ANALISI D'OPERA - Marcel Duchamp, Fountain

Analisi D'opera

Marcel Duchamp

Fountain

  • 1917
  • copia originale autorizzata da Duchamp (1964), 63x48x35 cm
  • Parigi, Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou

A New York Duchamp è tra i fondatori della Society of Indipendent Artists creata nel 1916 sotto il motto No jury. No prizes, ossia “Nessuna giuria. Nessun premio”. Alle mostre organizzate dall’Associazione poteva partecipare chiunque, pagando una somma di qualche dollaro. Duchamp è nominato segretario della commissione di allestimento della prima esposizione, che viene inaugurata nell’aprile 1917. Arrivano 2500 opere. Pensando all’allestimento, l’artista vuole evitare il raggruppamento per scuole. Propone pertanto un criterio “democratico”, in base al quale le opere siano esposte in ordine alfabetico, partendo dall’angolo a nord-est della sala principale del Grand Central Palace. Sotto lo pseudonimo di Richard Mutt, aveva anch’egli inviato una propria creazione: si tratta di Fountain, destinato a diventare uno dei suoi ready-made più provocatori e celebri.

Descrizione

Fountain è un orinatoio in porcellana bianca della fabbrica produttrice J.L. Mott Iron Works Company che l’artista presenta capovolto, a sovvertirne il significato, e firmato a pennello: “R. Mutt 1917”.
Immediatamente l’opera suscita scandalo, soprattutto perché lo statuto dell’Associazione prevedeva che non si potessero rifiutare i lavori inviati (No jury. No prizes, appunto). Prima dell’inaugurazione, tuttavia, l’associazione emette un comunicato stampa in cui prende le distanze dal valore estetico dell’oggetto, considerato immorale e indecente. I membri dell’Associazione decidono inoltre di aggirare il regolamento, esponendo l’opera dietro uno schermo: di fatto non la mostrano.
Per manifestare il proprio dissenso, Duchamp si dimette dall’Associazione. Pubblica poi un’immagine del lavoro sulla sua rivista “The blind Man”, in cui finge di difendere l’autore anonimo dell’opera scrivendo: «Non è importante se Mr. Mutt abbia fatto Fountain con le sue mani o no. Egli l’ha SCELTA. Egli ha preso un articolo ordinario della vita di ogni giorno, lo ha collocato in modo tale che il suo significato d’uso è scomparso sotto il nuovo titolo e il nuovo punto di vista – ha creato un nuovo modo di pensare quell’oggetto».
Dopo la mostra l’orinatoio andò smarrito: probabilmente scambiato per un oggetto qualunque, fu gettato via. Nel 1964 l’artista autorizzò delle repliche, in piena sintonia con il concetto stesso che Duchamp attribuisce all’oggetto e alla pratica artistica. Con i ready-made egli desacralizza l’oggetto artistico ed esplora una diversa concezione del ruolo dell’artista e della sua arte che influenzerà notevolmente lo sviluppo delle pratiche concettuali degli anni Sessanta ( p. 460).

CONFRONTI E INFLUENZE

Il ready-made è un procedimento creativo che, insieme a molti altri tra quelli introdotti dalle Avanguardie storiche, ha avuto così tanto successo da divenire molto comune. Nel secondo Novecento, tra gli artisti che impiegano il metodo dadaista con maggiore ironia e acutezza c’è Piero Manzoni ( p. 441), il quale, tra il 1959 e il 1961, appone la propria firma sul corpo di una modella accompagnando la sua “opera” – o meglio “non-opera” dal momento che nessuno può acquistare una persona reale – con un certificato di autenticità e un bollino recante una data di scadenza.

Contesti d’arte - volume 3
Contesti d’arte - volume 3
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