3. L’immagine di Gerusalemme e la crociata

percorso 3

L’immagine di Gerusalemme e la crociata

La storiografia ha ormai da tempo riconosciuto un ampio ventaglio di motivazioni che spingevano alla partenza per la crociata. La tradizionale interpretazione della crociata come possibilità di arricchimento e ascesa sociale per cavalieri occidentali – privati della signoria o del feudo per essere figli cadetti – è stata dunque ridiscussa nell’ottica di una maggiore complessità. Dal punto di vista economico, ad esempio, si è notato come partecipare a un’impresa del genere fosse molto dispendioso e costringesse a impegnare o vendere tutti i propri beni e che solo pochi abbiano poi goduto di vantaggi o acquisito posizioni di prestigio in Oriente. Si è tornati dunque a indagare anche sulle motivazioni “immateriali” (ad esempio perdono dei peccati; desiderio di gloria famigliare e di memoria delle proprie imprese) che la Chiesa dell’XI secolo aveva saputo suscitare in vari strati della società: tra queste, il fascino di Gerusalemme, che la liturgia riformata fa adesso percepire come un luogo perduto dalla cristianità (in realtà la Città Santa era stata conquistata dagli eserciti arabi oltre quattro secoli prima, nel 637), da riconquistare grazie alla “nuova” cavalleria.

testo 1
Carl Erdmann

Gerusalemme come semplificazione della strategia di Urbano II

L’opera di Carl Erdmann è fondamentale nella storiografia sulle crociate perché pone ma­gi­stralmente in evidenza le relazioni tra i pellegrinaggi armati in Terrasanta (e analoghe imprese militari nella penisola iberica e in Italia meridionale) e quanto accade alla Chiesa occidentale, sia al suo interno, sia nelle relazioni materiali e spirituali che sviluppa con il ceto cavalleresco, mentre invece una buona parte della storiografia contemporanea e successiva ha prevalentemente posto l’attenzione su aspetti socio-economici. Nel passo proposto l’autore ipotizza che il richiamo alla conquista di Gerusalemme, nell’iniziativa di Urbano II, sia stato più propagandistico che reale, mirando invece alla liberazione dell’intera cristianità orientale.

A Piacenza, al fine di salvare la Chiesa dall’annientamento, il pontefice predicò la guerra contro i pagani, che si erano spinti fino alle mura di Costantinopoli. Ciò non significava che si volesse difendere solo Costantinopoli, che in quel momento non era minacciata direttamente. Piuttosto, l’intento era evidentemente di passare al contrattacco, espandendo di nuovo, dapprima, i confini del dominio cristiano in Asia Minore e liberando dalla dominazione turca i cristiani che ancora vi risiedevano numerosi […]. È del tutto possibile che già a Piacenza si sia ricordata anche Gerusalemme tra i luoghi in cui la Chiesa cristiana doveva essere preservata dalla distruzione […]. Per questo aspetto, non vi è stato, a Clermont, alcun mutamento di fondo: non si parlò più direttamente, tuttavia, dell’aiuto da fornire all’Impero bizantino, evidentemente perché quest’idea non godeva, in Occidente, di particolare popolarità; in compenso però, l’obiettivo della guerra era descritto semplicemente come liberazione della Chiesa d’Oriente, il che, de facto, avrebbe avuto il medesimo esito. Una volta che si fosse iniziato a combattere, infatti, le cose non avrebbero potuto andare molto diversamente da come in effetti andarono: in primo luogo era necessario riconquistare l’Asia Minore, alleandosi con l’imperatore bizantino. Come motivazione dell’impresa, il papa citò la furia dei Turchi contro la Chiesa d’Oriente ridotta in sudditanza ed in particolare nella città di Gerusalemme. Con questo, egli rimase nel quadro del suo piano originario. Si trattò solo di uno spostamento d’accento […]. Il porre in evidenza Gerusalemme costituiva quindi, per il pontefice, semplicemente un mezzo finalizzato al reclutamento dell’esercito. In ragione di questo egli s’indusse a designare Gerusalemme come meta della spedizione; fine della guerra era, e rimaneva, però, la liberazione della Chiesa orientale nella sua totalità. Evidentemente, Urbano riteneva che queste due finalità, benché eterogenee, potessero coesistere ed ha avuto ragione, almeno in una certa misura, come ha mostrato lo svolgimento della prima crociata. Tuttavia, accanto a ciò, nella concezione popolare non poté che prodursi una semplificazione ed una riduzione di questa idea, dal momento che si cominciò a considerare la liberazione del Santo Sepolcro, indipendentemente dal destino del resto d’Oriente, come vero e proprio fine della guerra. Questa finalizzazione «mistica», contraria ad ogni logica militare, la cui origine immediata non dobbiamo ricercare nel pontefice, emerse qua e là già durante la prima crociata; l’esito finale di questa concezione sarebbe poi stata la guerra condotta per la «Terrasanta».


