PERCORSI STORIOGRAFICI

percorsi storiografici

PERCORSO

TESTI

TEMI

1 Quando inizia la crescita economica medievale?

p. 112

A. Verhulst, Commercio e denaro in epoca carolingia tratto da L’economia carolingia

– Cronologia della crescita economica

– Il ruolo del denaro nei commerci di età carolingia

C. Wickham, Una complessa geografia del dinamismo europeo tratto da L’eredità di Roma

– L’importanza del commercio interno

– Differenze regionali europee

2 Villaggi, curtes e signorie

p. 116

G. Sergi, Curtes e castelli alle origini dei poteri signorili tratto da Curtis e signoria rurale

– La signoria fondiaria

– L’incastellamento

C. Violante, La territorialità del potere signorile tratto da La signoria rurale nel contesto storico dei secoli X-XII

– Gli elementi materiali del potere signorile

– Il concetto di territorio

3 L’immagine di Gerusalemme e la crociata

p. 122

C. Erdmann, Gerusalemme come semplificazione della strategia di Urbano II tratto da Alle origini dell’idea di crociata

– La difesa della cristianità orientale come obiettivo centrale dell’iniziativa pontificia

– Propaganda pontificia e ricezione popolare

C. Tyerman, Gerusalemme come trionfo della libertas ecclesiae tratto da Le guerre di Dio

– Gerusalemme al centro della “nuova guerra” di Urbano II

– Gerusalemme nella liturgia della Chiesa riformata

percorso 1

Quando inizia la crescita economica medievale?

Tradizionalmente la storiografia individua in un arco compreso tra fine X-XI secolo e fine XIII-XIV secolo la fase di crescita economica dell’Occidente medievale. Molti importanti studiosi (J.-P. Devroey, P. Toubert, A. Verhulst) hanno però proposto di anticipare ai secoli VIII-IX la datazione del ciclo espansivo (definendo talvolta questo fenomeno come “prima espansione”), riconoscendo all’economia curtense carolingia un dinamismo produttivo e commerciale che la lettura tradizionale negava. Si tratta di un’interpretazione ormai diffusa, ma che tuttavia non trova tutti d’accordo: alcuni contestano l’efficienza dell’organizzazione curtense; altri fanno notare come le reti commerciali siano per la gran parte, per tutto l’alto Medioevo, sostanzialmente locali; altri ancora, sulla scorta dei risultati delle ricerche archeologiche, notano come le cronologie della crescita cambino a seconda della geografia: la crescita generalizzata dunque, sarebbe un fenomeno riconducibile solo al XII secolo avanzato e al XIII. Una posizione intermedia suggerisce che probabilmente ci si trovi dinanzi a due età della crescita: la seconda di esse, a partire dall’XI-XII secolo, si salda alla prima, di età carolingia, in forme, però, ancora poco chiare e tutte da studiare

testo 1
Adriaan Verhulst

Commercio e denaro in epoca carolingia

La sintesi dello storico belga dà conto della tendenza a far partire la ripresa economica europea dall’VIII secolo anziché dall’XI. Da un’interpretazione pessimistica – derivata dai lavori di un altro grande storico belga, Henri Pirenne – che guardava all’economia delle curtes franche come a un sistema puramente agricolo e dominato dall’autoconsumo, molti storici sono passati invece a delineare un quadro economico vitale e dinamico, prevalentemente agricolo come qualsiasi economia preindustriale, ma per nulla indifferente ai problemi della moneta e degli scambi.

