Le “città-laboratorio”

3.2 Le “città-laboratorio”

Nel secondo Quattrocento le corti italiane divengono vivaci e raffinati centri di sperimentazione culturale, guidati da signori "illuminati" che vedevano nelle arti e nell'architettura la possibilità di manifestare il proprio prestigio e di affermare anche visivamente la propria autorità. Parallelamente le città, già centri del potere e dell'economia, sono il terreno privilegiato dove attuare tali politiche, attraverso rinnovamenti su larga scala, come nei casi esemplari di Pienza, Urbino e Ferrara. Tali motivazioni politiche sono altresì supportate dal nuovo indirizzo teorico perseguito dagli intellettuali nel Rinascimento, poiché lo scopo primario delle nuove riflessioni in ambito urbanistico è proprio quello di abbandonare i tracciati irregolari di eredità medievale a favore di una pianificazione ordinata.

Le riflessioni sulla città ideale, che prendono piede proprio in questo periodo, rimangono tuttavia per lo più irrealizzate a causa delle preesistenti maglie viarie e architettoniche che rendono impossibile di fatto stravolgere completamente gli assetti cittadini.

La Pienza di papa Pio II Piccolomini

Enea Silvio Piccolomini viene eletto papa con il nome di Pio II nel 1458; colto e raffinato umanista, l'anno successivo prende la decisione di riorganizzare l'assetto urbano della sua città natale, Corsignano, nella campagna senese, per trasformarla in sede episcopale. Ha cura che la risistemazione avvenga secondo le regole stabilite dalle nuove riflessioni sulla città (possiamo ipotizzare che conoscesse i manoscritti albertiani) e ribattezza l'agglomerato urbano con il nome di Pienza. Il piccolo borgo è dunque il tentativo, riuscito solo in parte, di dare forma a una nuova concezione di città basata sulle regole della prospettiva e dell'armonia tra gli elementi costruiti; il progetto viene affidato a Bernardo Rossellino (Settignano 1409-Firenze 1464), già collaboratore di Leon Battista Alberti a Firenze, ma si interrompe nel 1464 per la morte sia dell'architetto sia del committente.
L'intervento si concentra sulla riorganizzazione della piazza principale, su cui affacciano i centri del potere politico e religioso, in questo caso riuniti nella figura di Pio II. Qui sorgono infatti la Cattedrale, Palazzo Piccolomini, il palazzo del cardinale Rodrigo Borgia (futuro papa Alessandro VI), ora Palazzo Vescovile, Palazzo Pretorio, Palazzo Ammannati. Leggermente decentrata, la Canonica chiude la serie di edifici posti a trapezio a formare la quinta prospettica della piazza, pavimentata a mattoni posti a lisca di pesce e interrotti dai bianchi ricorsi in marmo travertino che la rendono in qualche maniera "misurabile" e "finita" (5). I vari palazzi differiscono per dimensioni, decorazione e composizione dei fronti così da rendere immediatamente percepibili le funzioni e le gerarchie del complesso. L'opera di Rossellino coinvolge tuttavia anche zone meno centrali, con una visione urbana globale che prevede l'apertura della piazza del mercato, dietro Palazzo Pretorio, la costruzione di un ostello, un ospedale e di case "a schiera" per i cittadini più disagiati (6).
Chiude il lato maggiore del trapezio la bianca facciata della Cattedrale dell'Assunta, perfetto esempio di sintesi delle indicazioni classiciste e razionali albertiane, che supera l' impasse della corrispondenza tra ordine inferiore e superiore che lo stesso Alberti non aveva risolto nel coronamento del Tempio Malatestiano di Rimini o nella Basilica di Sant'Andrea a Mantova: il fronte è tripartito verticalmente da alte paraste affiancate da colonnine che inquadrano tre archi a tutto sesto; le paraste centrali proseguono sul timpano di coronamento, che conferisce all'insieme un carattere di accentuata classicità, racchiudendo un tondo a rilievo con le insegne papali (7). L'interno invece, diviso in tre navate, si presenta come una hallenkirchen tedesca (una chiesa ad aula con l'altezza delle navate costante, tipologia che Pio II aveva conosciuto durante un suo viaggio in Germania), ove permangono le caratteristiche gotiche delle volte a crociera di mattoni sostenute da fasci di colonne (8).