tratto da Alle origini dell’idea di crociata, Centro italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto 1996 (ed. orig. Stuttgart 1935; ed. ingl. Princeton 1977)

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testo 2
Christopher Tyerman

Gerusalemme come trionfo della libertas ecclesiae

Christopher Tyerman, uno dei più affermati studiosi contemporanei delle crociate, pur ammirando la ricostruzione del contesto culturale della crociata proposto da Erdmann e la sua valutazione di fenomeno scaturito all’interno della Chiesa riformata, in questo brano si discosta dal­l’in­terpretazione dello storico tedesco sul ruolo puramente propagandistico della conquista di Gerusalemme nella predicazione della prima crociata, puntando invece l’attenzione sul suo ruolo tanto reale quanto ideale nel pensiero di Urbano II.

Nel 1095 Gerusalemme divenne la pietra angolare del concetto di guerra penitenziale di Urbano. Il decreto di Clermont, conservato dal vescovo di Arras e ripetuto quasi parola per parola dal papa in una lettera a Bologna nel 1096, non lasciava spazio ad equivoci: «Chiunque per sola devozione, non perseguendo onore o denaro, si rechi a Gerusalemme per liberare la Chiesa di Dio può sostituire con il viaggio tutte le penitenze». Scrivendo ai sostenitori nelle Fiandre pochi giorni dopo il discorso a Clermont, Urbano parlò della conquista e della devastazione della Chiesa d’Oriente a opera dei musulmani: «Quel che è peggio, si sono impadroniti della Città Santa di Cristo, ornata dalla sua passione e resurrezione, e […] hanno venduto la città e le sue chiese riducendola in abominevole schiavitù […] abbiamo visitato la Gallia e abbiamo raccomandato con fervore ai signori e ai sudditi di quella terra di liberare le Chiese d’Oriente […] e abbiamo imposto loro l’obbligo di intraprendere tale iniziativa militare per la remissione di tutti i peccati».

Le descrizioni della sua predicazione nella valle della Loira lasciateci dai contemporanei e riprese in numerosi documenti […] confermano che Urbano esortava le persone a «recarsi a Gerusalemme a scacciare i pagani». Come il papa scrisse in una lettera ai monaci di Vallombrosa nell’ottobre 1096, le sue reclute erano «dirette a Gerusalemme con il buon proposito di liberare la cristianità». Restituire alla cristianità i luoghi che avevano fatto da sfondo alla chiesa ideale raccontata negli Atti degli Apostoli era qualcosa di più di un dispositivo propagandistico, di un contentino o di una capitolazione a un populismo malinformato1, come hanno sostenuto alcuni storici novecenteschi, tra i quali Carl Erdmann. Era invece il segno della massima libertas ecclesiae per cui l’intero movimento di riforma della Chiesa si stava battendo da mezzo secolo.