Riguardo al commercio e agli scambi si deve fare attenzione a non applicare in modo semplicistico all’alto Medioevo concetti e realtà di oggi. Commercio oggi significa profitto, ma non sempre in quei secoli i beni venivano venduti e comprati su tale base. L’acquisto e la vendita erano spesso effettuati per necessità, non da mercanti di professione, ma dagli stessi produttori e consumatori. In quei casi il denaro poteva essere sostituito da merci […]. In certe occasioni, a un certo livello sociale, aveva luogo anche il semplice scambio senza denaro nella forma della donazione di oggetti di pregio tra re, principi e membri dell’aristocrazia, ma anche di beni più ordinari, quali il piombo o il sale […]. Per l’economia carolingia alcuni storici propongono addirittura il modello del circuito a doppio livello: uno, privilegiato, riservato ai produttori e ai consumatori che compravano e vendevano per necessità e non per profitto, attraverso operatori che agivano al loro servizio, e un altro sovrapposto al primo di liberi mercanti di professione che agivano per profitto e accettavano esclusivamente denaro, ma erano sottoposti a tasse. In entrambi i casi, tuttavia, e nonostante gli esempi alternativi citati sopra, gli scambi avvenivano di norma a mezzo di denaro, anche se in un’economia largamente autosufficiente. Re, principi, membri dell’aristocrazia e dignitari della Chiesa, al di là di quanto ottenuto tramite donazioni, canoni di dipendenti, tributi e saccheggi, avevano bisogno di denaro per comprare beni rari: spezie d’oltremare, gioielli, seta e altri tessuti costosi, armi e beni generali che non si potevano ottenere tramite baratto. I contadini dipendenti, benché in gran parte tenuti alle consegne e ai servizi obbligatori, dovevano versare alcuni canoni in contante […]. Di tanto in tanto erano costretti a comprare semi e attrezzi agricoli all’esterno della loro fattoria. Ci sono ampie prove della circolazione del denaro nel periodo carolingio: testi riguardanti i pagamenti, spesso in contante, di alti tributi alle bande vichinghe, o relativi a regolazioni di prezzi, mucchi di monete scoperti per via archeologica, ecc., dimostrano l’uso del denaro, disponibile in grosse quantità fin dall’introduzione del nuovo soldo d’argento (denarius) da parte di Pipino III nel 755, più adatto alle operazioni commerciali del tremissis d’oro del periodo merovingio1.


tratto da L’economia carolingia, Salerno, Roma 2004 (ed. orig. Cambridge 2002)

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testo 2
Chris Wickham

Una complessa geografia del dinamismo europeo

Un approfondimento delle dinamiche interne all’economia carolingia viene dalla riflessione dello storico inglese Chris Wickham. Egli, senza negare l’intensificazione dell’attività mercantile nell’Europa occidentale prima dell’XI secolo, è meno categorico di Verhulst o di altri storici sulla tesi della “crescita anticipata” del continente. Pone infatti questioni relative all’incidenza del commercio interno (per il quale la fonte archeologica è fondamentale), alla geografia di questa complessità economica e infine agli attori principali e ai beneficiari di questo dinamismo. Altrove Wickham ha sottolineato come, per aree già sviluppate nei secoli VIII e IX, quali alcune regioni italiane, una vera e propria crescita non sia riscontrabile prima della metà del XII secolo. 

La produzione artigianale e lo scambio erano in via di sviluppo […] a partire dal periodo carolingio. […] in numerosi luoghi, lo scambio era limitato. Ciò era meno vero per la Francia settentrionale, dove si ebbe un significativo movimento di merci lungo i grandi fiumi come il Reno e la Senna, che nell’VIII secolo aveva interessato una serie di porti del Mare del Nord. La maggior parte dello scambio italiano, invece, difficilmente si estendeva al di là dello specifico territorio civico, mentre in Inghilterra, tranne che vicino alla costa orientale, è possibile parlare di scambio quasi esclusivamente a livello di villaggio. Ciò è ancora più vero per la Scandinavia e i territori slavi e celtici, eccezion fatta per i generi di lusso che giungevano alle élite attraverso il Mare del Nord e il Baltico, e lungo i fiumi russi, con la stessa facilità con cui avveniva in Francia e in Italia. Dopo l’800 tutte queste tipologie di scambio divennero più elaborate.

