Storie di san Francesco
Dopo altri affreschi nei registri superiori, Giotto esegue, con la sua bottega, le Storie di san Francesco (1290-1292 circa), un ciclo di ventotto scene che occupa il registro inferiore della navata e illustra una scelta di episodi della Legenda Maior di san Bonaventura, considerata dall’ordine francescano l’unica versione autorizzata della vita del santo. Con questo scritto si sanzionava un’interpretazione della figura di Francesco che lo integrava nella Chiesa ufficiale, dando particolare risalto agli episodi di conciliazione con il potere e smussando gli aspetti più rivoluzionari della sua predicazione. Ogni riquadro è commentato da una sintetica didascalia in latino, e sotto le scene è raffigurato un velario in tessuto. L’architettura dipinta che incornicia i singoli riquadri riprende quella utilizzata nel resto della Basilica, ma è più complessa; un motivo a colonne tortili assicura la divisione verticale tra una scena e l’altra.
In questo ciclo il pittore mette in scena composizioni complesse, spesso affollate di personaggi, come nella Rinuncia agli averi (67), dove Francesco si spoglia di ogni ricchezza e perfino delle vesti in una piazza di Assisi. Si nota qui il contrasto tra il padre, infuriato e trattenuto a forza, e il giovane santo, coperto a malapena dal mantello del vescovo che lo ha preso sotto la propria protezione. Gli edifìci, simili a quinte di un palcoscenico, determinano lo spazio entro il quale si dispongono le figure.
Spesso la raffigurazione delle architetture costituisce l’elemento più interessante di una scena. Nel caso del Presepe di Greccio (68), alcuni personaggi sono dipinti in modo un po’ convenzionale, mentre l’interno della chiesa e gli arredi sono riprodotti con grande attenzione e ricordano da vicino le soluzioni ideate da Arnolfo e la decorazione cosmatesca. L’affresco fornisce una documentazione preziosa sull’arredo delle chiese del Duecento: la scena si svolge nel presbiterio, l’altare è sovrastato da un ciborio e sul tramezzo si trovano un ambone (il podio con leggio per i sacri testi) e una croce dipinta vista dal retro, che pende in avanti. Lo sfondo blu, qui come altrove, non rappresenta il cielo, ma costituisce l’equivalente dell’oro usato nelle tavole.
Anche nella Predica davanti a Onorio III (69) il pittore realizza un vero pezzo di bravura nelle volte a crociera dipinte a stelle dorate (analoghe a quelle che coprono alcune delle campate della Basilica).
Un aspetto della realtà per cui Giotto dimostra minor interesse è il paesaggio.
Il miracolo dell’assetato (70), dipinto nella controfacciata, riempie di ammirazione per l’intensità psicologica con cui sono colti gli atteggiamenti e le espressioni dei quattro personaggi (il santo in preghiera, i due frati che conversano un po’ dubbiosi, il viandante assetato che si slancia a bere); eppure le rocce sono schematiche e gli alberi fuori scala.
LE FONTI
Il modo di porsi di fronte alla natura negli affreschi di Giotto richiama alla mente un passo di Cennino Cennini: «Se vuoi pigliare buona maniera di montagne, e che pàino [sembrino] naturali, togli di pietre grandi e che sieno scogliose e non polite; e ritra’ne del naturale, dando i lumi e scuro, secondo che la ragione t’acconsente».