Con Paolo III Farnese (1534-1549) instaura un rapporto molto stretto da cui nascono opere di grande rilievo in pittura (fra cui Il Giudizio universale, nella Cappella Sistina) e in architettura, che culminano con la nomina a primo architetto della Basilica di San Pietro; è Paolo III, inoltre, a liberarlo da ogni responsabilità nei confronti degli eredi di Giulio II per i quali non aveva ancora concluso la tomba del papa: una vicenda dolorosa per l’artista che lo aveva tormentato a lungo. Con i successori di papa Farnese, Giulio III, Paolo IV e Pio IV, Michelangelo continua a dedicarsi a San Pietro, progettandone il tamburo e la cupola. Durante il pontificato di Pio IV, a pochi anni dalla morte, Buonarroti si impegna in lavori architettonici sempre più complessi: è il caso della piazza del Campidoglio, dove affronta il problema della progettazione a scala urbana. Nell’ultima fase della sua lunghissima vita continua a praticare la scultura e a esplorare forme espressive segnate dal senso del dramma, della sofferenza e della precarietà della vita: è il caso della Pietà Rondanini, sorta di testamento spirituale a cui l’artista stava lavorando poco prima della morte, sopraggiunta alla vigilia del suo ottantanovesimo compleanno, nel 1564.
Michelangelo
4.3 Michelangelo
Con Paolo III Farnese (1534-1549) instaura un rapporto molto stretto da cui nascono opere di grande rilievo in pittura (fra cui Il Giudizio universale, nella Cappella Sistina) e in architettura, che culminano con la nomina a primo architetto della Basilica di San Pietro; è Paolo III, inoltre, a liberarlo da ogni responsabilità nei confronti degli eredi di Giulio II per i quali non aveva ancora concluso la tomba del papa: una vicenda dolorosa per l’artista che lo aveva tormentato a lungo. Con i successori di papa Farnese, Giulio III, Paolo IV e Pio IV, Michelangelo continua a dedicarsi a San Pietro, progettandone il tamburo e la cupola. Durante il pontificato di Pio IV, a pochi anni dalla morte, Buonarroti si impegna in lavori architettonici sempre più complessi: è il caso della piazza del Campidoglio, dove affronta il problema della progettazione a scala urbana. Nell’ultima fase della sua lunghissima vita continua a praticare la scultura e a esplorare forme espressive segnate dal senso del dramma, della sofferenza e della precarietà della vita: è il caso della Pietà Rondanini, sorta di testamento spirituale a cui l’artista stava lavorando poco prima della morte, sopraggiunta alla vigilia del suo ottantanovesimo compleanno, nel 1564.
Gli esordi di Michelangelo scultore
L’esordio di Michelangelo è contrassegnato da una profonda riflessione sui maestri del primo Quattrocento e sull’arte antica. Questo esaltante "tirocinio" si svolge a partire dal 1489 nel "giardino di San Marco" (► p. 192), una sorta di accademia artistica promossa da Lorenzo il Magnifico, dove gli artisti e i letterati si confrontano in un percorso di scambio reciproco. Nel giardino, non distante dal palazzo dei Medici in via Larga, crea le sue prime opere in marmo: la Madonna della Scala e la Battaglia dei Centauri e dei Lapiti.Madonna della Scala
Battaglia dei Centauri e dei Lapiti
CONFRONTI E INFLUENZE
Bertoldo di Giovanni fu maestro di Michelangelo e questo suo rilievo bronzeo raffigurante una scena di battaglia costituisce un precedente importante per l’opera del giovane allievo. La concitata concatenazione compositiva di gesti veementi e pose articolate è ripresa da Michelangelo che la rielabora in modo originale: nella sua opera ogni personaggio è sì collegato agli altri, ma è anche individuato singolarmente, è, in un certo senso, un autonomo studio di nudo utilizzato dall’artista per esercitarsi nella resa delle torsioni, delle pose, dell’anatomia.
