Piero della Francesca

2.16 Piero della Francesca

Poco sappiamo delle origini di Piero di Benedetto de’ Franceschi, comunemente noto come Piero della Francesca (Borgo Sansepolcro, Arezzo 1413/1420 ca.-1492): il Vasari spiega che, essendo suo padre morto prima che lui nascesse, egli fu conosciuto col matronimico invece del patronimico: sua madre, Romana di Perino da Monterchi, nobildonna di famiglia umbra, era infatti conosciuta come "la Francesca" in quanto maritata con un membro dei Franceschi. Incerta invece è la data di nascita, per la scomparsa dei documenti d’archivio della sua città natale.
L’artista compare per la prima volta in una lettera relativa all’esecuzione degli affreschi nella Chiesa di Sant’Egidio a Firenze nel 1439, tra gli aiuti di Domenico Veneziano. Il documento è fondamentale prima di tutto perché attesta la formazione fiorentina di questo geniale artista, e conferma da parte sua la conoscenza e l’interpretazione dei massimi esempi figurativi del primo Rinascimento fiorentino: quelli di Masaccio, Brunelleschi, Donatello, e – ancor di più, sul piano dello stile – di Paolo Uccello, Andrea del Castagno e Filippo Lippi. La notizia testimonia inoltre che il giovane di Sansepolcro era presso la bottega di Domenico Veneziano quasi certamente in veste di allievo. È da questo straordinario colorista che Piero della Francesca derivò fin da subito la sua costante predilezione per i toni chiari e luminosi. Nel corso della sua lunghissima carriera, oltre a dedicarsi all’attività artistica, fu anche autore di trattati di matematica e di geometria prospettica: un manuale di calcolo intitolato Trattato d’abaco, dedicato alla matematica applicata, il De prospectiva pingendi (98), in cui descrive con chiarezza le regole della moderna scienza prospettica, e il De quinque corporibus regularibus, dedicato alla geometria. Questi testi, scritti con elegante grafia e corredati da precise illustrazioni a penna, sono di fondamentale importanza sia per la scienza sia per la codificazione delle invenzioni pittoriche della prima metà del Quattrocento.

Gli esordi a Sansepolcro

Con la battaglia di Anghiari del 1440, Sansepolcro entra a far parte dei territori dominati da Firenze. L’anno seguente Piero della Francesca è nominato Consigliere del Popolo nella città.

Polittico della Misericordia

Nel 1445 la locale Confraternita della Misericordia gli commissiona un grande polittico (99) per l’altare della chiesa, la cui esecuzione si protrae fino al 1462. La struttura dell’opera è ancora tradizionalmente gotica e richiama i grandi polittici di epoca trecentesca, ai quali rinvia anche il fondo dorato. Forte è il contrasto tra lo sfondo astratto e i personaggi, caratterizzati da un'alta dignità umanistica, fondata sulla consapevolezza del primato intellettuale dell'uomo sul creato, nonché da una formidabile "presenza" plastica e spaziale. La raffigurazione principale con la Madonna della Misericordia (100) è anch'essa tradizionale per iconografia, ma al contempo aggiornata sugli sviluppi della pittura rinascimentale, soprattutto nella definizione della spazialità. Il gruppo dei devoti si schiera con perfetta coerenza spaziale sotto l'ampio mantello della Vergine, già contraddistinta dall'inimitabile distacco, sospesa in un'espressione solenne e assorta, che caratterizza la maggior parte dei personaggi creati dal pittore. Il volto è un ovale perfetto, il corpo una colonna cilindrica, il mantello si apre simmetrico. La lucidità ottica, la nitidezza e perfezione, con cui queste figure genuflesse sono rese credibili, grazie soprattutto all'incidenza della luce, in ogni loro aspetto – dalle fisionomie ai panneggi – sollecita un confronto con la pittura fiamminga del tempo, che al giovane pittore doveva essere già familiare. 
Nella Crocifissione (101) soprastante, che si ispira con evidenza alla Crocifissione del Polittico di Pisa di Masaccio (► p. 49), Piero dimostra di saper dare libero sfogo al sentimento drammatico, nell'acuta disperazione dei dolenti: san Giovanni allarga le braccia dietro di sé, in un gesto presente già nel Polittico di Pisa, che qui è reso in  maniera molto più "vera", e rappresenta un mirabile esempio di capacità prospettico-spaziale. La composizione si basa su un preciso schema geometrico: una piramide che ha la croce come asse centrale. Nei santi del registro principale (da sinistra, Sebastiano, Giovanni Battista, Andrea e Bernardino da Siena), ritorna il timbro assorto e distaccato tipico dell'artista, che conferisce a queste figure una solennità ancestrale, da patriarchi dell'Antico Testamento.

Contesti d’arte - volume 2
Contesti d’arte - volume 2
Dal Gotico internazionale al Rococò