SVILUPPI E TENDENZE: La croce dipinta

Sviluppi e tendenze

La croce dipinta

La croce dipinta è una tipologia molto diffusa nella pittura italiana tra Duecento e Trecento. A metà del XIII secolo si afferma con Giunta Pisano (documentato fra il 1236 e il 1254) l’iconografia del Christus patiens (Cristo sofferente), che sostituisce il Christus triumphans (Cristo trionfante). Questa iconografia si ispira a modelli orientali; le caratteristiche anatomiche del Crocifisso realizzato da Giunta per San Domenico a Bologna seguono infatti le regole della pittura bizantina: il corpo del Cristo forma una curva a S, il naso è a forcella, le mani hanno le dita aperte come rebbi di una forchetta, l’addome è diviso in tre parti. Le pieghe del perizoma, inoltre, sono sottolineate da lumeggiature dorate. L’innovazione compiuta da Giunta trova corrispondenza nella nuova sensibilità religiosa – e in particolare nella devozione francescana e in quella domenicana – che privilegia l’aspetto umano del Salvatore. Nei decenni successivi la tipologia del Cristo sofferente viene adottata anche da Cimabue e da Giotto; quest’ultimo, tuttavia, la trasforma profondamente.

II Crocifisso di Cimabue

Nel Crocifisso di Arezzo, che è una delle sue opere più antiche, Cimabue riprende la stilizzazione formale di Giunta Pisano, ma la rappresentazione del dolore è più pacata e l’espressione del volto più intensa e meno grottesca. La croce conserva la cimasa, termine che indica la parte superiore di una tavola dipinta, composta di un tondino con l’Eterno benedicente e di una tabella con l’iscrizione «Hic est Ihesus Nazarenus rex Iudeorum» ("Questo è Gesù Nazareno re dei Giudei").

II Crocifisso di Giotto

Il Crocifisso realizzato per la basilica domenicana di Santa Maria Novella è una delle prime opere di Giotto, databile a poco prima del 1290. La tipologia è la stessa delle opere di Giunta Pisano e di Cimabue, ma Giotto rompe gli schemi anatomici della tradizione bizantina e dà al Cristo l’aspetto di un vero uomo, che pende verso il basso come un corpo morto. Il senso di gravità è accentuato dal fatto che i piedi sono trafitti da un unico chiodo, secondo una soluzione già adottata da Nicola Pisano; dallo scultore deriva anche il motivo del teschio di Adamo ai piedi della croce, che indica la continuità tra peccato originale e redenzione.
Anche il chiaroscuro, determinato da un’unica fonte di luce posta alla sinistra dell’osservatore, è una caratteristica del tutto innovativa, che conferisce alle figure una consistenza tridimensionale mai raggiunta prima. L’insistenza sugli aspetti umani della figura di Cristo è in linea con il pensiero dei domenicani. Costoro difendevano la dottrina ufficiale contro eresie come quella dei Catari, che esaltavano lo spirito e condannavano la materia, privilegiando perciò la natura divina del Salvatore. La cruda verità del Crocifisso di Santa Maria Novella lascerà il posto, nelle croci dipinte in seguito da Giotto, a una visione della morte più idealizzata e meno aspra.

LE FONTI

La precisione descrittiva di Giotto e la sua attenzione al dato materiale fanno sì che le sue pitture possano essere per noi un importante documento storico sui molti aspetti del quotidiano (in questo caso, dell’arredo sacro). Osservando il Presepe di Greggio ( p. 432, fig. 68) e l’Accertamento delle stimmate apprendiamo che una possibile collocazione dei crocifissi monumentali era il tramezzo e che, grazie a un sistema di ancoraggio con tiranti e supporti, questi si trovavano in posizione leggermente inclinata. Si tratta di una sistemazione scenografica di notevole impatto: il fedele, è obbligato a rivolgere lo sguardo verso l’alto, percependo l’immagine come una presenza incombente e rilucente. L’illuminazione della chiesa, infatti, si concentrava in particolare sulle immagini sacre, i cui fondi dorati riflettevano la luce calda e tremula delle candele.

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Contesti d’arte - volume 1
Contesti d’arte - volume 1
Dalla Preistoria al Gotico