Gerusalemme, nell’XI e in altri secoli, non definiva solo una città terrestre, ma anche una città ideale. La si poteva usare come una metafora del mondo redento da Cristo […] poteva rappresentare una condizione e un’aspirazione spirituale […]. Eppure, con tutte le sue qualità liminali2 – sospesa tra cielo e terra, tra Dio e l’uomo – Gerusalemme non cessava di essere un luogo fisico, oltre che ideale, temporale oltre che spirituale, corporea oltre che soprannaturale. Nei secoli X e XI la sua lontananza […] e la sua connessione con la vita, la passione e la resurrezione di Cristo assicurarono a Gerusalemme il ruolo di meta di pellegrinaggio più meritoria, al punto che il cronista Rodolfo il Glabro annotò che quel viaggio rischiava di divenire un vezzo e una moda, anziché un atto di pietà. Le difficoltà del viaggio, centuplicate dalla guerra, ne assicuravano il potere di attrazione penitenziale. […] Papa Urbano II era particolarmente sensibile al richiamo di Gerusalemme. Come monaco e, più tardi, alla fine degli anni Sessanta del secolo XI, come priore di Cluny, fu esposto a vivide immagini della Città Santa nell’interminabile canone liturgico, nei Salmi […] oltre che nelle speciali cerimonie che circondavano la Pasqua e la Pentecoste nella grande abbazia borgognona. […] In veste di cardinale di Roma, dopo il 1079, Urbano era sempre circondato da reliquie di Gerusalemme e della Terrasanta, in particolare la collezione custodita presso il palazzo del Laterano, a quel tempo abituale residenza romana del papa. Della raccolta lateranense facevano parte il cordone ombelicale e il prepuzio di Cristo, più una piccola quantità del suo sangue, frammenti della croce, numerosi oggetti associati al ministero e alla Passione di Gesù (per esempio, un pane e tredici fagioli provenienti dall’ultima cena), reliquie di santi della Terrasanta e numerosi campioni naturali, tra cui rocce provenienti da Betlemme, dal Monte degli Ulivi, al fiume Giordano, dal Calvario e dallo stesso Santo Sepolcro. Una collezione di tal fatta era in linea con la devozione religiosa del secolo XI, sempre più tendente ad allontanarsi dai santi locali per avvicinare quelli di richiamo mondiale, come san Nicola di Bari o il culto della Vergine Maria. […] Non fu la predicazione di Urbano nel 1095 a causare quell’interesse o quell’entusiasmo, per quanto possa averli rafforzati e ampliati: il papa, piuttosto, usò i resti di vecchie armi per forgiarne una nuova.


tratto da Le guerre di Dio. Nuova storia delle crociate, Einaudi, Torino 2012 (ed. orig. London 2006)

 >> pagina 125 

Il LINGUAGGIO della storiografia

Riconduci delle seguenti espressioni proposta allo storico che l’ha utilizzata e contestualizzala rispetto alla tesi sostenuta nei testi che hai letto (massimo 5 righe). 


a) Il papa, piuttosto, usò i resti di vecchie armi per forgiarne una nuova. 

b) Fine della guerra era, e rimaneva, la liberazione della Chiesa orientale nella sua totalità. 

c) Si cominciò a considerare la liberazione del Santo Sepolcro […] come vero e proprio fine della guerra.

d) Nel 1095 Gerusalemme divenne la pietra angolare del concetto di guerra penitenziale di Urbano.

Storie A CONFRONTO

Individua la tesi di fondo dei due testi proposti aiutandoti con lo schema di inizio sezione e compila la seguente scheda di sintesi e comparazione dei documenti.


  Gerusalemme come semplificazione della strategia di Urbano II Gerusalemme come trionfo della libertas ecclesiae
TESI    
ARGOMENTAZIONI    
PAROLE CHIAVE    
RIASSUMERE un testo argomentativo

Dopo aver schematizzato i saggi con l’aiuto della tabella dell’esercizio precedente, suddividi i due testi in paragrafi e assegna a ciascun paragrafo un titolo. A partire da questi paragrafi sviluppa un testo di mezza pagina di quaderno che riassuma le argomentazioni dei due brani proposti.


  Gerusalemme come semplificazione della strategia di Urbano II Gerusalemme come trionfo della libertas ecclesiae
PARAGRAFO 1    
PARAGRAFO 2    
PARAGRAFO 3    

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715