L’architettura romanica

14.1 L'architettura romanica

Un "bianco mantello" di chiese

Dalla fine del X secolo vengono rinnovate o ricostruite dalle fondamenta migliaia di chiese e monasteri, in gran parte fondati nell'Alto Medioevo e sparsi in un'area vastissima, che copre i territori dell'Europa attuale con l'eccezione delle zone che erano sotto il dominio degli Arabi, soprattutto nella Penisola iberica.
Come vedremo, questo fenomeno va di pari passo con l'espansione del monachesimo benedettino che, sulla scia di influenti centri come l'Abbazia di Cluny in Borgogna e quella di Montecassino nel Lazio, porta alla capillare diffusione dei monasteri nelle campagne. Contemporaneo e complementare, inoltre, è il risveglio edilizio nelle città.
Per far intendere la vastità della ripresa costruttiva, gli storici dell'arte fanno ricorso al suggestivo racconto di un cronista francese, Rodolfo il Glabro, monaco benedettino attivo in Borgogna nell'XI secolo. Nelle sue Storie dell'anno Mille, egli riferisce dello straordinario fervore costruttivo che si diffonde in tutta Europa in quel periodo. Racconta infatti Rodolfo: «Nell'approssimarsi del terzo anno dopo il Mille, su quasi tutta la Terra, ma soprattutto in Italia e in Gallia, si videro restaurare e rinnovare le chiese; benché la maggior parte fossero ben costruite e non avessero alcun bisogno di restauri, un vero spirito di emulazione spingeva ogni comunità cristiana ad averne una più sontuosa di quella dei vicini. Si sarebbe detto che il mondo stesso, scrollandosi di dosso le spoglie della vecchiaia, si fosse rivestito di un bianco mantello di chiese. Allora, quasi tutte le chiese delle sedi episcopali, quelle dei monasteri consacrate a ogni sorta di santi e perfino i piccoli oratori dei villaggi furono ricostruite più belle dai fedeli».
Il racconto di Rodolfo è tuttora attendibile: se si potesse guardare dall'alto l'Europa medievale, essa apparirebbe come una distesa di boschi, praterie, paludi, catene montuose, fiumi e laghi, interrotta qua e là da villaggi e città e dalle rovine degli insediamenti romani, ma soprattutto punteggiata da un'infinità di monasteri (1), torri e campanili.

La policromia romanica

Un «bianco mantello» di chiese, dice Rodolfo il Glabro, riveste l'intero Occidente: è un'immagine suggestiva, che però non va interpretata alla lettera, ma piuttosto come metafora del rinnovamento edilizio che interessa soprattutto l'architettura religiosa. La civiltà dell'Occidente romanico è infatti sostanzialmente cristiana e l'aggettivo «bianco» può essere inteso in questo senso come "luminoso", "puro", "splendente". Nella realtà, sia le cattedrali, e in genere le chiese, sia le loro decorazioni (le sculture, i capitelli e gli altri elementi architettonici) non erano rivestite soltanto di marmi bianchi.
Recenti restauri condotti in diverse regioni, anche molto distanti fra loro, hanno permesso di accertare una predilezione degli artisti medievali per decorazioni dai colori vividi, come il rosso, il verde, il blu.
Questi esempi sono indicativi di un'arte "colorata", che la mentalità moderna attribuisce con difficoltà al mondo romanico, perché le facciate delle chiese hanno oggi in gran parte perduto la policromia originaria. Ne è un esempio Notre-Dame la Grande (2), a Poitiers: la facciata riccamente scolpita appare oggi nel colore della pietra, ma in antico le figure e i motivi ornamentali erano dipinti con colori vivaci, di cui oggi non rimangono che labilissime tracce. Gli artisti e i committenti ricercavano la policromia anche sfruttando le differenti tonalità di diversi materiali, con delicati effetti cromatici. Accade in Toscana, Liguria e Sardegna grazie all'utilizzo di marmi bianchi e verdi o neri, o in Lombardia e in Emilia-Romagna, dove si sceglie un rivestimento della facciata non solo di pietra o di marmo, ma anche in mattoni rossi, interrotto talvolta da decorazioni e rilievi. È questo il caso dell'Abbazia di Pomposa (3), il cui prospetto è arricchito da bacini in maiolica (sorta di recipienti inseriti nelle superfici murarie a scopo decorativo) di origine orientale o araba.

