Antonio Canova

1.5 Antonio Canova

Antonio Canova (Possagno 1757-Venezia 1822) è lo scultore che per eccellenza incarna il gusto neoclassico. Dopo una prima formazione ad Asolo nella bottega di Giuseppe Torretti (Pagnano 1694 ca.-Venezia 1773), nel 1768 segue il maestro a Venezia. Qui entra all’Accademia del Nudo e ha l’occasione di misurarsi con la collezione di calchi antichi raccolti dall’abate Filippo Farsetti nel suo palazzo sul Canal Grande e generosamente messi a disposizione degli studenti d’arte. Il 4 novembre 1779 Canova si trasferisce a Roma; il suo atelier a Palazzo Venezia, sede dell’ambasciata della Repubblica veneta, diviene uno dei luoghi cardine dell’elaborazione del linguaggio neoclassico.
Canova affianca al talento un’innata diplomazia che gli permette di accettare committenze provenienti dai papi, dalla casata asburgica come da Napoleone, indipendentemente dagli equilibri politici dell’Europa. Quando scompare, nel 1822 a Venezia, ha già dato direttive precise affinché le sue spoglie vengano conservate nel Tempio di Possagno, suo paese natale, da lui stesso progettato tre anni prima secondo i dettami dell’architettura neoclassica: forme pulite che riprendono gli elementi del tempio antico. Il cuore dello scultore, invece, riposa a Venezia, conservato all’interno del cenotafio voluto ed eretto dai suoi allievi nella Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari.

Le opere giovanili

Dedalo e Icaro

Eseguito su commissione del procuratore di San Marco, Pietro Vettor Pisani, il gruppo di Dedalo e Icaro è considerato il capolavoro della giovinezza di Canova (23). Il gesso gli fruttò fama e la somma di cento zecchini, che impiegò per intraprendere il tanto desiderato viaggio a Roma. Il gruppo s’ispira alla favola mitologica narrata da Ovidio nell’Ars amandi e nelle Metamorfosi: l’ingegnoso Dedalo ha incollato con la cera due ali al dorso del figlio affinché possa fuggire dal labirinto di Minosse. Icaro però vola troppo vicino al sole: il calore scioglie la cera facendo precipitare il giovane in mare.
Uno dei punti di forza dell’opera è il contrasto tra l’ideale compostezza del corpo di Icaro e lo straordinario realismo della figura di Dedalo, con la pelle visibilmente cadente e rugosa. L’opera è percorsa da un sottile accento psicologico: il padre ha il volto velato da un’espressione preoccupata mentre fissa l’ala sulla spalla del figlio che, al contrario, sorride orgoglioso e incosciente della tragedia che l’attende.
Il gruppo è un chiaro esempio di contrapposto canoviano, ovvero quella soluzione compositiva, a cui spesso lo scultore ricorre, per cui a una linea di forza corrisponde un movimento contrario: Dedalo si curva e si volge in avanti in evidente contrasto con l’esile busto del figlio rovesciato all’indietro. Le due figure si collocano nello spazio lasciando un vuoto nel mezzo, secondo una modalità ricorrente in Canova, che arriva così a negare la centralità della scultura.
La presenza a terra dello scalpello e della mazzuola, strumenti di lavoro dello scultore, ha autorizzato lo storico dell’arte Giulio Carlo Argan a leggere l’intero gruppo come l’allegoria della scultura. Un’altra interpretazione plausibile identifica l’intero gruppo con la metafora del giovane scultore, Canova, che sta coraggiosamente per prendere il volo da Venezia verso la città dell’arte per eccellenza, cioè Roma.

Contesti d’arte - volume 3
Contesti d’arte - volume 3
Dal Neoclassicismo a oggi