Trasfigurazione
È proprio Giulio de’ Medici, la figura sulla sinistra nel ritratto precedente, a commissionare tra il 1516 e il 1517 la maestosa
Trasfigurazione
(63), ultima grande pala eseguita da Raffaello e considerata il suo testamento spirituale: l’opera, originariamente concepita per la Cattedrale di Narbonne, dove Giulio de’ Medici era titolare della cattedra episcopale, rimase a Roma e fu esposta accanto al letto di morte di Raffaello.
L’artista combina in una stessa tavola due differenti momenti della storia sacra, diversificandoli sia dal punto di vista stilistico, sia per quanto riguarda le fonti di illuminazione. L’invenzione raffaellesca avrà una straordinaria fortuna e farà scuola fino al Seicento avanzato, innovando profondamente il modello della pala d’altare. Nella parte superiore, sulla cima del monte Tabor, i discepoli Pietro, Giovanni e Giacomo assistono attoniti alla trasfigurazione vera e propria, con Cristo, vestito di bianco, tra Mosè ed Elia, sollevato in volo da un vento leggero che simboleggia la grazia divina e rende concreta e visibile l’azione trascendente e miracolosa.
Nella parte inferiore, invece, in una scena pervasa da drammaticità, ma, come in un’antica tragedia, governata da un ferreo equilibrio, un fanciullo indemoniato sta per essere liberato dalla possessione. È circondato da una folla di personaggi, in cui spiccano gli apostoli che indicano il Cristo: le figure esprimono, con le loro differenti posizioni e le loro espressioni molteplici, tutta la gamma possibile dei sentimenti, dallo stupore alla paura, all’attesa, alla speranza e con i loro atteggiamenti coinvolgono emotivamente lo spettatore.