La Francia tra la Loira e il Reno costituisce dopo l’800 la parte economicamente più complessa dell’Occidente. L’archeologia urbana ci mostra una maggiore attività economica, con Magonza che si aggiunge a Dorestad, Colonia e Parigi quale importante centro mercantile e artigianale. Già nel X secolo le popolazioni urbane appaiono svolgere un ruolo politico […]. Nel X secolo abbiamo anche maggiori testimonianze di un’attiva presenza commerciale ebraica nelle città della Renania. Prese a svilupparsi anche un insieme di nuovi centri urbani più piccoli, come il burgus che sorse attorno a Saint-Denis, appena fuori Parigi, e come la rete di città fiamminghe costituita da Bruges, Ghent e Saint-Omer, la cui espansione sembra sia iniziata alla fine del IX secolo e di cui registriamo in questo caso i primi segni di attività. […] Aumentano anche per l’intera Francia settentrionale le prove documentali relative ai mercati, i quali nel X secolo, come mostrano numerose concessioni di diritti di mercato da parte degli Ottoni, coprono anche la Francia orientale. La produzione di ferro è sempre più visibile nel dato archeologico. La produzione ceramica, l’indicatore di gran lunga più chiaro della scala dei sistemi economici, ebbe ulteriore sviluppo […]. La vendita della produzione delle grandi proprietà ecclesiastiche, che abbiamo visto documentata nei polittici, si inseriva in questa rete. Persino in Francia, la maggior parte dello scambio era sempre relativamente locale; l’80% circa delle monete sono state ritrovate all’interno di un raggio di 100 chilometri dai loro luoghi di conio. C’era comunque sufficiente traffico interregionale di merci di ogni tipo per offrire l’impressione di una notevole attività. Questa sarebbe proseguita ormai senza interruzione grazie al decollo della produzione di tessuti nelle città fiamminghe dopo il 1000 e le grandi fiere della Champagne del secolo successivo: elementi che determinarono un nuovo livello di complessità dello scambio e che tuttavia avevano salde radici nel IX e nel X secolo. […] Situazione analoga presenta l’Italia. Poiché la penisola era la parte più vicina del mondo latino alle importanti reti di scambio del Mediterraneo musulmano meridionale e orientale, attorno ad essa si ebbero rotte marine a lungo raggio sempre più attive, con Venezia che dopo il tardo VIII secolo divenne rapidamente un centro commerciale in specie per il commercio di schiavi verso il mondo arabo […]. Nel X secolo, nell’Italia meridionale, la parte più ricca della penisola, Venezia venne affiancata dall’attività commerciale di Amalfi, Salerno, Gaeta, Napoli (la più grande di queste città). Le quali, persino più di Venezia, guardavano al mondo arabo. Tuttavia, lo scambio internazionale non rifletteva pienamente l’attività decisamente più moderata dell’economia italiana dell’entroterra. Le città italiane dell’interno della penisola erano molto grandi secondo gli standard occidentali; avevano tutte mercati attivi e, in specie nel X secolo, come mostrano i prezzi in crescita per le abitazioni di Milano, erano in via di espansione. Alcune rappresentavano punti di riferimento per uno scambio di più ampio raggio, in particolare Pavia e Cremona. Ma le altre erano centri di scambio che operavano soprattutto a livello locale. […] Nelle pagine precedenti, ho messo in rilievo la crescente attività di scambio del periodo 800-1000, ma il suo significato non dovrebbe essere esagerato. In particolare, non dobbiamo sovrastimare l’importanza degli itinerari a lungo raggio. […] Come nel Mediterraneo, sono le economie interne dell’Europa a contare di più; la maggior parte delle merci veniva trasportata, acquistata e venduta all’interno delle regioni, non all’esterno (se questo è vero ancora oggi, figuriamoci un migliaio di anni fa), e la complessità economica, lo «sviluppo», dipendeva soprattutto da queste. […] Alla fine del periodo oggetto del nostro studio si ebbe quindi una qualche vitalità commerciale nell’Europa occidentale, ma non un vero e proprio decollo dello scambio. […] Tuttavia, cosa spiega l’attività di scambio che si può osservare nel IX e nel X secolo? Ho sostenuto […] che prima dell’800 il motore dello scambio era, grosso modo, la ricchezza e il potere d’acquisto degli aristocratici: quanto più ricche erano le élite, tanto più erano in grado di sostenere reti di produzione e distribuzione su larga scala. Dopo l’800, e in misura maggiore dopo il 950 circa, si può aggiungere a ciò l’accresciuta complessità economica che una popolazione in crescita avrebbe di per sé comportato; inoltre, persino i contadini potevano trarre benefici dall’espansione economica […] e i signori, che traevano canoni da più individui e luoghi, certamente se ne avvantaggiarono. Ma il principale motore era ancora aristocratico. E in questo contesto l’incasellamento dei contadini rappresentò un elemento di fondamentale importanza. Tutte le dinamiche tese a un più forte assoggettamento dei contadini […] ebbero quale risultato la concentrazione del surplus nelle mani dei signori, attraverso i canoni e i diritti signorili. La percentuale di produzione globale che finiva nelle mani dei signori si accresceva continuamente (talvolta, come in Inghilterra, rapidamente). Il potere d’acquisto aristocratico si accrebbe quindi di conseguenza. Fu questo ad alimentare lo scambio del IX e nel X secolo, e lo avrebbe alimentato ancora per alcuni secoli, perché fu solo molto in là nel Medioevo che lo scambio capillare poté ovunque fare affidamento sui contadini in modo sufficiente per auto sostenersi. […] Gli storici tendono a valutare positivamente la complessità dello scambio, e usano per descriverlo parole dalla forte connotazione positiva quali prosperità, sviluppo e (come ho fatto anch’io) dinamismo. Ma la complessità ha i suoi costi, e il suo costo nel periodo che stiamo studiando fu un passo decisivo verso la limitazione dell’autonomia (e talvolta, in effetti, della prosperità) di una quota tra l’80 o il 90 per cento della popolazione.