Le prime commissioni romane
Nel 1492 muore Lorenzo il Magnifico e il clima artistico fiorentino cambia rapidamente: Michelangelo viaggia tra Venezia e Bologna, per poi raggiungere Roma nel 1496 su invito del cardinale Raffaele Riario.Bacco
Pietà Vaticana
L'opera (28) è commissionata dal cardinale francese Jean Bilhères Lagraulas nel 1497 per la propria sepoltura: nella scelta di raffigurare la Vergine che regge il corpo morto di Cristo deposto dalla croce, l'alto prelato seguiva una tradizione consueta nel Paese d'origine, diffusasi a partire dal XIV secolo proprio in connessione ai monumenti funerari. Il gruppo non si trova più nella posizione originale, una rotonda tardo antica posta a fianco del transetto sud della Basilica di San Pietro profondamente alterata nel Cinquecento, e questo ha creato discussioni fra gli studiosi sull'originaria disposizione e l'altezza rispetto all'osservatore concepita da Michelangelo: il volto di Cristo nell'attuale sistemazione è meno visibile rispetto a quello della Madonna, che si offre invece a una predominante vista frontale divenendo il focus della composizione. La Vergine, seduta su una roccia, metafora del Calvario, è raffigurata (con un anacronismo), non come la madre di un uomo di trentatré anni ma come un'adolescente, insieme madre di Cristo e figlia di Dio, perfetta nella sua bellezza incorrotta. Le posizioni reciproche del figlio e della madre, la combinazione della posa del volto di Maria e del corpo esanime di Gesù sono cifre distintive dell'opera, insieme alla straordinaria lucentezza e al candore del marmo – che dona ai volti una ideale perfezione – e all'accuratezza nella lavorazione dei dettagli, soprattutto nell'amplissimo manto che ricade sulle gambe della Vergine e che si confonde con il lenzuolo funebre su cui appoggia il corpo di Cristo. L'opera ebbe immediatamente un grande successo e segnò la consacrazione del giovanissimo artista, appena ventiduenne.
Il ritorno a Firenze
David
Con profonda innovazione rispetto alle raffigurazioni quattrocentesche – come i David di marmo e di bronzo di Donatello (► pp. 64-65) – l'eroe biblico è ritratto da Michelangelo non vittorioso, con il piede a schiacciare la testa del gigante Golia, ma nell'attimo in cui sta per scagliare il colpo decisivo con la sua fionda, stirata lungo la schiena e stretta nella mano sinistra. La concentrazione che caratterizza l'audace atto è espressa dallo sguardo e dalla posizione della testa, mentre una leggera tensione attraversa le membra del corpo, soprattutto nella gamba sinistra, appena sollevata da terra. La posizione del braccio destro steso sul fianco, perpendicolare alla base della scultura, evidenzia il lieve piegamento del busto che mette così in risalto la muscolatura del diaframma e della parte superiore del torso, delineata in modo da rivaleggiare con quella di un atleta del mondo greco-romano. L'Antico è dunque un preciso riferimento per l'artista, soprattutto nell'anelito al raggiungimento della perfezione dell'esattezza anatomica, ma la serena pacatezza delle statue classiche è superata dal senso del movimento che Michelangelo riesce a infondere alla scultura. La composizione ideata da Buonarroti ha una vividezza tale da creare fra il gigante marmoreo e l'osservatore un dialogo ideale che rende percepibile la tensione psicologica del personaggio e il suo mondo interiore.
CONFRONTI E INFLUENZE
Il confronto tra il David di Michelangelo e il Doriforo di Policleto rende evidente quanto per gli artisti del Rinascimento il recupero dell’Antico fosse tutt’altro che una semplice e acritica ripetizione di modelli. È infatti interessante notare come Michelangelo “non rispetti” i rapporti proporzionali tra le varie parti anatomiche per i quali proprio il Doriforo (non a caso definito anche “canone” perché basato sui princìpi di armonia, equilibrio e simmetria ► Vol. I, pp. 126- 127) ha sempre funzionato da modello di riferimento: la testa e le mani, in particolare, risultano più grandi del normale, forse per enfatizzare simbolicamente il pensiero e le azioni che confermano la centralità dell’Uomo nel suo Universo.
Tondo Pitti
Tondo Taddei
La resa indefinita dello sfondo, trattato con una sommaria scalpellatura, è finalizzata a dare risalto alle figure dei protagonisti ed è stata interpretata da alcuni studiosi come l’equivalente dello sfumato pittorico leonardesco.
Tondo Doni
Nel gruppo della Sacra Famiglia, infatti, è stata evidenziata la presenza della formula espressiva della "▶ figura serpentinata" (33).