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La chiesa romanica

Nel quadro geograficamente vasto dell'arte romanica, le architetture sacre sono la testimonianza più diffusa e meglio conservata. Al di là della pluralità di stili e declinazioni locali, è possibile individuare i tratti comuni dell'arte romanica, che, abbandonando le forme semplificate tardoantiche, acquisisce un linguaggio strutturato in maniera del tutto nuova. Dato che sono molto scarse le testimonianze di architettura civile – a differenza dell'architettura religiosa, di cui sono sopravvissuti molti esempi –, l'analisi può partire dalle caratteristiche tipologiche di chiese, abbazie, cattedrali e pievi.
La cattedrale rappresenta spesso la costruzione più importante della città, cui contribuiscono, in un massiccio sforzo comune, le risorse dell'intera collettività. Non si tratta solo del luogo dove la comunità si riunisce per pregare, ma anche di un punto di incontro per i cittadini: vi si celebrano i riti sacri, ma vi si tengono anche assemblee civiche.
La nascita di questi grandi cantieri va di pari passo con una profonda ricerca stilistica, tecnica e insieme di organizzazione del lavoro, orientata in due direzioni fondamentali: lo studio dei sistemi costruttivi delle volte, a botte e a crociera, per coprire ampi spazi, e la scomposizione della navata in unità modulari, le campate. Le tipologie di volta romanica derivano dalla tradizione classica e paleocristiana, ma sono applicate in modo organico per una nuova e più razionale divisione degli spazi. La volta a botte è la tipologia più semplice di copertura, nata dallo sviluppo di un arco. La  volta a crociera, invece, più complessa, si ottiene intersecando tra loro due volte a botte: la superficie è divisa così in quattro sezioni, dette vele, sottolineate da membrature in rilievo, i costoloni. A differenza delle volte a crociera del mondo romano, in quelle romaniche i costoloni sporgono decisamente dalle vele, rendendo più evidente la loro funzione portante.
Elemento basilare e insieme profondamente innovativo rispetto alle epoche precedenti è anche la  campata, ossia lo spazio della navata o del transetto compreso tra quattro pilastri o colonne. Si tratta di un elemento modulare che, rispetto agli edifici paleocristiani, cambia la spazialità della chiesa e permette di organizzarla in modi e proporzioni razionali: per fare un esempio, l'area della campata della navata centrale è spesso pari alla somma dell'area di due campate delle navate laterali. Le dimensioni della campata determinano le proporzioni del corpo principale della chiesa, del transetto e dell'eventuale nartece, mentre le spinte delle volte (ossia la forza che esse esercitano sugli elementi di sostegno) condizionano le dimensioni delle murature, che diventano più spesse e regolari.
Il principio fondamentale dell'architettura romanica è dunque la costruzione di uno spazio concepito in modo organico e ben strutturato, che si esprime nella chiarezza dei suoi elementi costitutivi e della sua pianta. A differenza dell'architettura paleocristiana, dove uno spazio unitario conduce direttamente verso l'altare (il centro focale e simbolico dell'edificio), la chiesa romanica risulta molto più concretamente divisa in settori e spazi ben definiti, costituiti dalla somma delle singole campate.
La pianta più frequente è quella a croce latina con deambulatorio e cappelle a raggiera o con tre o più absidi parallele. Più rara la pianta a croce greca, e più in generale la pianta centrale: si utilizza soprattutto quando si vuole suggerire un forte significato simbolico che richiami le origini mediorientali del Cristianesimo, essendo ispirata al Santo Sepolcro di Gerusalemme, luogo della tomba di Cristo. Come si nota dalla ricostruzione assonometrica (4), in questi edifici l'arco a tutto sesto assume una funzione fondamentale nel suddividere lo spazio secondo rapporti proporzionali in ragione del doppio e del triplo, ma anche per interrompere lo sviluppo longitudinale della navata, che è ritmato dagli arconi delle campate.
Anche l'altezza della navata è scandita da percorsi e spazi chiaramente leggibili (5): spesso è presente il matroneo o triforio, una stretta galleria che corre al di sopra delle navate minori e si affaccia, come una loggia, sulla navata centrale, tramite trifore, ossia aperture tripartite. I matronei percorribili come pure i trifori ciechi (cioè non percorribili) possono a loro volta essere sormontati dal claristorio (dall'inglese clerestory, composto di clere o clear, "chiaro", e story, "piano di un edificio", e quindi letteralmente "piano luminoso"), la "zona della luce", la parete superiore della navata centrale, in cui si aprono finestre che illuminano l'ambiente.
La chiesa romanica si struttura su più livelli, costituiti dallo spazio principale della navata, dalla cripta sottostante e, al di sopra, dal presbiterio. La cripta contiene la sepoltura del santo e di solito è sotterranea, tuttavia con le sue volte permette l'innalzamento del presbiterio, a cui in genere si accede da scale: in questo modo tutti i fedeli possono vedere lo svolgimento del rito. All'incrocio tra le navate e il transetto si trovano il tiburio, una struttura a prisma o cilindro che ingloba una cupola, o la torre di crociera, in modo che anche la sezione verticale dell'edificio e non solo la pianta a croce latina abbia la forma di una croce e richiami simbolicamente il sacrificio di Cristo. La presenza del tiburio o della torre fa sì che raramente la cupola interna sia visibile dall'esterno.
Lo spazio che deriva dall'unione coerente degli elementi strutturali della chiesa romanica crea una nuova combinazione tra pieni e vuoti. Alla linearità geometrica della basilica tardoantica si sostituisce uno spazio solido che nasce dall'incontro tra forze differenti: la funzione strutturale di sostegno è affidata a un sistema alternato di colonne e pilastri, che reagiscono meglio delle colonne alle spinte trasversali e verticali. A differenza delle colonne, che sono a base circolare, i pilastri possono essere quadrati, compositi (pilastri quadrati sui cui lati sono addossate quattro semicolonne) e a fascio (costituiti da fasci di colonne di diverse dimensioni e talvolta differenti materiali) (6).