tratto da L’eredità di Roma. Storia d’Europa dal 400 al 1000 d. C., Laterza, Roma – Bari 2014

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Il LINGUAGGIO della storiografia

Riconduci ciascuna delle seguenti espressioni allo storico che l’ha utilizzata e contestualizzala rispetto alla tesi sostenuta nei testi che hai letto (massimo 5 righe).


a) La produzione artigianale e lo scambio erano in via di sviluppo […] a partire dal periodo carolingio.

b) Commercio oggi significa profitto, ma non sempre in quei secoli i beni venivano venduti e comprati su tale base.

c) Tutte le dinamiche tese a un più forte assoggettamento dei contadini […] ebbero quale risultato la concentrazione del surplus nelle mani dei signori.

d) Modello del circuito a doppio livello.

Storie A CONFRONTO

Individua la tesi di fondo dei due testi proposti aiutandoti con lo schema di inizio sezione e compila la seguente scheda di sintesi e comparazione dei documenti.


  Commercio e denaro in epoca carolingia Una complessa geografia del dinamismo europeo 
TESI    
ARGOMENTAZIONI    
PAROLE CHIAVE    
Cooperative Learning

competenza DIGITALE Dividiamo la classe in piccoli gruppi con la guida dell’insegnante. Il compito di ciascun gruppo è costruire una definizione della parola “Scambio”, contestualizzandola nel contesto storico che stiamo studiando. I gruppi possono aiutarsi consultando il lemma “Scambio” sul Dizionario online Treccani di economia e finanza (http://www.treccani.it/enciclopedia/scambio_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29).

 >> pagina 116 

percorso 2

Villaggi, curtes e signorie

La signoria è un concetto storiografico, uno strumento utile a interpretare l’ampio campo semantico relativo alla nozione, presente nelle fonti medievali, di dominium e dominus. Ogni scuola storiografica nazionale ha dunque elaborato un proprio concetto di signoria, con cronologie e geografie diverse a seconda dei territori studiati. In linea generale, la signoria può essere ricondotta all’esercizio di due ambiti di potere: economico, instaurato tra un proprietario terriero e i contadini dipendenti, definito in Italia come “signoria fondiaria”; politico-militare, legato a prerogative di comando e di coercizione che in teoria afferirebbero alla sfera pubblica, definito come “signoria territoriale” o “bannale”. Come notava già Marc Bloch in un fondamentale volume sulla Società feudale, l’esercizio di un tipo di potere non esclude però l’altro, anzi, sono spesso intrecciati tra loro. Indagare sulle “interferenze” tra le due strutture di potere e proporre un modello interpretativo efficace per comprendere e paragonare le numerose variabili assunte dal fenomeno è lo sforzo cui tendono le ricerche più recenti. 
testo 1
Giuseppe Sergi

Curtes e castelli alle origini dei poteri signorili

Nel brano qui proposto, tratto da un volume orientato alla didattica universitaria, Giuseppe Sergi spiega il nesso tra proprietà fondiaria e nascita di ambiti di potere signorile (e non feudale), che aggiungono al controllo economico, di natura privata, quello relativo all’esercizio di poteri di natura pubblica. La parziale sovrapposizione tra strutture del potere è resa evidente dagli schemi che accompagnano il testo.

