ANALISI D'OPERA - Le vetrate della Cattedrale di Chartres

ANALISI D'opera

Le vetrate della Cattedrale di Chartres

  • XII-XIII secolo
  • Chartres (Francia)

La tecnica della vetrata, pur essendo una “invenzione” antica, raggiunse il suo apice nel periodo gotico, divenendo una vera e propria “pittura di luce”. È a partire dalla fine del XII secolo che la vetrata inizia a occupare spazi sempre più ampi e ad assumere un’importanza crescente. In Francia, in particolare, sembra sostituirsi alle pareti della chiesa, andando a comporre “muri di luce” colorata.
Le vetrate che decorano l’interno della Cattedrale di Chartres furono realizzate tra il XII e il XIII secolo, e costituiscono una testimonianza davvero eccezionale: si tratta del ciclo più antico, vasto e meglio conservato giunto sino a noi.
La loro forma varia a seconda della collocazione, il rosone è posto in facciata o alle estremità dei transetti, mentre le lancette (vetrate a sviluppo verticale con terminazione ad arco ogivale), oltre a collocarsi al di sotto del rosone, si distribuiscono lungo le navate e le pareti del presbiterio; occupano una superficie complessiva di 2600 metri quadrati e rispecchiano una precisa concezione teologica.

Descrizione 

Le vetrate di Chartres si caratterizzano per un utilizzo massiccio di una particolare colorazione blu, notata anche dal monaco Teofilo nel suo trattato sulle arti (De diversis artibus, XII secolo) in cui attribuiva ai maestri francesi una particolare abilità nella realizzazione e nell’impiego di questi vetri (ottenuti aggiungendo ossido di cobalto puro nella fase di produzione). È soprattutto nella cosiddetta Notre Dame della Belle Verrière che si nota l’impiego del cosiddetto blu di Chartres. Si tratta forse della più celebre vetrata del complesso: la Vergine è rappresentata in trono col Bambino (risalente alla fine del XII secolo), inserita in una lancetta con figure angeliche ed episodi della storia di Cristo, eseguita successivamente (XIII secolo).
Le vetrate si dispongono sulle pareti in due registri, che rispondono a un’esigenza di leggibilità: in basso le scene sono legate tra loro da una narrazione che ha un intento didattico ed educativo per il fedele (si tratta di storie tratte dalla vita dei santi e della Vergine, parabole del Vangelo o episodi dall’Antico e Nuovo Testamento); in alto si trovano invece descrizioni di maggiori dimensioni, raffiguranti personaggi sacri, gerarchie angeliche, teorie di profeti e santi che intendono mostrare la gloria della Chiesa.
È interessante notare la mancanza di un vero e proprio programma iconografico, di concezione unitaria e omogenea del complesso. La ragione è da rintracciarsi nelle modalità e tempistiche di realizzazione. Le immagini luminose divennero ben presto oggetto di donazione: i loro costi elevati, ma anche la loro efficacia e bellezza, fecero sì che importanti committenti (grandi personaggi dell’epoca o corporazioni di mestiere) facessero a gara per realizzare splendide vetrate che includessero la loro effige, il loro stemma o il loro nome. Lo scopo era tramandare il ricordo di sé, incoraggiando i fedeli a menzionarne i nomi nelle loro preghiere, considerate lo strumento più potente per ottenere la salvezza dell’anima. I committenti esercitavano un’influenza sulla scelta delle iconografie per motivi di rappresentanza o devozione (come per esempio la narrazione della vita di un santo omonimo) e i loro lasciti costituiscono oggi un insieme composito, sebbene organizzato in modo coerente. A ben vedere, infatti, la disposizione delle vetrate risponde a raggruppamenti cronologici e tematici: l’abside è dedicata alla celebrazione della figura di Maria, mentre in controfacciata troviamo la storia di Cristo, dalla sua genealogia alla Passione e Resurrezione.

Forma, funzioni e idee 

“Le finestre vetrate che si trovano nella Chiesa, che proteggono dal vento e dalla pioggia e trasmettono la luce del sole, sono la Sacra Scrittura che scaccia il male e ci illumina.” Le parole di Pierre de Roissy, cancelliere di Chartres intorno al 1200, ci informano della funzione pratica e, al tempo stesso, spirituale che le vetrate rivestivano. Come si è detto, l’idea che la luce fosse manifestazione concreta e visibile della presenza di Dio, altrimenti non percepibile agli uomini, era accolta e diffusa dai teologi del tempo.
La vetrata per sua natura (si tratta di un materiale traslucido) è colore e luce insieme, il cui effetto finale è solo in parte attribuibile all’artista: la luce del giorno ha un carattere estremamente variabile e imprevedibile (diversamente da ogni altra tecnica o materia); alla vetrata, pertanto, era riconosciuto un carattere speciale e un alto significato simbolico.

LE FONTI

L’abate Suger, nel suo commento alla Gerarchia Celeste di Scoto Eriugena (monaco e teologo irlandese del IX secolo), considera le bellezze del mondo sensibile, e delle materie preziose, uno strumento per cogliere la vera bellezza di Dio: dalle tante e piccole luci che brillano nel nostro mondo possiamo intuire il fulgore splendido di Dio.
«Ogni creatura, visibile o invisibile, è una luce portata all’essere dal Padre delle luci. Questa pietra [...] è una luce per me poiché io percepisco che esiste secondo le sue proprie regole, che cerca il suo luogo conforme alla sua specifica gravità. Allorché in questa pietra percepisco tali e simili cose esse diventano luci per me, in altre parole mi illuminano. Poiché io comincio a pensare donde la pietra sia investita da tali proprietà [...] e tosto, sotto la guida della ragione sono condotto, attraverso tutte le cose a quella causa di tutto che attribuisce alle cose luogo ed ordine, numero, specie e genere, bontà e bellezza, ed essenza».

Contesti d’arte - volume 1
Contesti d’arte - volume 1
Dalla Preistoria al Gotico