Tintoretto

5.15 Tintoretto

Secondo la tradizione, Iacopo Robusti detto il Tintoretto (Venezia 1518-1594) si forma a Venezia nella bottega di Tiziano, ma ipotesi più recenti lo ritengono allievo di altre personalità artistiche dello scenario lagunare, da cui comunque si emancipa presto dando corpo a un originale percorso stilistico. Insieme alla pratica del disegno, la scultura – studiata a lungo collezionando bozzetti e calchi – ha avuto un ruolo importante nella sua formazione. A parte un soggiorno a Mantova nel 1580, Tintoretto rimane sempre a Venezia, dove sviluppa una fiorente e organizzata bottega. La consapevolezza dei propri mezzi artistici e l’orgoglio per la propria professione sono caratteristiche che lo portano a cercare sempre commissioni di prestigio con una particolare attenzione alle confraternite e alle istituzioni religiose ma anche alle potenti magistrature dello Stato della Serenissima. Un versante significativo dell’attività di Robusti è rappresentato anche dalla ritrattistica, che coltiva soprattutto nei primi anni Cinquanta del Cinquecento, sfruttando le numerose assenze di Tiziano.
L’espressività dell’artista non rimane uguale a se stessa nel corso del tempo, ma subisce una decisa evoluzione dal sesto decennio del Cinquecento. I raggruppamenti monumentali delle figure e i colori definiti, con forti accentuazioni timbriche che si riscontrano, per esempio, nel Miracolo dello schiavo ( pp. 316-317), sono sostituiti da un orientamento stilistico diverso: un vibrante cromatismo si innesta su composizioni che si complicano negli assetti e nelle direttrici geometriche, rompendo la simmetria degli schemi. Robusti compie una vera e propria trasformazione nella sua tavolozza, con i colori che si sfaldano e virano verso le sfumature dell’oro, nell’uso della luce e nella definizione delle scene che diventano sempre più complesse: tutti elementi che definiscono un modo originale di dipingere che ha come obiettivo trasmettere il pathos della raffigurazione o la forza emotiva del paesaggio e della natura. Un tema formale che invece rimane pressoché costante è l’attenzione alla resa plastica dei corpi: questo aspetto si delinea con sempre maggior forza dagli anni Sessanta in poi, in relazione a un dialogo ravvicinato con le innovazioni di Raffaello conosciute attraverso le stampe, e con le opere di Michelangelo che aveva studiato fin da giovane, insieme a quelle di Iacopo Sansovino.

Susanna e i Vecchioni 

La reputazione di Tintoretto alla metà degli anni Cinquanta è ormai consolidata. Una delle opere più rappresentative di questa fase è il dipinto Susanna e i Vecchioni, conservato a Vienna (58). Il soggetto, desunto dalla Bibbia, è particolarmente diffuso nell’arte del Cinquecento per la cornice in cui si svolge – uno splendido giardino – e per la proverbiale bellezza della protagonista. Susanna, secondo il racconto biblico, si sarebbe spogliata senza accorgersi della presenza di due anziani e illustri ospiti del marito, che divengono spesso, nell’arte del XVI secolo, una metafora dello spettatore. Gli elementi fondativi della storia consentono di delineare spazi verdi particolarmente lussureggianti in cui si rispecchiano i meravigliosi giardini delle ville del tempo, oltre a permettere all'artista di rappresentare modelli femminili di grande sensualità. Tintoretto dipinge diversi quadri con questo soggetto e quello di Vienna presenta una composizione più innovativa: Susanna, infatti, si guarda allo specchio e si unisce così ai propri spettatori interni (i due vecchi) ed esterni (l'osservatore del dipinto). I colori sono quasi sigillati nel profilo delle figure e risplendono grazie a un uso della luce che non si era visto ancora nella Venezia del tempo. Degna di nota è l'esuberanza scultorea della giovane protagonista. Susanna domina del tutto la scena, arricchita da una moltitudine di preziosi dettagli che fanno da contrappunto all'astratta opalescenza del corpo femminile: dal fermacapelli al pettine, dalla collana di perle alle vesti sontuosamente ricamate.

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Ritrovamento del corpo di san Marco 

Il letterato e filosofo Tommaso Rangone affida a Tintoretto la realizzazione di tre dipinti, accomunati dallo stesso soggetto, tre episodi della vita di san Marco. Il Ritrovamento del corpo di san Marco (59) mostra i nuovi orientamenti della pittura di Robusti: una magniloquente architettura, rappresentata con una prospettiva fortemente scorciata, è protagonista del dipinto insieme alle figure, delineate in pose teatrali e atteggiamenti drammatici. Mentre alcuni veneziani stanno cercando il corpo di san Marco ad Alessandria d’Egitto per riportarlo in laguna, il santo appare miracolosamente indicando il proprio corpo, disteso su un tappeto. Il suo ritrovamento permette di liberare l’indemoniato sulla destra dal demone femminile che lo tormenta. La resa dell’ambiente, con i sarcofagi in fuga prospettica (60), e le pose dei personaggi sono infatti due aspetti complementari della composizione e rafforzano l’espressività della scena, caratterizzata da un tono cupo e funereo. La luce è impostata per creare decisi contrasti chiaroscurali che guidano l’osservatore nella comprensione dell’evento raffigurato: è il caso, per esempio, del corpo del santo, che acquisisce un’oggettiva centralità visiva nel dipinto.

CONFRONTI E INFLUENZE

Nell’Ultima cena ritroviamo lo stesso impianto compositivo che caratterizza il Ritrovamento del corpo di San Marco, ovvero uno sviluppo prospettico diagonale che nella prima tela viene segnato dal tavolo, nella seconda dalla fuga dei sarcofagi sospesi. Anche gli effetti luministici sono accostabili: ritroviamo nell’Ultima cena un ambiente buio rischiarato da più fonti di luce. In entrambe le opere questi elementi formali e compositivi, insieme alla varietà delle pose e agli atteggiamenti delle figure, contribuiscono in modo efficace a conferire un carattere drammatico all’evento narrato.

Contesti d’arte - volume 2
Contesti d’arte - volume 2
Dal Gotico internazionale al Rococò