Contesti d’arte - volume 3

Un ritrattista impietoso

I ritratti di Goya – anche nei casi più illustri come quello della Famiglia di Carlo IV (2) – sono lucide analisi dei personaggi, le cui fisionomie vengono indagate con una certa inclinazione al grottesco.

La famiglia di Carlo IV

Pittore di corte dal 1799 al 1826, Goya realizza un dipinto di oltre tre metri di base che riunisce l’intera famiglia reale. L’artista si autoritrae nella penombra dello sfondo di fronte alla tela, in un’evidente citazione delle Meninas di Velázquez. Nel maggio del 1800, approfittando di un soggiorno della famiglia reale nel Palazzo di Aranjuez, appena fuori Madrid, Goya realizza i bozzetti a grandezza naturale di ogni membro della famiglia reale, in modo da non disturbarli con estenuanti sedute di posa collettiva. Solo dopo l’approvazione del committente Goya può dunque cominciare a costruire il dipinto, tenendo naturalmente conto dei rapporti familiari e gerarchici. Goya lascia in ombra la parte a sinistra del dipinto dove colloca in primo piano il principe delle Asturie, il futuro Ferdinando VII, vestito in azzurro, che fissa l’osservatore. La giovane donna al suo fianco, unica figura a non essere stata identificata, volge il capo verso il quadro di fondo: un gesto che, nonostante l’ufficialità, dona al dipinto un’aria di intima familiarità. 

Al centro la regina Maria Luisa di Borbone-Parma abbraccia teneramente la figlia, l’infanta Maria Isabel e il figlio – Francisco de Paula – diviene l’elemento di raccordo col marito, Carlo IV. Goya ritrae il monarca spagnolo con un’espressione goffa, che nulla ha di regale; anche la miriade di onorificenze appese alla marsina risulta sfocata da una pennellata tremante. Il gruppo di famiglia si chiude con la giovane coppia formata da Luigi di Borbone, duca di Parma, e l’infanta Maria Luisa che tiene in braccio il loro primogenito. L’infilata di personaggi è illuminata da un raggio di luce che evidenzia ancor più il carattere bizzarro dei volti dei reali. Non è però credibile la tesi per cui Goya avrebbe ritratto in maniera così caricaturale i sovrani come aperta critica politica, poiché il dipinto venne accettato dai committenti, che mossero come unica critica l’eccessiva modestia dello sfondo. In effetti, a fronte di una straordinaria collezione di proprietà della corona, l’artista inserisce due dipinti piuttosto anonimi, senza nemmeno definirli nel dettaglio. Il taglio delle due tele di fondo, però, lasciate a metà, è una soluzione innovativa: realizzato in piena epoca neoclassica, il Ritratto della famiglia di Carlo IV è un capolavoro di rara modernità.

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Il testimone di una Spagna tormentata

Il 19 marzo 1808 Carlo IV lascia il controllo di una Spagna ormai arretrata e decadente a Giuseppe Bonaparte che avrebbe governato sino al 1814. La dominazione francese innesca una resistenza spagnola che si traduce inevitabilmente in episodi di violenza; Goya narra le atrocità di questi anni nella serie di acqueforti dal titolo Orrori della guerra (1808-1812) e in due dipinti dedicati alla lotta contro i mamelucchi e alla fucilazione del 2 e 3 maggio 1808.

2 maggio 1808: lotta contro i mamelucchi

Il primo dipinto (3) rappresenta l’antefatto della Fucilazione del 3 maggio 1808, cioè la rivolta popolare all’invasione francese della Spagna, contro il “tiranno d’Europa”, come ebbe a scrivere lo stesso Goya. Gli edifici sullo sfondo, che ricordano un’architettura tipicamente spagnola, sono delineati in maniera poco nitida e con toni cupi: l’attenzione si concentra sui combattenti e sullo scontro che occupano il centro della tela, sottolineati dall’uso del bianco e del rosso.

Saturno che divora i suoi figli

I dipinti sui tragici avvenimenti del maggio del 1808 vengono realizzati però nel 1814, quando ormai la monarchia borbonica è stata restaurata con Ferdinando VII, che si dimostrerà un sovrano dispotico e ben poco illuminato, dunque motivo di delusione e sconforto per l’artista. L’oscurantismo stava sopravanzando la ragione: in preda a pessimistiche riflessioni sulla situazione spagnola e sulla natura umana, tra il 1819 e il 1823 Goya decora le pareti di una casa nei pressi di Madrid, la Quinta del sordo (Casa del sordo) con scene violente e allucinate, che la critica definirà le "pitture nere”, sia per i toni generalmente cupi che dominano le atmosfere sia per la scelta dei soggetti stessi.
Una delle scene più terribili dipinte su una parete della Quinta del sordo riprende il mito di Saturno, colto nell’atto di divorare i propri figli (4): un soggetto atroce che incarna una brutalità cieca. Il dio del tempo è ormai pressoché un mostro deforme, di cui a stento si riconoscono le membra del corpo: ha capelli lunghi e incolti che si confondono con l’incarnato e stringe violentemente il corpo ormai senza testa di uno dei figli. Esso è in realtà una grande metafora della situazione politica spagnola, in cui il monarca, temendo l’usurpazione, ricorre a metodi repressivi. Quando Ferdinando VII ordina la soppressione della costituzione, Goya decide di abbandonare la Spagna; trascorrerà i suoi ultimi anni tra Bordeaux e Parigi, rinnovando ulteriormente il proprio linguaggio pittorico e accostandosi quasi naturalmente ai giovani esponenti del Romanticismo francese.

CONFRONTI E INFLUENZE

Il soggetto di Saturno che divora i suoi figli era stato affrontato anche da Rubens in un dipinto realizzato negli ultimi anni della sua vita, ma con risultati differenti. Mentre nell’opera di Goya la forma è totalmente disciolta, tanto che il corpo di Saturno non è più anatomicamente verosimile e la sua figura si spezza confondendosi con la tenebra circostante, in quella di Rubens il corpo della divinità è ancora identificabile e la figura si distingue dallo spazio circostante; ciò è reso possibile dalla innata sensibilità dell’artista per il colore che si traduce, soprattutto nelle opere tarde, in una stesura fatta di pennellate sfilacciate, lunghe e fluenti, che donano alla materia pittorica una luce vibrante e turbinosa.

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Contesti d’arte - volume 3
Dal Neoclassicismo a oggi