CONFRONTI E INFLUENZE
Nel Tondo Doni Michelangelo inaugura la sua ricerca sul contrapposto, ovvero su una posa articolata, una sorta di avvitamento che permette di apprezzare il corpo umano in tutta la sua complessità. Si tratta di una formula espressiva detta anche “figura serpentinata” che ritroveremo in altre opere di Michelangelo, per esempio nelle tante figure che inquadrano le scene del soffitto della Cappella Sistina e nella produzione scultorea. La figura serpentinata verrà particolarmente apprezzata e ripresa dai maestri della generazione successiva, tra i quali il Giambologna (► pp. 298-299).
Battaglia di Cascina
Fra il 1495 e il 1498 viene realizzato nel Palazzo della Signoria il Salone dei Cinquecento, una grandiosa sala per le adunanze pubbliche, che nel 1503 il gonfaloniere Pier Soderini decide di arricchire con nuovi dipinti che devono illustrare alcune fra le più celebri vittorie militari fiorentine. Il momento è drammatico, in quanto Firenze non è in grado di sconfiggere la rivale Pisa e le due città si confrontano ormai da anni in una guerra di cui i fiorentini non riescono a intravedere un esito positivo. Per la decorazione della sala è chiamato prima Leonardo e poi, l’anno seguente, Michelangelo. Come già per Leonardo, l’impresa è destinata a naufragare, ma si sono conservati alcuni documenti iconografici (copie coeve o successive dei cartoni preparatori) che danno conto delle straordinarie invenzioni che furono concepite dai due maestri. A Buonarroti è affidato l’episodio della vittoria dei fiorentini sui pisani a Cascina, nel 1364. Michelangelo non sceglie di rappresentare la battaglia, ma l’attimo che la precede, ovvero il momento in cui– presi dalla paura di essere colti alla sprovvista – i soldati fiorentini si alzano con veemenza e si preparano allo scontro: si tratta ancora una volta di uno dei temi prediletti dell’artista, il corpo nudo maschile in movimento. La copia parziale del cartone (34), eseguita a metà del Cinquecento da Aristotele da Sangallo, documenta una scena organizzata su linee diagonali divergenti. Al centro si nota un vuoto, che allude quasi a un vortice creato dal turbinoso movimento dei corpi. L’assetto compositivo ideato da Buonarroti enfatizza il senso di drammaticità che segna l’evento, rafforzato dall’intreccio delle membra, mostrate nelle loro qualità di sculture tradotte in disegno. L’anatomia e lo studio delle posizioni delle figure assumono in quest’opera, infatti, una particolare valenza, indicando i futuri sviluppi delle ricerche espressive michelangiolesche.
A Roma
Tomba di Giulio II
Michelangelo e si prolunga per quasi quarant’anni, secondo due fasi principali: 1505-1506 e 1513-1542. In particolare la seconda stagione, che inizia con la morte del pontefice, si articola in ulteriori e diversificate elaborazioni segnate da nuovi contratti, liti con gli eredi, ripensamenti. Della complessità della vicenda ideativa e realizzativa della monumentale tomba – concepita per la nuova Basilica di San Pietro di Donato Bramante e poi realizzata nella chiesa romana di San Pietro in Vincoli – danno conto numerose fonti scritte e una serie significativa di disegni e progetti del maestro. Un rilevante corpus documentario e grafico ha permesso così di elaborare ipotesi ricostruttive piuttosto dettagliate (36-37). In termini generali, si passa da un primo progetto che prevedeva un grande sepolcro isolato, dunque un oggetto dalle spiccate qualità tridimensionali, a una più semplice tomba a parete dove l’architettura è solo una cornice per le statue marmoree. Ciò che cambia nelle successive elaborazioni è soprattutto la quantità delle sculture, ridotte progressivamente nel numero, insieme alla complessità dei soggetti raffigurati e all’articolazione del telaio architettonico. La fase iniziale è di fondamentale importanza nella formazione dell’artista, in quanto il progetto viene concepito in stretta relazione con la grandiosa spazialità della nuova basilica bramantesca e in rapporto a questa Michelangelo delinea un artefatto dove scultura e architettura sono strettamente connesse. L’artista, inoltre, si impegna in prima persona nella ricerca dei blocchi di marmo più adatti all’impresa, con lunghi soggiorni nelle cave di Carrara, approfondendo una conoscenza dell’universo delle pietre che diviene un carattere distintivo della sua opera, sia come scultore sia come architetto.
