Contesti d’arte - volume 3

Amore e Psiche

Nel 1787, per riprendersi dalle fatiche della realizzazione del grande monumento a papa Clemente XIV, Canova si reca nella vicina Napoli per un periodo di riposo. Qui incontra il colonnello John Campbell, committente di Amore e Psiche (24), uno dei gruppi più riusciti dello scultore veneto, che richiese all’artista talmente tanto tempo da costringerlo a ritardare la consegna al nobile inglese (1793). Il soggetto riprende l’omonima favola di Apuleio e illustra il momento in cui Amore risveglia Psiche, caduta in un sonno di morte dopo aver aperto il vaso che Proserpina le aveva consegnato nell’Ade. Il gruppo è una magnifica interpretazione della classicità: seguendo le raccomandazioni di Winckelmann, Canova non mostra l’atto del bacio ma il momento appena precedente. La sospensione della posa, in attesa del verificarsi dell’azione, accentua il senso di delicatezza che percorre il gruppo. I due corpi si sfiorano appena con gesti leggeri che culminano nell’intenso, quanto dolce, scambio di sguardi. L’intreccio dei corpi è complesso: le due teste accostate sono il centro di due direttrici incrociate create dalle gambe di Psiche con le ali svettanti di Amore. Le braccia dei due amanti a loro volta creano due cerchi intersecati l’uno nell’altro (25). La profonda ricerca formale compiuta da Canova permette alla scultura di essere osservata da differenti punti di vista mantenendo la stessa godibilità della veduta frontale.

GUIDA ALLO STUDIO
Canova: le opere giovanili
  • Scultore, massimo esponente del gusto neoclassico

Dedalo e Icaro

  • Caratterizzazione psicologica delle figure
  • Contrapposizione tra la linea di forza e il movimento dei corpi
  • Gruppo scultoreo interpretato da Argan come allegoria della scultura

Amore e Psiche

  • Momento che precede il bacio
  • Posa sospesa dei personaggi ed estrema delicatezza
  • Osservazione possibile da più punti di vista

Le committenze straniere

Nell’agosto del 1798, quando la carriera di Canova ha al suo attivo anche grandi monumenti funerari, il duca Albert von Sachsen Teschen chiede allo scultore di realizzare un monumento funebre per onorare la memoria della consorte, l’arciduchessa Maria Cristina, scomparsa pochi mesi prima.

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Monumento funebre a Maria Cristina d’Asburgo

Nell’impostazione dell’opera Canova recupera il progetto, mai realizzato, di una tomba per Tiziano a forma di piramide che è in assoluto la più antica tipologia di arte funeraria, simbolo essa stessa di eternità (26).
L’artista addossa la struttura piramidale alla parete della chiesa, la sopraeleva di tre gradini, spazio necessario per mettere in scena un vero corteo funebre diretto verso la porta d’accesso al sepolcro. La scelta delle figure allegoriche segue precise direttive del committente, attento alla simbologia evocata dalle statue, che rimandavano alle virtù della defunta e ai valori della Fede.
Al culmine della piramide, la Felicità sta apponendo un medaglione che ritrae il profilo dell’augusta defunta: il cammeo è incorniciato da un serpente che si morde la coda, emblema dell’eternità. La figura della Virtù, avvolta in un’ampia e morbida veste, apre la fila: il capo è reclinato e nelle mani tiene un’urna. Le due ancelle ai fianchi reggono l’estremità di una ghirlanda che dall’urna scende sino ai gradini. Chiudono il corteo la figura della Beneficenza (talvolta letta anche come Pietà) che sostiene la fragile figura di vecchio. Dalla porta, che va letta come la soglia dell’eternità, scende un tappeto che, con grande virtuosismo, Canova colloca sopra i gradini creando un collegamento visivo tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Sulla destra lo scultore pone un genio alato, che si appoggia al grande leone accovacciato; entrambi osservano silenziosi il corteo.
Il monumento è svelato nell’ottobre del 1805, nella Augustinerkirche (Chiesa degli Agostiniani) a Vienna, alla presenza dello scultore stesso che ha saputo dare prova di una grande capacità narrativa: ha raccontato la storia di un passaggio dalla vita terrena alla vita eterna secondo modalità facilmente comprensibili. Lo scultore stesso in una lettera, in riferimento al monumento viennese, scriveva: «Se questo mio intendimento è chiaro e si legge da tutti, sono contento». A dispetto di tutti i significati allegorici dunque, il fine ultimo di Canova è una riflessione universale sul concetto di monumento, il cui primo scopo è il mantenimento di una memoria consolatrice, come scriverà anche Ugo Foscolo nel carme Dei Sepolcri (1807).

