La Mariée mise à nu par ses célibataires même (Le Grand Verre)
Nel 1915, all’arrivo a New York Duchamp inizia a mettere mano a un’opera cui stava già pensando da due anni: La Mariée
mise à nu par ses célibataires, même (Le Grand Verre) (94), che dichiarerà “definitivamente incompiuta” nel 1923. Con questo lavoro Duchamp vuole creare qualcosa di totalmente nuovo. Mescola componenti meccaniche e organiche, fondendo erotismo e ironia, interessi matematici e ottici, la geometria e la quarta dimensione.
L’opera si presenta come un’ampia superficie trasparente di vetro, articolata in due lastre sovrapposte e unite da una cornice metallica. Svalutando la pratica del disegno e della pittura in favore dell’esplorazione della dimensione mentale, l’artista interviene sul supporto che è non più tela ma vetro; traccia un disegno, non più con gli strumenti del disegno, ma con il filo di piombo. La parte superiore è dedicata alla sposa, mentre quella in basso ai celibi. Per decifrare questo complesso “poema eroicomico” sono indispensabili gli appunti, altrettanto criptici, dell’artista, raccolti nella Boîte del 1914: «Dovendo i celibi servire da base architettonica alla sposa, essa diventa una specie di apoteosi della verginità. [...] La sposa fondamentalmente è un motore. Ma prima di essere un motore che trasmette la sua potenza timida – essa è questa stessa potenza timida. Questa timida potenza è una sorta di automobilina, benzina d’amore, che, distribuita ai cilindri troppo deboli, […] serve allo sboccio di questa vergine ormai giunta al termine del suo desiderio».
La componente visiva e la parola diventano due momenti imprescindibili di realizzazione e, allo stesso tempo, comprensione dell’opera.