Accanto alla cattedrale si staglia Palazzo Piccolomini, la cui facciata segue l'esempio dell'albertiano Palazzo Rucellai (di cui Rossellino aveva diretto i lavori), diversificandosi però nel trattamento bugnato delle lesene al piano terra e nella loro scansione ritmica: l'interasse va progressivamente allargandosi nelle campate centrali per motivi prospettici (9). L'impianto planimetrico del palazzo si imposta attorno a un vasto cortile centrale, circondato da ambienti chiusi su tre lati e dal quale si accede, a sud,al loggiato che si affaccia sul giardino e sulla vallata sottostante. Proprio qui si assiste all'eccezionalità del progetto e della volontà del committente: il loggiato, disposto su tre livelli, è il risultato della capacità compositiva dell'architetto ma soprattutto del desiderio del committente e umanista, papa Pio II, di avere una vista panoramica del paesaggio della val d'Orcia, che egli altresì descrive con dovizia di particolari nella sua opera Commentarii mostrando una non comune sensibilità nello spostare l'interesse dallo spazio costruito allo spazio naturale (10).
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Urbino: il Palazzo Ducale 

Tra la fine del Trecento e l'inizio del Quattrocento la città di Urbino era l'epicentro di un piccolo ma efficiente Stato che ruotava attorno alla famiglia dei Montefeltro; è però con la lunga signoria di Federico, conte e poi duca di Montefeltro dal 1444 al 1482, che la corte si anima delle più vivaci e brillanti menti dell'epoca, da Piero della Francesca a Leon Battista Alberti, a Luciano Laurana, a Francesco di Giorgio Martini. Federico fu un valente condottiero ma anche un colto umanista, avendo studiato sotto la guida di Vittorino da Feltre a Mantova: le sue doti intellettuali e strategiche proiettarono la piccola città al centro degli scenari politici italiani e ne determinarono il rinnovamento culturale. L'aspetto che Urbino presenta ancora oggi si lega indissolubilmente alla costruzione del Palazzo Ducale, iniziato nei primi anni Sessanta del Quattrocento dall'architetto fiorentino Maso di Bartolomeo ma i cui lavori presero una svolta decisiva con l'arrivo di Luciano Laurana (Zara 1420-Pesaro 1479), nominato dallo stesso Federico "Ingegniero et Capo di tutti li maestri", che li diresse fino al 1472. Alla sua partenza gli succedette Francesco di Giorgio Martini (Siena 1439-1501), che portò a compimento l'opera (11).
Il palazzo rappresenta un unicum nel panorama italiano, il primo esempio di architettura intrinsecamente legata al paesaggio e alla città su cui si innesta: impostato sul dislivello costituito da un pendio molto scosceso e la piazza cittadina, incarna una sintesi mirabile tra la razionalità e il rigore proporzionale delle singole parti e una inevitabile frammentarietà complessiva, dovuta al fatto di essere frutto di aggregazioni tra palazzotti preesistenti e nuove edificazioni.
Dell'edificio Baldassarre Castiglione scrisse, nel suo Libro del Cortigiano, che pareva essere «una città in forma de palazzo», definizione perfetta per esprimere la fusione tra la città e il suo palazzo, che ancora oggi permane visivamente e che un tempo connotava di fatto la vita quotidiana che si svolgeva nel centro marchigiano, tutta gravitante attorno alle emergenze costruttive e manutentive della possente fabbrica (12).

L'edificio si sviluppa con una planimetria molto articolata (13), muovendo dall'arioso cortile d'onore con arcate a tutto sesto impostate su colonne composite al piano terra, forse opera di Laurana, sormontate da un paramento murario finestrato e scandito da lesene al piano superiore (14); interessante la soluzione d'angolo a "L" composta da coppie di paraste e semicolonne addossate (contrariamente ai precedenti fiorentini come Palazzo Medici, che presenta colonne anche agli angoli). L'apporto dei due principali architetti non è sempre definito, tuttavia le due concezioni risultano chiare se guardiamo i due fronti che prospettano sulla piazza: entrambi connotano un tipico palazzo quattrocentesco con paramento (parzialmente) bugnato, tuttavia Laurana rinuncia al consueto allineamento pieno su pieno e vuoto su vuoto di porte e finestre, che sarà invece "classicamente" ripristinato da Francesco di Giorgio Martini sul fronte destro che si trova a progettare (15).
Il lungo e frammentato fronte verso valle è dominato dalla cosiddetta Facciata dei Torricini: due torri cilindriche dal vago sapore medievale, dovuto alla presenza dei beccatelli e delle coperture coniche, racchiudono un bizzarro loggiato sporgente disposto su tre livelli, che ne ingentilisce l'aspetto (16-17). Tale loggiato, voltato a botte cassettonata e poggiante su colonne libere scanalate e su un setto murario decorato a lesene, suggerisce influenze culturali di grande spessore antiquario, forse di Piero della Francesca o addirittura di Alberti.
Percorrendo la ripida strada che corre addossata a questo fronte si giunge al torrione della Data, che contiene una scala elicoidale percorribile anche a cavallo che sfocia nel Mercatale, la piazza sul fondovalle che faceva anch'essa parte degli annessi di servizio al Palazzo.
L'esperienza del Palazzo Ducale di Urbino resta unica e irripetibile per la stretta dipendenza dalle condizioni al contorno in cui nasce: le preesistenze, la vallata, la città, il lungo periodo di costruzione (circa trent'anni), l'avvicendarsi di architetti esperti e dalla forte personalità progettuale, non ultimo l'apporto dello stesso duca di Montefeltro che forse si avvalse per questo cantiere, ma non è dato saperlo con certezza, dei consigli di Alberti o di Piero; comunque lo si guardi,il palazzo risulta una felice anomalia nel panorama dell'architettura del Rinascimento e non fu destinato a fare "scuola".
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L'Addizione Erculea di Ferrara 