Sin dagli inizi del Novecento gli storici del Medioevo si sono convinti che è impossibile trovare un’investitura feudale all’origine di ognuno dei piccoli ambiti di potere postcarolingi. Quegli ambiti non erano «feudi»; e non erano «feudatari» quei potenti personaggi che, dal loro castello, esercitavano protezione e dominio sui contadini della zona circostante. Che cos’erano, allora? Le fonti medievali definiscono dòmini quei potenti e dominatus loci i territori del loro potere: la traduzione è «signori» e «signorie locali». Consideriamo allora i processi di formazione e la struttura di queste signorie. Era tradizione risalente all’età romana che le famiglie potenti, all’interno dei loro patrimoni terrieri, esercitassero sui coltivatori non soltanto un controllo economico, ma anche forme di protezione, di coordinamento e di disciplina sociale. Totali sui servi, più leggeri e informali sui liberi, questi poteri si precisarono attraverso il loro esercizio sulle parti diverse («dominico» e «massaricio», a gestione diretta e a gestione indiretta) delle curtes, le grandi aziende agrarie in cui si articolava il grande possesso altomedievale. Queste signorie, che possiamo definire «fondiarie», erano tutt’altro che compatte. Erano costituite da curtes lontane fra loro, le stesse curtes erano molto frammentate al loro interno, nel medesimo villaggio abitavano contadini dipendenti da signori diversi: questa assenza di compattezza territoriale aveva agevolato, nei regni romano-barbarici e nella prima età carolingia, una chiara distinzione fra il governo militare e civile degli ufficiali regi e l’empirica e quotidiana influenza sociale dei signori fondiari. Nella stessa età carolingia la signoria fondiaria accentua la sua ambizione di incorporare poteri militari e giurisdizionali di origine pubblica: danno una spinta in questo senso le concessioni regie di immunità (ottenute da enti religiosi e imitate nei loro effetti da ricchi laici) e le costruzioni di «chiese private», grazie alle quali molti signori fondiari cominciano a influire sull’ordinamento ecclesiastico, ad aumentare il loro prestigio e ad agire anche su contadini non inseriti nei loro nuclei fondiari. Ma è decisivo, nel declinare degli ordinamenti carolingi e soprattutto nel X secolo, l’incastellamento. I castelli, edificati su terre possedute da signori, determinano intorno a sé la formazione di autonomi circondari militari e giurisdizionali. Allora al signore del castello cominciarono a essere sottoposti tutti i residenti del circondario: non solo i coltivatori delle terre possedute dal signore, ma anche coltivatori di terre di grandi possessori lontani (che avevano eventualmente altrove i loro centri signorili incastellati) e, infine, un numero non esiguo di piccoli possessori che coltivavano terra propria. Con questa costruzione territoriale il signore si era assicurato il potere «di banno» (cioè di coercizione e di comando […]) e quel potere era ormai territorializzato: non dipendeva cioè dalla distribuzione frammentata dei suoi possedimenti, non era esercitato solo sui suoi coltivatori, ma su un territorio compatto e su tutti i contadini che a vario titolo lo abitavano. Per queste due caratteristiche a tale signoria, che si può semplicemente definire «signoria rurale», è attribuita anche la definizione di «signoria territoriale di banno». Tutti i contadini inseriti nella signoria rurale erano accomunati dal fatto di essere sudditi del signore. Pagavano al signore, e non più agli ufficiali regi, tasse e prestazioni di origine pubblica (pedaggi, contributi per il mantenimento della fortezza e di gruppi di armati) e altre «bannalità» legate alla struttura della nuova signoria: come i pagamenti per l’uso (obbligatorio) dei mulini e di altre attrezzature del signore. Coloro che, inoltre, abitavano e coltivavano terra del signore, avevano altri distinti oneri: dovevano pagare il censo (un affitto) per i campi che erano stati loro affidati e fornire (sempre come pagamento dello sfruttamento della terra) prestazioni d’opera (le corvées) sulle terre «dominiche» che il signore gestiva direttamente. Con un fitto mosaico di queste signorie sono governate le campagne dei secoli X-XIII: è caratteristica del regime signorile il concentrarsi di rendite fondiarie e di proventi «bannali» nella medesima gestione signorile. Spesso ai signori conveniva seguire la riscossione dei proventi di natura signorile con attenzione maggiore di quella riservata all’amministrazione fondiaria: perché spesso quei proventi costituivano una voce più rilevante delle rendite agricole nel complesso delle entrate signorili. Non bisogna tuttavia dimenticare quanto fosse eterogenea, all’interno, la signoria; non bisogna confondere i possessi del signore con le zone in cui esercitava soltanto il potere bannale; non bisogna pensare che il signore riducesse tutti i contadini al rango di suoi coltivatori e che potesse chiedere a tutti le medesime prestazioni; non bisogna dimenticare l’esistenza della piccola proprietà. Non bisogna pensare al brutale esercizio del potere di un latifondista sui contadini del suo latifondo, a una pura militarizzazione e politicizzazione del possesso fondiario: la signoria rurale è […] ben più estesa all’esterno e ben più complessa all’interno.


