoscenze matematiche greche (Euclide e Diofanto) e indiane (Brahmagupta) e introduceva nuovi metodi di soluzione dei calcoli matematici, come i logaritmi e gli algoritmi. Su questa base il pisano Leonardo Fibonacci redasse nel 1202 il suo Liber abaci, che contribuì alla diffusione dello zero e del sistema di numerazione indiano-arabo.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715