Nel 1095 Gerusalemme divenne la pietra angolare del concetto di guerra penitenziale di Urbano. Il decreto di Clermont, conservato dal vescovo di Arras e ripetuto quasi parola per parola dal papa in una lettera a Bologna nel 1096, non lasciava spazio ad equivoci: «Chiunque per sola devozione, non perseguendo onore o denaro, si rechi a Gerusalemme per liberare la Chiesa di Dio può sostituire con il viaggio tutte le penitenze». Scrivendo ai sostenitori nelle Fiandre pochi giorni dopo il discorso a Clermont, Urbano parlò della conquista e della devastazione della Chiesa d’Oriente a opera dei musulmani: «Quel che è peggio, si sono impadroniti della Città Santa di Cristo, ornata dalla sua passione e resurrezione, e […] hanno venduto la città e le sue chiese riducendola in abominevole schiavitù […] abbiamo visitato la Gallia e abbiamo raccomandato con fervore ai signori e ai sudditi di quella terra di liberare le Chiese d’Oriente […] e abbiamo imposto loro l’obbligo di intraprendere tale iniziativa militare per la remissione di tutti i peccati».
Le descrizioni della sua predicazione nella valle della Loira lasciateci dai contemporanei e riprese in numerosi documenti […] confermano che Urbano esortava le persone a «recarsi a Gerusalemme a scacciare i pagani». Come il papa scrisse in una lettera ai monaci di Vallombrosa nell’ottobre 1096, le sue reclute erano «dirette a Gerusalemme con il buon proposito di liberare la cristianità». Restituire alla cristianità i luoghi che avevano fatto da sfondo alla chiesa ideale raccontata negli Atti degli Apostoli era qualcosa di più di un dispositivo propagandistico, di un contentino o di una capitolazione a un populismo malinformato1, come hanno sostenuto alcuni storici novecenteschi, tra i quali Carl Erdmann. Era invece il segno della massima libertas ecclesiae per cui l’intero movimento di riforma della Chiesa si stava battendo da mezzo secolo.
Gerusalemme, nell’XI e in altri secoli, non definiva solo una città terrestre, ma anche una città ideale. La si poteva usare come una metafora del mondo redento da Cristo […] poteva rappresentare una condizione e un’aspirazione spirituale […]. Eppure, con tutte le sue qualità liminali2 – sospesa tra cielo e terra, tra Dio e l’uomo – Gerusalemme non cessava di essere un luogo fisico, oltre che ideale, temporale oltre che spirituale, corporea oltre che soprannaturale. Nei secoli X e XI la sua lontananza […] e la sua connessione con la vita, la passione e la resurrezione di Cristo assicurarono a Gerusalemme il ruolo di meta di pellegrinaggio più meritoria, al punto che il cronista Rodolfo il Glabro annotò che quel viaggio rischiava di divenire un vezzo e una moda, anziché un atto di pietà. Le difficoltà del viaggio, centuplicate dalla guerra, ne assicuravano il potere di attrazione penitenziale. […] Papa Urbano II era particolarmente sensibile al richiamo di Gerusalemme. Come monaco e, più tardi, alla fine degli anni Sessanta del secolo XI, come priore di Cluny, fu esposto a vivide immagini della Città Santa nell’interminabile canone liturgico, nei Salmi […] oltre che nelle speciali cerimonie che circondavano la Pasqua e la Pentecoste nella grande abbazia borgognona. […] In veste di cardinale di Roma, dopo il 1079, Urbano era sempre circondato da reliquie di Gerusalemme e della Terrasanta, in particolare la collezione custodita presso il palazzo del Laterano, a quel tempo abituale residenza romana del papa. Della raccolta lateranense facevano parte il cordone ombelicale e il prepuzio di Cristo, più una piccola quantità del suo sangue, frammenti della croce, numerosi oggetti associati al ministero e alla Passione di Gesù (per esempio, un pane e tredici fagioli provenienti dall’ultima cena), reliquie di santi della Terrasanta e numerosi campioni naturali, tra cui rocce provenienti da Betlemme, dal Monte degli Ulivi, al fiume Giordano, dal Calvario e dallo stesso Santo Sepolcro. Una collezione di tal fatta era in linea con la devozione religiosa del secolo XI, sempre più tendente ad allontanarsi dai santi locali per avvicinare quelli di richiamo mondiale, come san Nicola di Bari o il culto della Vergine Maria. […] Non fu la predicazione di Urbano nel 1095 a causare quell’interesse o quell’entusiasmo, per quanto possa averli rafforzati e ampliati: il papa, piuttosto, usò i resti di vecchie armi per forgiarne una nuova.
tratto da Le guerre di Dio. Nuova storia delle crociate, Einaudi, Torino 2012 (ed. orig. London 2006)