Il successo al Salon di Parigi

Già dalla fine del XVII secolo a Parigi si organizzava periodicamente presso il Museo del Louvre un’esposizione di pittura e scultura (il famoso Salon), dove le opere erano accettate in base alle scelte insindacabili di una giuria.

Maddalena penitente

Anche Canova riuscì a esporre in questo luogo prestigioso nel 1808, portando la sua Maddalena penitente (27). La scultura fu accolta con entusiasmo ma anche con qualche critica. Fu comunque acquistata da Raffaele de Ferrari, politico e filantropo, per la sua casa parigina, e in seguito donata al museo genovese. Il soggetto, più patetico e sofferto dei precedenti d’ispirazione mitologica, mette alla prova il senso dell’equilibrio della scultura canoviana.
La Maddalena è seduta, abbandona le braccia stese lungo le cosce, tenendo in mano un crocefisso sul quale si posa lo sguardo in una consapevole riflessione. Il volto reclinato, le spalle lievemente curvate in avanti e le natiche appena scostate dai talloni lasciano emergere con chiarezza la sofferenza per il percorso di sincera e dolorosa penitenza che la Maddalena ha compiuto sui propri gesti. Nella resa dei capelli sciolti della figura Canova tocca un virtuosismo altissimo: scendono sulle spalle e sulla schiena, sottili, seguendo un andamento nervoso a ribadire il patimento della donna. All’accenno sensuale del marmo Canova risponde ponendo un teschio, anch’esso meravigliosamente modellato, all’angolo del gruppo; un memento mori che ribadisce il contrasto tra la sensualità di un corpo ancora attraente e il suo annientamento nella consapevolezza del peccato e nell’evocazione del perdono divino.

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La committenza napoleonica

La commissione del ritratto della sorella prediletta dell’imperatore, Paolina, viene dal suo secondo marito, il principe romano Camillo Borghese.

Paolina Borghese come Venere vincitrice

Quando riceve l’incarico, nel 1804, Canova pensa di rappresentare la giovane principessa come una Diana, ma la capricciosa committente rifiuta la proposta, pretendendo una soluzione più seducente. Canova ripiega dunque sul mito di Venere, dea della bellezza e modella una donna distesa su un letto alla greca mentre tiene nella mano il pomo ricevuto in dono da Paride, trofeo della propria vanità (28). Paolina è ritratta a seno nudo con le gambe appena coperte da un velo dolcemente panneggiato. La posa è volutamente leziosa: il gomito destro è appoggiato ai cuscini accostati alla spalliera, mentre il braccio sinistro corre lungo il corpo. Ai tratti del volto, di una bellezza idealizzata, Canova contrappone le pieghe dell’epidermide sul lato del collo che svelano una carnalità morbida e naturale. Ad accentuare l’effetto tattile del marmo, lo scultore stende un sottile strato di cera sulle parti del corpo rincorrendo il tono rosato dell’incarnato. La chaise longue imita un prezioso pezzo di arredamento neoclassico sul quale è appoggiato il materasso che Canova raffigura morbidamente afflosciato sotto il peso della donna, come se avesse una reale presenza fisica. Lo stesso letto ligneo, a favore della spettacolarità e della vivacità del pezzo, cela un meccanismo che gli consente di girare, lasciando ammirare la figura da più punti di vista. Canova cura sempre con puntiglio l’interezza del gruppo, che deve reggere visivamente con pari godibilità da ogni angolazione.

Le Grazie

Capolavoro della maturità dell’artista, il gruppo (29) viene commissionato dall’ex imperatrice Giuseppina di Beauharnais con una lettera datata 11 luglio 1812. Canova, allora impegnato nel ritratto della nuova consorte di Napoleone, termina l’opera nel 1816, dopo la scomparsa della committente. Sarà dunque il figlio, Eugenio, il destinatario del marmo che raffigura le tre Grazie, ovvero Aglaia, Talia ed Eufrosine, che nella cultura greca rappresentano la personificazione della Bellezza, della Gentilezza e dell’Amicizia. Compositivamente Canova si rifà a un celebre affresco pompeiano che mostra tre fanciulle danzanti (30). Il soggetto consente allo scultore di sviluppare il tema a lui più congeniale: il nudo.
I corpi delle tre fanciulle si abbracciano teneramente in un gioco sottile di linee flessuose, di gesti reciproci, di sguardi languidi e di parole appena sussurrate in una composizione dall’insieme armonico. Una piccola ara su cui poggiano tre corone di fiori si erge da un lato, quasi nascosta dalla fanciulla di sinistra che, con maggior tenerezza, cinge con la mano il capo della figura centrale. Il gruppo è la traduzione marmorea del concetto stesso di grazia, intesa non tanto come categoria della bellezza fisica, quanto piuttosto come qualità dello spirito.

Contesti d’arte - volume 3
Contesti d’arte - volume 3
Dal Neoclassicismo a oggi