tratto da Curtis e signoria rurale. Interferenze fra due strutture medievali. Antologia di storia medievale, Scriptorium, Torino 1996

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testo 2
Cinzio Violante

La territorialità del potere signorile

Nel saggio, che funge da introduzione a un volume importante per la storiografia recente sulla signoria rurale, Cinzio Violante traccia un ampio quadro degli sviluppi della signoria, mettendone in evidenza distinzioni concettuali, origini, condizioni sociali e giuridiche dei signori e dei dipendenti. Il brano proposto si concentra su alcune strutture territoriali tipiche della signoria rurale e sui diritti a esse connessi. 

Il nucleo centrale del territorio signorile era costituito da un elemento originario, per così dire propulsore, e da altri due che ad esso erano strettamente legati. In un primo momento (tra la fine del secolo X e il principio dell’XI) elemento originario fu – in genere – la “corte” padronale. Gli altri due elementi, il castello e la cappella, erano immediatamente pertinenti alla “corte”, a cui erano inoltre topograficamente vicinissimi: «… curtis cum castro et capella». Infatti nei documenti il castello e la cappella erano indicati sempre al primo posto tra le pertinenze della “corte”. Questa condizione della “corte” si spiega con il fatto che essa era già il centro organizzativo ed economico delle attività agrarie, comunque organizzate, e il luogo dove si amministravano i diritti e i poteri della “signoria fondiaria” e della “immunitaria”. E di solito accanto alla “corte” c’era intanto il castello. Ma presto nella “signoria territoriale” elemento originario cominciò ad essere il castello, o comunque – dalla metà (circa) del secolo XI – il castello prevalse sulla “corte” e sulla cappella, che diventarono sue pertinenze immediate, al primo posto tra le altre: «… castrum cum curte et capella». Il castello derivava la sua crescente influenza tutt’intorno dalle sue funzioni militari, alle quali si accomunavano i diritti e i poteri che facevano capo alla “corte” o alla cappella. Infine era dotata di propri poteri, sebbene di natura diversa, pure la cappella signorile, che diventava sempre più il centro della cura d’anime per tutto il territorio, completando così i poteri connessi con il castello e con la “corte”. Nei documenti che descrivono la “signoria territoriale” quei tre elementi che ho ora illustrati compaiono sempre ai primi posti e non sono separati l’uno dall’altro ma costituiscono come un tutt’uno, un nucleo centrale, appunto. […] Chi possedesse la “corte”, il castello e la cappella poteva disporre dei diritti signorili connessi con quel nucleo centrale applicandoli alle terre che ne erano pertinenza e si trovava anche in grado di estenderli all’intero territorio che contestualmente si veniva formando. Si verificava così la “territorialità”, in quanto i diritti regalistici e d’altro tipo non erano connessi con i singoli terreni, che potevano appartenere anche ad altri, ma diventavano elemento giuridico costitutivo del territorio connettendosi particolarmente con il nucleo centrale signorile. […] Sempre nelle descrizioni della “signoria territoriale” troviamo elencati, dopo gli elementi che ne costituivano il nucleo centrale […], le pertinenze («cum casis, terris, pratis, boscuis … et accessionibus … pertinentibus») e infine i diritti signorili («cum iurisdictionibus, districtionibus, condicionibus, usibus …») […]. Con l’andare del tempo il castello assorbì la corte, che sempre più spesso nei documenti non veniva nemmeno più rammentata, e finì con l’inglobarla materialmente estendendo le proprie dimensioni. Da allora la corte (curtis) non fu altro che la sede e l’ufficio della giustizia signorile (curia). D’altra parte, la cappella si estraneò progressivamente dal nucleo centrale della signoria poiché i diritti di patronato del signore cedevano di fronte al recupero dei poteri circoscrizionali d’ufficio degli ecclesiastici (recupero, che avveniva nel clima della riforma) e di fronte alla crescente partecipazione dei fedeli ai problemi pratici della loro chiesa. Perciò sempre più spesso dagli ultimi anni del secolo XII troviamo solo il castello al centro giuridico della “signoria territoriale”. A causa della territorialità della signoria ogni libero poteva, indipendentemente dal suo stato giuridico personale, avere titolo legittimo all’esercizio dei diritti signorili ma solo mediante l’acquisto del nucleo centrale di un territorio con i diritti connessi e con le terre ad esso pertinenti. Così la “signoria territoriale” veniva trattata al pari di una piena proprietà e, come tale, veniva acquistata e ceduta per mezzo di vari negozi giuridici di natura privatistica (compravendita, permuta, donazione, livello, enfiteusi, “giudicato” o testamento); veniva anche data in pegno a garanzia dell’adempimento di obblighi di natura feudale o perfino a cautela di prestiti di somme in danaro. Essendo considerata come piena proprietà, la “signoria territoriale” poteva inoltre essere spartita ereditariamente ed anche essere alienata divisa in quote.