Mosè
Figura centrale nella configurazione definitiva è il Mosè (38), realizzato tra il 1513 e il 1515, ma ritoccato nel 1542 per la collocazione finale nel monumento funebre: Michelangelo non lo rappresenta come profeta ma come un condottiero e legislatore che tiene in mano il massiccio blocco delle Tavole della legge. Il lieve fremito che anima il volto e che percorre nervosamente le membra esprime tutta la forza interiore del personaggio: nonostante sia ritratto in posa seduta, infatti, Mosè assume nella definizione complessiva e nei movimenti degli arti un assetto che esplora i temi stilistici della figura serpentinata.
GUIDA ALLO STUDIO
Michelangelo: il primo periodo
- Pittore e scultore di formazione fiorentina
- Reinterpretazione delle tradizioni classica e quattrocentesca
- Uso dello stiacciato
- Resa della muscolatura e dell’anatomia del corpo umano
- Rappresentazione del corpo nudo maschile in movimento
Prigioni
MATERIALI E TECNICHE
Il "non finito"
Nelle opere scultoree Michelangelo amava differenziare la resa della superficie, oscillando tra diversi gradi di finitezza. In particolare verso la maturità, le sue statue iniziano a presentare parti a “grezzo”, appena abbozzate, che conferiscono una notevole forza espressiva. Analizzando le opere qui illustrate, possiamo addirittura distinguere i diversi strumenti impiegati. Nel blocco che sta dietro la figura del cosiddetto “schiavo barbuto” si riconosce la lavorazione della subbia, mentre nel blocco su cui poggia il piede dello schiavo giovane si distinguono i solchi paralleli lasciati dalla gradina (o scalpello a denti).
Le ultime opere scultoree
Nell’ultima parte della vita di Michelangelo, la pratica della scultura attiene a una sfera totalmente privata e afferisce al mondo interiore e personale dell’artista. La meditazione religiosa che caratterizza la maturità e la vecchiaia di Buonarroti si coglie nelle due Pietà, che costituiscono le sue ultime opere scultoree: alla fine della sua vita l’artista ritorna sul tema giovanile di una delle sue prime creazioni, il gruppo drammatico costituito dalla Vergine che regge il corpo morto di Cristo, con esiti stilistici totalmente differenti, a testimonianza del suo complesso percorso artistico. La spiritualità di Michelangelo si nutre dei fermenti che attraversano la temperie culturale degli anni Quaranta del Cinquecento, caratterizzati da un profondo sentimento per il rinnovamento della Chiesa cattolica. L’amicizia con la poetessa Vittoria Colonna, vicina agli ambienti "riformati", e i componimenti poetici di Michelangelo di quegli anni definiscono una cornice ben precisa per comprendere l’approccio alla fede dell’anziano Buonarroti, segnato dalla ricerca di un più intimo dialogo con Dio e dalla centralità della figura di Cristo. Come già i Prigioni, entrambe le opere danno conto del "non-finito" michelangiolesco, sul cui significato il dibattito è ancora aperto: questa soluzione formale troverebbe, infatti, da un lato motivazioni di natura stilistica e tecnica (espediente per evidenziare alcune parti rispetto ad altre) o, dall'altro risponderebbe a esigenze ideali e spirituali (rendere visibile il corpo a corpo dell'idea dell'artista con la materia, ovvero il ruolo dello scultore per liberare il concetto chiuso dentro la pietra).Pietà Bandini
Parzialmente ricomposta e sommariamente conclusa da uno dei suoi collaboratori, Tiberio Calcagni (Firenze 1532-Roma 1565), l’opera si presenta come un palinsesto di soluzioni formali e concetti compositivi di grande rilievo. Sono uniti due temi iconografici diversi, quali il compianto e la deposizione di Cristo. Michelangelo crea un gruppo di quattro figure scolpite in un unico blocco marmoreo: Nicodemo (nel cui volto si riconoscono le sembianze di Buonarroti) sostiene, quasi a fatica, il corpo di Cristo, di proporzioni superiori rispetto agli altri, e fulcro della composizione, che appare come fuso con quello della Madonna, in una potente metafora dell’ultimo sofferente abbraccio fra la madre e il figlio; completa il gruppo la Maddalena, quasi del tutto opera di Calcagni.
Pietà Rondanini
Contesti d’arte - volume 2
Dal Gotico internazionale al Rococò