La facciata

All'esterno, la facciata si compone di diversi elementi e spesso prevede decorazioni scultoree. Questa caratteristica della chiesa romanica influisce anche sull'organizzazione pratica dei cantieri perché i rilievi non sono applicati a costruzione finita, ma scolpiti e messi in opera direttamente mentre la costruzione procede: le figure dell'architetto e dello scultore finiscono spesso per identificarsi nella stessa persona o comunque, quando si tratta di due artisti diversi, sono obbligati a collaborare strettamente.
Esistono diverse tipologie di facciate, variamente combinate e rielaborate: le più frequenti sono a capanna, presentano cioè due elementi spioventi, oppure a capanna composita o salienti, quando, come suggerisce il termine stesso, la copertura presenta una successione di spioventi posti a differenti altezze (7).
L'articolazione della facciata in forme composite influisce direttamente sull'utilizzo della luce all'interno della chiesa: nelle basiliche paleocristiane di solito grandi finestre si aprono sulla facciata, mentre nelle chiese romaniche le aperture tendono a diminuire di ampiezza, creando vaste zone d'ombra che mettono in evidenza i rilievi e le sporgenze, sottolineando la solidità massiccia dell'insieme.
L'ingresso nella chiesa romanica è monumentalizzato grazie a una serie di strutture architettoniche, variamente decorate, che marcano, simbolicamente, l'entrata nello spazio del divino. Addossato al portale maggiore può infatti trovarsi un protiro, una sorta di loggetta variamente decorata che precede l'entrata principale. In molte chiese romaniche le colonne del protiro non appoggiano direttamente a terra, ma sono rette da mostri o animali fantastici o, spesso, leoni, detti appunto leoni stilofori, che sembrano proteggere l'entrata del fedele.
Un altro elemento decorativo del portale è la strombatura, ossia la presenza di cornici e colonnine decrescenti, talvolta riccamente decorate o in materiali diversi, che si susseguono fino ad arrivare all'apertura vera e propria.

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Un'arte anonima?