tratto da La signoria rurale nel contesto storico dei secoli X-XII, in Strutture e trasformazioni della signoria rurale nei secoli X-XIII, Atti della XXXVII settimana di studio dell’Istituto storico italo-germanico (Trento, 12-16 settembre 1994), a cura di G. Dilcher, C. Violante, Il Mulino, Bologna 1996

 >> pagina 121 

Il LINGUAGGIO della storiografia

Riconduci ciascuna delle seguenti espressioni allo storico che l’ha utilizzata e contestualizzala rispetto alla tesi sostenuta nei testi che hai letto (massimo 5 righe).


a) Assenza di compattezza territoriale […] nei regni romano-barbarici e nella prima età carolingia. 

b) Territorialità […] i singoli terreni diventavano elemento giuridico costitutivo del territorio. 

c) La “signoria territoriale” veniva trattata al pari di una piena proprietà. 

d) È decisivo, nel declinare degli ordinamenti carolingi e soprattutto nel X secolo, l’incastellamento.

Storie A CONFRONTO

Individua la tesi di fondo dei due testi proposti aiutandoti con lo schema di inizio sezione e compila la seguente scheda di sintesi e comparazione dei documenti.


  Curtes e castelli alle origini dei poteri signorili La territorialità del potere signorile 
TESI    
ARGOMENTAZIONI    
PAROLE CHIAVE    
Cooperative Learning
  • Nel testo 2, lo storico Cinzio Violante afferma: «Il nucleo centrale del territorio signorile era costituito da un elemento originario, per così dire propulsore, e da altri due che a esso erano strettamente legati». I tre elementi sono la “corte”, il “castello” e la “cappella”. 


  • Dopo aver diviso la classe in tre gruppi con la guida dell’insegnante, assegniamo a ciascuno il compito di realizzare un approfondimento su uno dei tre elementi che costituiscono il territorio signorile (“corte”, “castello” e “cappella”). I gruppi lavorano in classe ricercando informazioni sui tre lemmi online e nei brani proposti. 


  • competenza DIGITALE Ciascun gruppo dovrà poi preparare una presentazione digitale (utilizzando PowerPoint – Prezi – Thinglink – Sway) per illustrare alla classe il proprio lavoro. Tempo di relazione massimo 15 minuti.

  • Storie. Il passato nel presente - volume 1
    Storie. Il passato nel presente - volume 1
    Dal 1000 al 1715