LUOGHI E TEMPI: Il museo settecentesco

LUOGHI E TEMPI

Il museo settecentesco

I musei sorti in Italia per iniziativa dei cosiddetti sovrani illuminati, come il Pio-Clementino e la Galleria degli Uffizi, restano per lo più riservati a un ristretto pubblico di studiosi, artisti o collezionisti.
A Parigi, invece, il governo rivoluzionario della Costituente mette in pratica l’idea illuminista secondo cui la visita al museo è parte integrante del percorso educativo. Il museo acquisisce dunque il medesimo valore sociale attribuito alla scuola: nel 1791 le collezioni conservate al Louvre sono nazionalizzate e il palazzo reale viene aperto al pubblico (a ingresso gratuito nei giorni festivi); accanto alle opere, che da questo momento risultano ordinate secondo l’epoca e la provenienza, sono apposti cartellini esplicativi, mentre si rendono disponibili cataloghi a stampa e si organizzano visite guidate. Al Louvre trovano inoltre spazio le collezioni private confiscate ai nobili e agli ecclesiastici e quella parte di patrimonio troppo esposta alle devastazioni durante le rivolte rivoluzionarie.
Gli studiosi iniziano così a interrogarsi circa la conservazione delle opere nel museo oppure nel loro contesto originario: se da un lato l’intento educativo dell’istituzione museale si traduce nella raccolta di un campione il più possibile ampio di esempi provenienti da diverse scuole e da diversi periodi per fornire un panorama completo della produzione artistica, dall’altro l’alienazione di un’opera dal luogo per il quale è stata concepita rischia di comprometterne la comprensione. La questione, tuttavia, assume una dimensione squisitamente politica, di valore sovranazionale, quando Napoleone Bonaparte rientra dalla spedizione in Italia con quello che può essere considerato un bottino di guerra (e, come tale, ingiustificabile anche rispetto a qualsiasi intento educativo o conservativo delle opere d’arte).
Il primo a scagliarsi contro la razzia compiuta da Napoleone è l’archeologo  Quatremère de Quincy il quale, in un pamphlet pubblicato nel 1796, si dichiara apertamente favorevole alla restituzione delle opere requisite. È in quest’occasione che l’opinione pubblica inizia a prendere coscienza di quanto il patrimonio artistico costituisca un vero e proprio tesoro per i popoli e le Nazioni. Caduto Napoleone, Quatremère de Quincy e l’archeologo  Ennio Quirino Visconti collaborano con Antonio Canova, il quale, nominato prefetto per le antichità dello Stato pontificio da Pio VII, giunge a Parigi per negoziare la restituzione dei tesori a suo tempo requisiti. Grazie all’infaticabile lavoro diplomatico svolto dallo scultore, rientra in Italia più della metà del patrimonio costituitosi mediante le spoliazioni napoleoniche. In ogni caso, con l’avvento della Restaurazione, non tutte le opere tornano nei palazzi privati dei nobili, nelle chiese o nei conventi dai quali erano state prelevate: la stagione “rivoluzionaria”, al di là di alcune pur gravi aberrazioni, ha infatti donato alla società un modello divenuto irrinunciabile, quello del museo come strumento di tutela e divulgazione di un patrimonio il cui valore culturale, e non venale, è ormai considerato proprietà dell’intera cittadinanza.

Contesti d’arte - volume 3
Contesti d’arte - volume 3
Dal Neoclassicismo a oggi