Nonostante la costruzione delle chiese romaniche duri per decenni, impiegando a fondo le risorse della comunità, è raro che siano noti i nomi degli architetti di questi edifici. Per questo motivo le eccezioni sono indicative di una particolare importanza riconosciuta ai costruttori: in Italia, a Pisa, Buscheto, Rainaldo e Deotisalvi sono celebrati da iscrizioni in marmo sulla facciata del Duomo (8-9) e su un pilastro del Battistero, mentre a Modena Lanfranco è ricordato da un'iscrizione in latino in corrispondenza dell'abside centrale come progettista e direttore dei lavori (10).
Sull'attività di Lanfranco a Modena si conservano anche alcune raffigurazioni miniate (11). La pagina tratta dalla Relatio de innovatione ecclesie Sancti Geminiani, un testo anonimo del 1106 nel quale si raccontano le vicende relative alla costruzione del Duomo, è esemplare per comprendere come funzionava il cantiere di una chiesa romanica. Secondo quanto racconta il testo, la scelta di un responsabile del progetto e del cantiere della nuova cattedrale è frutto di una lunga ricerca attraverso le regioni italiane.
Nella miniatura si vedono gli operai del Duomo guidati da Lanfranco, che è rappresentato con una statura più imponente, abbigliato in modo elegante e con un diverso copricapo, a segnalare il suo ruolo di coordinamento, non solo tecnico, ma anche intellettuale. Al pari dell'angelo dell'Apocalisse che con la virga – strumento di comando e misurazione – controlla e edifica la Gerusalemme celeste, l'architetto modenese dirige operai e muratori.
Nella parte superiore della miniatura si assiste allo scavo delle fondamenta da parte degli sterratori; in basso, alla messa in opera dei muri con i blocchi di pietra trasportati dai manovali. A parte queste eccezioni, in genere i documenti citano l'abate o il vescovo che ha presieduto alla costruzione, a conferma di un ruolo non solo spirituale, ma anche concettuale e organizzativo. In un caso, quello di Guglielmo da Volpiano (962-1013) (12), pare che la figura dell'architetto e quella dell'abate coincidano, giacché è probabile che si debba a lui la progettazione di diverse chiese in cui visse, come quella di Saint-Bénigne a Digione.
Abati e vescovi erano veri e propri imprenditori e promotori di cultura e per questo si trovano non solo menzionati nei documenti e nelle cronache del tempo, ma anche raffigurati su capitelli, portali e lunette, tanto che oggi spesso è possibile datare un edificio conoscendo gli anni in cui è stato guidato da un abate o consacrato da un vescovo.

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Un comune linguaggio europeo

Tra il X e l'XI secolo, l'architettura di età ottoniana ha lasciato in Germania alcuni precoci segni di innovazione che possono considerarsi già tipici del linguaggio romanico: in particolare, le pareti interne movimentate da pilastri e semicolonne addossate, finti archi (archi ciechi), loggette e lesene, che ricorrono anche all'esterno, a enfatizzare lo spessore della muratura. La Cattedrale imperiale di Spira (13-14) è una chiesa esemplare dal punto di vista delle novità strutturali, tanto da essere considerata la "corona di tutte le chiese" per il suo aspetto grandioso, che avrebbe presto influenzato anche l'architettura anglo-normanna. L'edificio, iniziato tra il 1027 e il 1029 e il cui primo rifacimento risale al 1060, subisce profonde modifiche fra il 1082 e il 1106, ai tempi dell'imperatore Enrico IV: sopra il coro (lo spazio riservato ai cantori nel vano absidale) e le navate, il soffitto a capriate lignee viene sostituito da volte a crociera, sorrette da pilastri rafforzati grazie all'inserimento di semicolonne (15).

Anche la chiesa benedettina di San Michele a Hildesheim (16-17), iniziata sotto Bernoardo nel 1001, parzialmente distrutta da un incendio e ricostruita nel 1186, riflette, pur nell'aspetto attuale rimaneggiato, l'originaria concezione basata su uno schema basilicale a tre navate, due transetti e due cori con abside. Lungo le navate, il pilastro che si alterna a due colonne crea un ritmo di grande armonia.
In Francia, la Chiesa abbaziale di Jumièges (1040-1067), la più antica delle chiese normanne di questo tipo, seppure in rovina, mostra un alzato particolarmente innovativo (18), che caratterizzerà a lungo l'architettura romanica: sopra le arcate, scandite alternativamente da colonne e pilastri compositi che salgono fino al tetto, si trova il matroneo a trifore, fiancheggiate da semicolonne addossate.
Con l'invasione normanna delle isole britanniche, nel 1066, queste novità passano presto al di là della Manica. La Cattedrale di Durham (19), iniziata nel 1093 e terminata nel 1133 circa, presenta un sistema di copertura con volte a crociera e possenti costoloni, le nervature aggettanti che segnano l'intersezione delle due volte a botte. Inoltre, pilastri a fascio si alternano a pilastri cilindrici con decorazioni geometriche, e un matroneo, sovrastato da un claristorio, corre nei piani alti.

Contesti d’arte - volume 1
Contesti d’arte - volume 1
Dalla Preistoria al Gotico