Anche la città di Ferrara, sotto la signoria degli Este fin dal XIII secolo, fece da sfondo a un radicale rinnovamento a scala urbana che affondava le radici negli interventi di ingrandimento del nucleo medievale attorno a via Voltapaletto e via Savonarola, voluti nell'ultimo quarto del Trecento da Niccolò II d'Este (1385).
Nel corso del Quattrocento il nuovo duca, Borso d'Este (1451), inglobò nella cerchia di mura il Polesine di Sant'Antonio e aprì il rettilineo di via della Ghiara, a sud della parte antica; ma il volto di Ferrara era destinato a mutare ancora, poiché crescevano sia la popolazione sia l'importanza e le aspettative della città, reduce tra l'altro dalla sconfitta nella guerra contro Venezia (1484), difesa com'era da mura inefficaci contro armi da fuoco a lunga gittata. Dunque, quarant'anni più tardi rispetto all'Addizione di Borso, Ercole I d'Este decise per un ampliamento urbano che di fatto raddoppiava la superficie e racchiudeva Ferrara in una nuova e più efficace cinta muraria (18)
Nel 1492 venne incaricato l'architetto ferrarese Biagio Rossetti (Ferrara 1447 ca.-1516) della progettazione di quello che oggi chiameremmo un piano regolatore, ovvero un progetto di espansione basato su previsioni demografiche, localizzazione delle funzioni e precise teorie urbanistiche che probabilmente, ancora una volta, presero le mosse dal De re aedificatoria albertiano. Dietro la decisione di Ercole I vi era senza dubbio anche la volontà di rendere edificabili alcune zone agricole di sua proprietà, incrementandone così il valore, e di inglobare all'interno della nuova cerchia il Castello di Belfiore (purtroppo scomparso). Questo di fatto veniva collegato al Castello Estense con l'apertura della via degli Angeli (oggi corso Ercole I d'Este) che corre da nord a sud incrociando, come accadeva per cardo e decumano, via dei Prioni (ora corso Porta Po, corso Rossetti, corso Porta Mare), con la quale invece collegava le due porte a est e ovest della città. Alle due strade principali Rossetti affiancò una griglia ordinata di nuove vie, parallele e ortogonali, che rendono tuttora evidente, se confrontate con la tortuosa maglia viaria medievale, il nuovo impianto rinascimentale. Cesura tra la "Ferrara antica" e la nuova città "erculea" fu il corso della Giovecca, asse trasversale che tutt'oggi taglia in due la città e che fu aperto con l'interramento dell'omonimo canale (fosso della Zuecca).
A differenza delle città romane, tuttavia, Rossetti non aprì la piazza pubblica (il foro, attuale piazza Ariostea) all'incrocio delle due arterie principali, ma la decentrò di qualche centinaio di metri, privilegiando la via dei Prioni rispetto a quello che continuava a essere quasi un percorso "privato" della famiglia d'Este.
I lunghi assi viari rettilinei non furono progettati per accogliere come sfondi edifici monumentali, ma per favorire le vedute di scorcio, le prospettive che privilegiano gli spigoli dei fabbricati; ed è proprio agli incroci che l'architetto pose i palazzi più importanti e significativi, come nel caso dell'incrocio tra via degli Angeli (Corso Ercole I) e via dei Prioni (Corso Rossetti) (19)
Qui sorgono Palazzo Turchi di Bagno, Palazzo Prosperi-Sacrati e Palazzo dei Diamanti, così chiamato per le caratteristiche bugne a punta di diamante che ne ricoprono interamente i fronti: gli angoli, e non le facciate, sono posti in evidenza con l'apposizione di marmi più chiari, sovrapposizioni di ordini, balconi in aggetto (20-21).
Le previsioni di espansione del duca tuttavia furono disattese nel corso del secolo successivo: la crisi demografica ed economica che investì Ferrara e il declino della casata estense fecero sì che la città entrasse nell'orbita dello Stato Pontificio (1598), in cui si venne a trovare decentrata ai margini settentrionali, cosa che decretò la sostanziale fine del processo di sviluppo.

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GUIDA ALLO STUDIO
La città ideale
  • Pianificazione urbanistica ordinata
  • Regole prospettiche
  • Armonia tra gli elementi costruttivi
  • Razionalità e simmetria
Le “città-laboratorio”

Pienza

  • Riorganizzazione della piazza principale e dei suoi edifici su progetto di Rossellino per Pio II
  • Pianta trapezoidale

Urbino

  • Dominata dal Palazzo Ducale di Luciano Laurana
  • Fusione tra la città e il suo palazzo
  • Architettura fortemente legata al paesaggio

Ferrara

  • Addizione erculea progettata da Biagio Rossetti
  • Predilezione per gli scorci prospettici

Contesti d’arte - volume 2
Contesti d’arte - volume 2
Dal Gotico internazionale al Rococò